Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  novembre 04 Domenica calendario

NUOVE STATUE PER EROI KITSCH

Sembra quasi il presepio napoletano. Che anno dopo anno si rinnova con le celebrities più in voga del momento: nel 2012 toccherà a Balotelli, con tanto di cresta bionda, e a Belén Rodriguez, con tanto di pancione da quasi-mamma. Ma stavolta non è solo la traduzione di un normale spostamento progressivo (verso il basso) del gusto, ma di qualcosa che tocca direttamente l’arte contemporanea e, soprattutto, un mercato eccellente di appassionati dal portafoglio ben fornito. Disposti anche a sborsare, tanto per fare un esempio, 577.250 sterline (cifra comunque ben più bassa delle aspettative di Sotheby’s) per mettersi in casa (o sarà forse un museo privato) la statua d’oro di Kate Moss realizzata da Marc Quinn in occasione di una mostra alla fine del 2008 al British Museum di Londra. Uno dei tanti studi, a 18 carati, di Quinn, già celebre anche per un suo lavoro dedicato a Michael Jackson, ispirati alla modella-icona delle passerelle (già letteralmente squartata da Damien Hirst sulla copertina dello snobbissimo «Tar Magazine» e che già Quinn aveva trasformato in sfinge), ma anche delle cronache rosa-nero. Ritratta, stavolta in una difficile posa yoga, non particolarmente elegante né stiff, piuttosto al limite di una volgarità becera da b-movie.
Questa ennesima variazione sul tema del kitsch finisce ormai per coinvolgere modelli di bellezza inaspettati e forse persino sorprendenti. Almeno per chi ha amato e continua ad apprezzare le classiche forme del Discobolo di Mirone, del Torso di atleta oggi al Museo Archeologico di Firenze, del gruppo di Atleti in bronzo provenienti da Ercolano tra le attrazioni dell’Archeologico di Napoli. O di quell’Atleta di Fano a lungo conteso tra l’Italia e il Getty Museum di Los Angeles.
Oggi, insomma, sembra essere giunto il momento di una nuova bellezza: quella delle star del cinema, del pop, dello sport. Più concreta, più vera e forse nemmeno più tanto canonica. Ma perché, viene subito da chiedersi? Sarà forse vera bellezza quella del Klaus Kinski scolpito come un serpente da Paul Hammer o quella di Justin Bieber e Serena Gomez (chi è costei?) raffigurati come Adamo ed Eva da Daniel Edwards, scultore statunitense di belle pretese, già responsabile dei ritratti di Brad Pitt con Angelina Jolie (titolo dell’imperdibile lavoro, naturalmente in metallo dorato, Brangelina), di Britney Spears, di Michelle Obama in topless, di Oprah Winfrey, di Paris Hilton.
Perché l’importante sembra essere, soprattutto, fare notizia e, in qualche modo, smuovere il mercato. Come ben sapeva, ad esempio, Jeff Koons, già creatore degli autoritratti con Cicciolina e di quelli con la Pantera Rosa, che aveva pensato di concludere trionfalmente (nel 1988) la sua Banality Series con tre versioni a grandezza naturale (in porcellana colorata) del ritratto di Michael Jackson con la sua scimmietta Bubbles. Perché non è stato certo un caso che quella stessa statua (due versioni sono oggi al Museum of Modern Art e al Bcam Museum di Los Angeles) sia stata poi venduta da Sotheby’s a un anonimo collezionista nel 1991 per la cifra allora record di 5,6 milioni di dollari.
Insomma, parafrasando un genio dell’estetica come Oscar Wilde, basta che se ne parli, «nel bene o nel male». E che si venda. Perché chi può oggi conquistare il mercato meglio delle celebrities più mediatiche? Come spiegare, se non così, la scelta di Elisabeth Cibot di rappresentare (a Nagent, piccolo paese alle porte di Parigi) le plumassières, le operaie italiane che immigravano in Francia per imbottire i cuscini, con una scultura dedicata a Carla Bruni, ex première Dame francese, più avvezza certo alle passerelle dell’Haute Couture e alle stanze dell’Eliseo che non alle fabbriche? E come, se non così, spiegare la decisione del Comune di San Cesareo, sul lungomare pugliese, di trasformare Manuela Arcuri nella dea della fortuna per i pescatori? Con tanto di contestazione da parte delle mogli dei suddetti pescatori (a quanto pare molto gelose di una statua), successiva rimozione, ulteriore ricollocazione, processo e restauro per un fondoschiena danneggiato dai troppi gesti di buona fortuna.
Dunque, non è davvero cosa nuova la scelta di trasformare gli eroi delle Olimpiadi in scultura. Basterebbe fare un salto alla bella mostra sugli anni Trenta al Palazzo Strozzi di Firenze: dove si può riscoprire l’Atleta in attesa (1931-1932) di Lucio Fontana, gesso colorato in un modernissimo azzurro, dedicato allo schermitore (medaglia d’oro all’Olimpiade di Berlino nel fioretto a squadre) Ciro Verratti. Allora perché stupirsi del bronzo alto più di cinque metri che (fino al 7 gennaio 2013) accoglierà i visitatori del Centre Pompidou di Parigi? Maxi rappresentazione della testata di Zidane a Materazzi durante i mondiali del 2006 firmata da un artista in ascesa come Adel Abdessemed, già Premio Duchamp nel 2006. Per la quale il curatore della mostra parigina Philipp Alain Michaud, forse avventatamente, ha scomodato paragoni addirittura con la Cacciata dal Paradiso di Masaccio (ma solo per il gesto di Zidane), parlando «di un avvenimento popolare immediatamente riconoscibile da tutti, capace ancora di suscitare grandi emozioni». Mentre i media francesi si sono divisi tra opportunismo e provocazione. E, sempre parlando di football, su questo tema già si erano confrontati Stephan Balkhenol (si intitolava Calciatori la sua opera esposta al Pac di Milano nel 2007) o l’architetto e designer giapponese Naoki Terada con le sue piccole (ma molto poetiche) sculture di carta con tanto di portieri, attaccanti, difensori e arbitri...
C’erano una volta, dunque, le vecchie star (tipo Liz Taylor, Grace Jones o Elvis) ognuna a suo modo rinnovate dalle strabilianti riletture di Andy Warhol o di Keith Haring. E gli happening di Leigh Bowery, il transgender e performer australiano (1961-1994), che aveva fatto di se stesso una scultura vivente inquietante e terribile, emblema degli anni dell’Aids e della paura. E c’erano le sculture in fibra di vetro, era appena la fine dello scorso millennio, in cui Gavin Turk (all’epoca astro nascente della British Young Art) si rappresentava come una rockstar trasgressiva (Sid Vicious dei Sex Pistols) dopo aver già incrociato, descritto e scolpito la vita (e la morte) di altre stelle dei media come Che Guevara.
Oggi le vere stelle possono essere solo di carne e bronzo. Come dice Francesco Vezzoli, che nei suoi video aveva già utilizzato e celebrato tra le altre Sharon Stone e Lady Gaga. In questo universale bisogno di sicurezza, anche lui ha però deciso di scegliere la via della scultura: nella mostra che si apre alla Galleria Noero di Torino (dal 10 novembre al 16 gennaio, in occasione di Artissima 2012) ha reso omaggio, assieme all’artista inglese Pablo Bronstein, al grande de Chirico. E ha voluto farlo scegliendo come emblema di quell’arte metafisica nientedimeno che Sophia Loren, trasformata (come già era successo alla Biennale di New Orleans del 2011) in una Musa inquietante (in una Ariadne, per essere precisi, fatta di bronzo). «Volevo un simbolo universale dell’Italia, lei era quello che mi serviva», ha spiegato Vezzoli.
Questa nuova estetica non guarda più alla bellezza secondo i canoni della classicità. Ma piuttosto ai media e al mercato. Lo dimostra la serie di statue in bronzo alla memoria di Steve Jobs (la prima è stata eretta a Budapest lo scorso inverno), immediatamente riprodotte in versione mignon acquistabili direttamente online. Lo dimostra il Superman dei fratelli terribili Jake & Dinos Chapman, quelli delle allucinanti ricostruzioni delle mostruosità del mondo: una megascultura (in fiberglass) che ha come protagonista uno scienziato in odore di Nobel, Stephen Hawking, collocato con la sua sedia a rotelle in cima a una roccia dal gusto quasi postromantico. Scultura che, perché la prima legge resta ancora oggi quella del mercato, dopo lo scandalo è finita dritta dritta (con tanto di maxivalutazione) nelle stanze di Christie’s.
Stefano Bucci