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 2012  novembre 17 Sabato calendario

L’Italia cambiata a colpi di scoop - Luigi Locatelli, con un articolostrepitososul­lo spogliarello di Ai­chè Nanà al «Ruganti­no », uscito sul Giorno il 6 novem­bre 1958, spostò con 60 righe il comune senso del pudore e anti­cipò di due anni La dolce vita

L’Italia cambiata a colpi di scoop - Luigi Locatelli, con un articolostrepitososul­lo spogliarello di Ai­chè Nanà al «Ruganti­no », uscito sul Giorno il 6 novem­bre 1958, spostò con 60 righe il comune senso del pudore e anti­cipò di due anni La dolce vita . An­drea Purgatori, con un’inchiesta da manuale su Ustica, nell’84, con una gragnuola di pezzi in­franse segreti, ragion di Stato e muri di gomma. Vittorio Feltri, nella calda estate del ’95, con una delle più devastanti campa­gne della storia del giornalismo contro la casta dei privilegiati, passata alle cronache col nome di «Affittopoli», sfrattò da case concesse a prezzi di favore fior di politici e di sindacalisti (con ri­sparmio del contribuente e gua­dagno del suo quotidiano di 30mila copie). Mentre Marco Lil­lo, nel febbraio scorso, sul Fatto quotidiano svelò l’ipotesi, girata in Vaticano, di un complotto per eliminare il Papa. Una notizia ri­presa da tutti i media del mondo. Scoop, scoopponi, finti scoop, inchieste-bomba, esclusive. È giornalismo. Dalla morte del bandito Giuliano al caso Ruby, non c’è evento che ha cambiato la storia d’Italia che non sia pas­sato dalle - prime - pagine dei giornali. Piaccia o non piaccia, è la stampa che fa, e che disfa, la po­litica. That’s the press, baby! «E non ci puoi fare niente», diceva Humphrey Bogart. L’America ha il Watergate, simbolo quotidiano ed eterno dell’inchiesta-perfetta, del wa­tchdog journalism , del Quarto Potere che ambisce a essere pri­mus, inter pares . E noi, in Italia, Paese dove il potere della stam­pa è di solito da intendersi nel senso del Potere politico, indu­striale e bancario che possiede la stampa, che cosa abbiamo, in­vece? Quali sono i nostri Water­gate che hanno fatto tremate i Pa­lazzi e i palazzinari? Chi critica i giornali e il giorna­lismo, dando per morto quello di carta, pensando che solo il Web ci salverà, si dovrà ricrede­re sfogliando l’antologia curata e commentata da Giangiacomo Schiavi dal titolo Scoop! Crona­che e giornalisti da prima pagin a (Carte Scoperte): una bibbia lai­ca delle grandi firme, a suo mo­do l’accademia della stampa, il Who’sWho delle penne da ripor­to. I segugi della cronaca sono tutti qui dentro. E dimostrano che, cassandre a parte, il buon giornalismo anche nel nostro servile, affaristico e misterioso Paese c’è stato,c’è ancora,e con­tinuerà a esserci. È vero, «tra gio­chi sporchi e ipocrisia la stampa ha perso credibilità. La gente si fi­da meno dei giornali. È triste- co­me scrive Schiavi, vicedirettore del Corriere della sera - sapere che certi scoop sono usati per re­golare i conti sospesi nella politi­ca o nella società». Ma. C’è un ma . C’è che «nella crisi al buio che ci riguarda, certi colleghi hanno dimostrato che siamo an­cora vivi e indispensabili. Il loro lavoro è entusiasmante. Ci pos­siamo ancora fidare ». Eccoli, i colleghi di ieri e di oggi dei quali ci possiamo fidare. So­no tutti qui dentro, in un libro che è sì la storia del nostro giorna­lismo, ma è soprattutto la storia d’Italia, due cose che si sovrap­pongono. Passò alla Storia, in en­trambi i sensi, il pezzo uscito sul Corriere d’Informazione il 6-7 di­cembre 1946 in cui Dino Buzzatiracconta come Sono entrato nel­la casa della strage , ossia l’appar­tamentino dove Rina Fort massa­crò la moglie e i tre figli del suo amante, in via San Gregorio a Mi­lano. Ma qui, in effetti, siamo più dalle parti della letteratura che della cronaca.C’è Indro Monta­nelli, il primo a raccontare nel­l’Ungheria del ’56 che gli insorti non erano ribelli «borghesi», macomunisti antistalinisti. C’è Manlio Cancogni, col pezzo e il ti­tolo più celebre della stampa pa­tria,Capitale corrotta = nazione infetta ,sull’ Espresso del 22 gen­naio 1956. C’è Lino Jannuzzi che denuncia il «Piano Solo» del ge­nerale De Lorenzo. C’è l’intervi­sta memorabile sulCorrieredel 17 febbraio 1977 di Gianpaolo Pansa al sindaco di Seveso, che vede morire ogni giorno la sua città divorata dalla diossina. Ci sono Walter Tobagi, Paolo Liguo­ri, Maria Grazia Cutuli.C’è ilfin­to- scoop più famoso della sto­ria,quello in cui Francesco Ga­sparini, suVistodel 28 marzo 1959, sbattè il mostro di Loch Ness in prima pagina, rimbal­zando p­ersino sugli stessi giorna­li inglesi e poi risolvendosi in bu­fala. C’è l’inchiestadi Gian Mar­co Chiocci su Fini e la casa di Montecarlo.C’è Gianluigi Nuzzi e l’intercettazione più devastan­te della Seconda Repubblica (Fassino a Consorte: «E allora, siamo padroni di una banca?»). La sottile linea tipografica tra scoop e macchina del fango: quando finisce la seconda e ini­zia il primo; e viceversa? E c’è anche Alessandro Sallu­sti, oggi antipatico direttore delGiornale ,ieri cronista d’assalto delCorriere ,con l’inchiesta su «Musocco, il Bronx di Milano» (1991) e con lo scoop sul latitan­te Giovanni Manzi, il presidente socialista della Sea (1993). Sallu­sti, insieme a Fabrizio Gatti e Gof­fredo Buccini, è l’unico in que­sto libro-gotha del giornalismo italiano a essere citato con due pezzi. Strano. È anche l’unico che rischia di finire in carcere.