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 2012  novembre 17 Sabato calendario

«L’election day? Sarebbe un attentato alla democrazia!». Lo urlava, minacciando di riempire le piazze di collera popolare, Silvio Berlusconi

«L’election day? Sarebbe un attentato alla democrazia!». Lo urlava, minacciando di riempire le piazze di collera popolare, Silvio Berlusconi. Lo stesso che oggi minaccia di buttare giù il governo se non vengono accorpate politiche e amministrative. Esattamente come la sinistra vorrebbe tenere separate le due consultazioni dopo avere teorizzato per anni l’election day. Balletti... Lo dicano: «Vogliamo l’election day perché ci conviene» oppure «rifiutiamo l’election day perché non ci conviene». Sarebbe un discorso onesto. Ma sentire certe pappardelle penose da una parte e dall’altra sul bene pubblico e i diritti degli elettori e le procedure e bla bla bla è insieme penoso e ridicolo. Lo dimostrano gli archivi: sono in troppi a sostenere oggi l’opposto di quanto sostenevano ieri. Dicevamo della sinistra: per anni, sapendo di andare meglio alle amministrative che alle politiche, non ha perso occasione per teorizzare l’importanza di tenere insieme lo stesso giorno tutte le consultazioni popolari. Si è battuta su questo nel 2001, nel 2006, nel 2008... Per non dire della battaglia per l’election day nel 2011 quando c’erano sul tappeto quattro referendum sul nucleare, il legittimo impedimento, l’acqua pubblica, che secondo i sondaggi avrebbero potuto dare una mazzata (cosa poi avvenuta) al governo del Cavaliere che si reggeva malamente sui Razzi, i Calearo, gli Scilipoti. Una tesi ripetuta in mille occasioni. Solo che, stavolta, Bersani & co. pensano che ci guadagnerebbero a fare prima le amministrative e dopo, nella scia d’una vittoria, le politiche. E dunque... Ancora più divertente, però, è rileggere le sparate della destra contro l’accorpamento che ora sostiene. Fabrizio Cicchitto invoca: «In nome del senso di responsabilità invitiamo il presidente della Repubblica e il presidente del Consiglio a evitare la difficile prova di far votare due volte nello spazio di due mesi...». Quattro anni fa era contrario: «Non aiuta a sviluppare il confronto tra gli schieramenti nella chiarezza che il dibattito democratico richiede». Si potevano risparmiare dei soldi? «Risparmi risibili rispetto allo sperpero di denaro pubblico del governo Prodi...». E Roberto Maroni? Dopo avere presentato insieme con Berlusconi il 30 giugno 1994 un disegno di legge per «lo svolgimento contemporaneo delle elezioni europee, regionali e amministrative» si è regolato via via a seconda di come buttava politicamente per la Lega. Fino a schierarsi col Cavaliere contro l’accorpamento delle amministrative e delle politiche del 2006 per poi teorizzare nel 2009 che, a differenza di quello sull’articolo 18 (che era convinto di vincere e voleva appaiare) non si potevano abbinare il voto referendario sul sistema elettorale e le amministrative. Gli economisti de «lavoce.info» sostenevano che ciò avrebbe comportato una spesa di 400 milioni? Rispondeva che essendoci comunque dei costi fissi il risparmio dell’election day sarebbe stato «di poco più di 172 milioni». Come a dire: amen. Strilla oggi chiedendo l’abbinata in Lombardia: «Non possiamo buttare nel cesso 50 milioni di euro...». Non ce n’è uno, di quanti teorizzano oggi l’obbligo morale di accoppiare amministrative e politiche che non sostenesse l’opposto. Pier Ferdinando Casini sentenziava che «l’abbinamento di scadenze così diverse creerebbe una confusione permanente, nei seggi e nello spoglio, mentre la democrazia ha bisogno di certezze» e dunque gli sembrava «una truffa». Gianfranco Fini sibilava che «l’election day è l’ennesima forzatura da parte della sinistra che anche su questo bara sulle regole». Maurizio Gasparri assicurava che «mandare gli italiani alle urne con sei-sette schede da compilare secondo leggi elettorali diverse, potrebbe causare troppi errori». Ma nessuno è stato così ondivago sul tema quanto Silvio Berlusconi. Ricorda l’Ansa che una sera, a «Porta a porta», un paio di mesi prima di vincere le elezioni del 1994, si spinse a teorizzare «una sua vecchia idea», quella di un election day globale, in cui i cittadini si rechino alle urne per un voto multiplo: per il Parlamento nazionale, per il Parlamento federale (nella prospettiva della riforma del Senato), per le giunte regionali, le assemblee regionali e anche per le amministrative «almeno per quelle delle principali città». Poi si accorse che in linea di massima non gli conveniva. E l’anno dopo già rifiutava l’abbinamento per la primavera del ’96: «Non credo che sia utile mischiare la propaganda che si fa sul futuro del Paese con i governi delle istituzioni locali che tra l’altro mettono in campo una miriade di protagonisti e candidati che ovviamente cercano di coinvolgere le sfere amicali e parentali e che quindi potrebbero anche arrivare a votare senza considerare il fatto che in ballo c’è il loro futuro». E i risparmi invocati da quelli di sinistra? «E quando mai si sono preoccupati loro del risparmio?». Nel 2001, quando si sentiva la vittoria in tasca alle politiche e non voleva rischiare che il trionfo fosse offuscato da eventuali rovesci alle amministrative, la sola ipotesi di un accorpamento avanzata dall’Ulivo lo faceva infuriare: «Noi chiameremo i cittadini nella strade e nelle piazze del Paese per dimostrare contro questa violenza da parte della maggioranza. Non accettiamo assolutamente che ci sia la sovrapposizione lo stesso giorno delle politiche, così importanti per il nostro futuro, e delle altre amministrative: non è mai successo nella storia della Repubblica!». Di più: «Non venitemi a dire che così si risparmiano 200 miliardi e si evita di chiudere un’altra volta le scuole! Sarebbe un attentato alla democrazia!». Una teoria ribadita alla vigilia delle elezioni del 2008 in cui la maggioranza di Romano Prodi uscita a pezzi dalla sfiducia, sperava di contenere i danni accostando alle politiche le amministrative: «Mi sembra una mossa disperata per confondere le acque e nascondere tutte le difficoltà che ci sono tra il Pd e la sinistra». Il capolavoro, però, resta una sfuriata con la quale Sua Emittenza mise insieme due cose che gli facevano venire l’orticaria: «Con l’election day la par condicio diventa Marx condicio!». Coerenze...