Lauretta Colonnelli, Corriere della Sera 28/09/2012, 28 settembre 2012
YTO BARRRA. MATTONI E MACERIE
Tra le fotografie che Yto Barrada espone al Macro nella mostra «Riffs» c’è anche quella dell’uomo che rapì il nonno dell’artista, nel 1956. Ha il volto segnato dalle rughe, lo sguardo perso lontano. Il nonno paterno di Yto, Abdelkader Barrada, era un colto mercante di Tangeri, impegnato nelle file del partito d’indipendenza che auspicava la fine del protettorato francese e l’inizio di un governo democratico. L’altro partito indipendentista, chiamato Istiqlal, voleva invece il ripristino dell’autorità politica del sultano Mohammed Ben Youssef all’interno di una monarchia costituzionale. Nel 1956 il Marocco ottenne l’indipendenza e Ben Youssef diventò re. L’ordine di rapire il nonno paterno di Yto partì quasi sicuramente dalle frange di Istiqlal, che cercavano di eliminare gli avversari politici. La famiglia Barrada non ha più saputo niente di Abdelkader. Ma quarant’anni dopo, nel 1997, Yto ha scoperto l’identità del suo rapitore. «Fu lo scrittore Mohamed Choukri a rivelarmi che era ancora vivo. Riuscii a fotografarlo di nascosto dalla terrazza del Café Fuentes a Tangeri. Lui in seguito venne a saperlo. Ma non ci siamo mai incontrati».L’immagine è un po’ l’emblema di questa mostra, in cui la storia del Marocco si intreccia alla vita dell’artista. Yto è nata a Parigi nel 1971, è cresciuta a Tangeri, ha studiato alla Sorbona e a New York, dal 1998 è tornata a vivere e a lavorare nella città marocchina dove da cinque anni ha aperto e dirige la Cinématèque de Tanger, il primo centro culturale di cinematografia gestito da artisti nel Nord Africa. Dice di non sentirsi né francese né araba. «L’identità è una finzione, certe volte viene inventata per manipolare le persone e indurle alla violenza. Sono una ragazza del Nord del Marocco, che è un luogo particolare per la sua storia e la sua geografia e ha avuto rapporti con quasi tutti gli imperi che nel corso dei secoli hanno cercato di depredarlo». L’artista ha vinto il premio «Deutsche Bank’s Artist of the Year 2011», perché «si confronta da più di un decennio con la situazione sociale, politica ed economica del Nord Africa, che ha portato ai rivolgimenti tuttora in atto; e allo stesso tempo la sua opera ruota intorno all’utopia, intesa come la speranza di trovare un modo diverso di vivere insieme, superando i limiti imposti dalla tradizione». Lo precisa Friedhelm Hütte, responsabile per l’arte di Deutsche Bank, che ha curato la mostra insieme a Marie Muracciole. Yto crede nella «primavera araba»: «La cosa più importante è che la gente ha preso finalmente la parola e questo non si può dimenticare. Più che la paura del fondamentalismo, dato che in Nord Africa esiste un islamismo moderato, c’è il timore per l’aumento del prezzo dello zucchero e quello di non trovare più l’acqua perché gli speculatori hanno occupato i terreni dove sgorgano le sorgenti. Non si può pensare che dopo una rivoluzione arrivi automaticamente una democrazia perfetta. Ci vorrà tanto tempo, per il momento è importante andare avanti, anche a piccoli passi». Il percorso della rassegna al Macro inizia con le grandi foto scattate a Tangeri e dintorni: un territorio che ha subìto profonde trasformazioni dopo gli accordi di Schengen del 1991. «Da allora ? spiega Yto ? lo stretto di Gibilterra, rigidamente sorvegliato, è un limite invalicabile, sia per le migliaia di rifugiati che arrivano dai Paesi africani, sia per la popolazione locale. Allo stesso tempo, la costa intorno alla leggendaria «città bianca» si sta trasformando in un gigantesco quartiere turistico. Il paradosso è che gran parte della popolazione marocchina non può lasciare il Paese, ma al tempo stesso è costretta a confrontarsi con le devastanti conseguenze del boom turistico e dell’attività edilizia ad esso collegata». L’artista rappresenta la città come un luogo in cui gli abitanti sono intrappolati in una situazione di perpetua attesa, tra terreni incolti, fabbricati incompiuti, interni di case dove i bambini giocano in mezzo a mucchi di oggetti accatastati come per una partenza imminente.Si prosegue con la proiezione di filmati prodotti dalla Cinématèque de Tanger, tra cui un corto girato dalla stessa Barrada e intitolato «Beau Geste». Un gruppo di persone, tra cui il giardiniere italiano Umberto Pasti, rincalzano con mattoni e terra il tronco di una vecchia grande palma che svetta sull’unico scampolo di terreno rimasto libero al centro di Tangeri e che era stata ferita dagli speculatori nel tentativo di farla cadere. Accadeva nel 2010. Come è finita? «La palma sta bene», dice Yto, sorridendo per la prima volta dall’inizio dell’intervista.
Lauretta Colonnelli