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 2012  ottobre 04 Giovedì calendario

DA TRAIANO A MARC’AURELIO, IL TEMPO FELICE

«Felicia tempora», li chiamarono i romani. Si riferivano a quell’ottantina di anni compresi tra il 98 e il 180 d. C., tra il regno di Traiano e quello di Marco Aurelio, passando per Adriano e Antonino Pio. La storia li ricorda come «i buoni imperatori» (definizione di Edward Gibbon), perché amministrarono saggiamente le province, senza fare i matti come era accaduto ad altri, primi tra tutti Caligola e Nerone. In questa età dell’oro maturarono i frutti positivi della conquista romana: la pace in tutti i paesi che affacciavano sul mediterraneo, l’unificazione del sistema monetario e la diffusione di quello legislativo, l’adozione del modello di vita urbano anche nella periferia dell’impero. Il periodo è raccontato nella mostra «L’età dell’Equilibrio», curata da Eugenio la Rocca e Claudio Parisi Presicce, inaugurata ieri e aperta da oggi al 5 maggio 2013. L’esposizione fa parte del progetto «I giorni di Roma», un pacchetto di quattro rassegne organizzato da Zètema e da MondoMostre. Negli anni scorsi si erano viste «L’età della conquista» e «Ritratti». Adesso, attraverso imponenti statue di marmo, fregi, sarcofagi e raffinate opere in bronzo, si racconta l’età dell’equilibrio dell’impero romano. «Come ogni equilibrio - precisa La Rocca - anche questo era il risultato di tendenze contrastanti e lo dimostra il fatto che nel II secolo d. C. le spese militari aumentarono in maniera abnorme: 700 milioni di sesterzi all’anno, su un budget imperiale di un miliardo, venivano impiegati per mantenere l’esercito. Le province erano agitate e le continue rivolte venivano represse brutalmente».Non a caso tutti i monumenti di questo periodo raccontano scene di guerra, raffigurano vinti in catene e imperatori vittoriosi. Non è più la pace del tempo di Augusto, questa volta è frutto di un attento governo militare. Perfino Marco Aurelio, noto per essere filosofo, particolarmente buono e saggio, fu costretto a combattere contro le popolazioni germaniche. Ed è proprio sotto Marco Aurelio che si comincia a sentire un senso di disagio anche nel linguaggio artistico. Scorrendo le opere in mostra si nota come le immagini serene della classicità tendano man mano a disintegrarsi per dare vita a nuove forme rese drammatiche da un gioco ottico di chiaroscuro.All’ingresso appaiono le statue e le teste dei protagonisti: Traiano, Adriano, Antonino Pio e Marco Aurelio. Accanto a quelle delle loro rispettive spose: Plotina, Sabina, Faustina Maggiore e Faustina Minore, che giunse a cambiare pettinatura per ognuna delle sue sette gravidanze. Alcune, raffigurate nei busti presenti in mostra, assomigliano ad acconciature del 1930, con capelli racchiusi in semplici chignon o piegati a onda ai lati della fronte. Si prosegue con alcune sculture del periodo adrianeo, il più vicino al linguaggio ellenistico. Si passa alle statue che arredavano le ville di Ariano a Tivoli e a Loukou nel Peloponneso e ai rilievi da monumenti come la colonna Traiana. Si chiude con i grandi sarcofagi. Ricorda La Rocca che questo fu un momento epocale nella storia delle cerimonie funebri, in quanto si passò dalla cremazione dei corpi all’inumazione. I sarcofagi destinati ad accogliere le salme diventarono oggetti di lusso estremo, in cui le scene dell’esistenza terrena (anche qui battaglie) si alternavano a quelle della dolce vita dell’oltretomba. Tra i corredi funebri più importanti, il tesoro di Marengo, ritrovato per caso nell’aprile del 1928 in un terreno tra Tortona e Asti e proveniente dal Museo di Antichità di Torino.
Lauretta Colonnelli