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 2012  ottobre 08 Lunedì calendario

LIU BOLIN, CAMALEONTE PER MIMETISMI D’ARTE - È

arrivato a Roma deciso a mimetizzarsi con il Colosseo. Ma Liu Bolin, artista cinese noto per le sue imprese camaleontiche, in cui mescola body art, performance, pittura e fotografia, ha dovuto ripiegare subito sugli altri due luoghi previsti nel progetto: Castel Sant’Angelo e la Galleria Borghese. «Per lavorare sull’inquadratura prospettica che mi avrebbe permesso di scomparire nei fornici del Colosseo, dovevo entrare nell’area del Foro Romano - racconta - e i funzionari che mi dovevano concedere il permesso si sono rifiutati di farlo quando hanno visto i bidoni di tempere colorate che mi portavo dietro. Hanno temuto che, incautamente, potessi imbrattare qualche monumento». Vestito tutto di nero, alto, snello con appena un accenno di pancetta: «Non posso permettermi di ingrassare neppure un chilo - dice - altrimenti la mia immagine fotografica subirebbe mutamenti con il rischio di buttar via tutta una parte di lavoro già fatto».Per capire di che cosa sta parlando, bisogna vedere le sue opere. Il Museo Hendrick Christian Andersen (via Pasquale Stanislao Mancini 4), nella mostra «Liu Bolin. A Secret Tour», raggruppa, per la prima volta in Italia e nel mondo, l’intero corpus di scatti del ciclo «Hiding in Italy», sezione della celeberrima serie fotografica «Hiding in the City». Fino all’11 novembre si possono ammirare venti fotografie di medio e grande formato, tra cui gli inediti realizzati durante il viaggio dell’artista tra Roma, Pompei, Venezia, Verona, Milano. Alla fine del percorso, un video spiega come Bolin si fa dipingere dalla testa ai piedi in modo mimetico con il luogo esatto in cui si colloca, quasi scomparendo in esso, e poi si fa fotografare, a testimonianza perenne di questa fusione con il luogo, che coincide con la perdita della propria identità. Ed è proprio con la denuncia della distruzione di un pezzo della sua realtà che Bolin ha iniziato il lavoro sulla mimetizzazione. È accaduto nel 2005, quando le autorità cinesi decisero di smantellare con le ruspe il Suojia Village, alla periferia di Pechino, dove lui aveva il suo studio. Per contestare questo atto di forza decise di fotografare il proprio corpo dissolto tra le macerie, dichiarando implicitamente che la demolizione di un luogo comporta anche l’inevitabile distruzione di quello che il luogo contiene, in questo caso la sua identità di artista. L’effetto ottenuto da Bolin con quell’immagine silenziosa è stato più forte di qualsiasi manifestazione. E forse ha ispirato anche alcune delle performance artistiche degli attuali contestatori di Putin in Russia, che si mimetizzano con certi gruppi scultorei del periodo stalinista.Bolin racconta che a Roma aveva scelto tre luoghi significativi per la storia occidentale e in qualche modo mitici per i cinesi: «Il Colosseo come simbolo dell’Impero di Roma; Castel Sant’Angelo perché rappresenta un tipo di architettura, quella del castello, che da noi è inesistente; infine Paoletta, perché evoca un altro impero che ha segnato le vicende dell’Occidente, quello di Napoleone». Paoletta sarebbe Paolina Borghese, sorella dell’imperatore francese, e il fatto che Bolin la chiami con un appellativo così familiare fa capire quanto sia profonda la sua fusione con il personaggio, come si vede nell’immagine esposta.
Lauretta Colonnelli