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 2012  novembre 11 Domenica calendario

INDENNITÀ DIMEZZATE AI CONSIGLIERI REGIONALI

Questa dovrebbe essere la volta buona. I tagli alla politica regionale sono al centro del dibattito da qualche anno, e in gran parte sono stampati in «Gazzetta Ufficiale» da 16 mesi: ma un po’ l’ondata delle polemiche scoppiate con l’emergere del Laziogate, un po’ le super-sanzioni ora previste per chi non si adegua, dovrebbero spingere tutti a un’applicazione rapida delle nuove regole, al punto che la stessa Conferenza delle Regioni si è messa pancia a terra a proporre parametri e individuare le "amministrazioni modello" a cui tutte le altre sono chiamate ad allinearsi. I risultati? In sintesi, si dovrebbero tagliare fino al 50% le indennità di presidenti e consiglieri, e cancellare a regime 193 degli attuali 949 posti da consigliere e assessore nelle Regioni a Statuto ordinario, con una riduzione del 20,3 per cento. Aggiungendo i territori autonomi, le riduzioni cancellerebbero 342 posti (il 27,3% del totale; si veda la tabella sotto) ma la Corte costituzionale ha stabilito che nel loro caso l’obbligo statale è illegittimo per cui l’adeguamento è lasciato alla buona volontà delle singole amministrazioni. Tra taglio agli stipendi e riduzione dei posti, solo in termini di indennità nette la politica regionale alleggerita dalla cura dovrebbe costare 60 milioni all’anno meno di oggi, e almeno altrettanti risparmi dovrebbero arrivare dal quasi azzeramento dei fondi ai gruppi consiliari. Ma il percorso è a tappe.

Obblighi e calendario sono scritti nel decreto legge enti locali che martedì dovrebbe essere approvato dalla Camera. Gli ingredienti sono due: il più rapido è rappresentato dall’allineamento delle indennità di consiglieri e presidenti ai livelli registrati nelle Regioni che riconoscono ai loro politici gli stipendi più contenuti (si tratta dell’Umbria per i presidenti e dell’Emilia Romagna per i consiglieri). Con i rinnovi elettorali, invece, bisognerà mettere in campo assemblee e giunte che rispettino i parametri fissati dalla manovra-bis dello scorso anno, e che finora sono rimasti lettera morta.

I tempi, si diceva, sono stretti soprattutto per la prima parte della cura, nonostante la mini-proroga spuntata nel testo della legge di conversione del decreto. L’allineamento degli stipendi andrà garantito entro il 23 dicembre, con l’eccezione di Lombardia, Lazio e Molise che sono in attesa del voto regionale e dovranno rientrare nei ranghi entro tre mesi dalla prima riunione dei nuovi consigli. L’effetto, ovviamente, dipende dalle indennità attuali, che vedono in testa la politica lombarda: i 6.200 euro netti previsti dalle nuove regole significheranno al Pirellone un taglio del 51%, mentre il successore di Roberto Formigoni dovrà accontentarsi dei 7.400 euro netti decisi per i presidenti, cioè il 49% in meno del massimo garantito dai vecchi valori (ma Formigoni, residente a Milano, non usufruiva dei rimborsi previsti per chi arriva da fuori). Drastica anche la stretta per i consiglieri liguri (-45,2%) e per i veneti (-41,8%), mentre al Sud l’intervento più significativo dovrebbe arrivare in Puglia (-40,6%: nel caso del presidente il taglio è del 49,3%, ma Nichi Vendola ha già operato una prima riduzione da 4.100 euro netti al mese per cui l’adeguamento è quasi ultimato).

L’altra fetta dei risparmi, a regime, arriverà invece dalla riduzione di posti. Qui i tempi sono più lunghi, perché l’alleggerimento di Giunte e consigli scatterà solo con le prossime amministrative, mentre le Regioni già instradate verso il voto "guadagnano" una legislatura. Lo slittamento non riguarda la Lombardia, che grazie ai suoi 10 milioni di abitanti non ha tagli da fare ai posti della politica regionale. Tra le Regioni a Statuto ordinario quella chiamata ai tagli più consistenti è l’Umbria (-40%), mentre per adeguarsi ai nuovi parametri la Sardegna dovrebbe rinunciare al 61% dei propri politici.