Lauretta Colonnelli, Corriere della Sera 17/09/2012, 17 settembre 2012
LA LEGGEREZZA DEL VERO GOFFREDO GODI
Goffredo Godi, 92 anni portati con soave leggerezza, continua a dipingere dal vero. Nell’ antologica che gli dedica il Vittoriano, «Goffredo Godi. Settant’ anni di pittura», aperta nella sala del Giubileo fino al 26 settembre e curata da Lorenzo Canova, una buona parte dei quadri sono paesaggi dipinti en plein air negli ultimi vent’ anni. E ritratti eseguiti costringendo i personaggi a lunghe sedute di posa. Soltanto quello di Carlo Azeglio Ciampi è il risultato del lavoro su una serie di foto scattate dallo stesso artista. Che ancora si rammarica di non aver potuto ritrarre l’ ex presidente dal vero. «Dingere dal vero - spiega - mi dà la possibilità di analizzare, di scoprire ed evidenziare i ritmi che si nascondono nella natura e forniscono all’ uomo, che inconsapevolmente accetta, sostanze liriche capaci di irrobustirgli lo spirito fino alla formazione della personale coscienza». Arriva di mattina presto con il suo cavalletto sulla terrazza del Pincio, o al Foro romano, o sui ponti del Tevere, o al Tiburtino a spiare i caseggiati di periferia. Rientra verso mezzogiorno, quando il sole allo zenit appiattisce la visione impedendo di cogliere le sfumature luminose. Racconta di essere diventato pittore grazie all’ incanto provato per la cassetta dei colori di Luigi Crisconio. Ragazzo povero di Omignano, in provincia di Salerno, Godi andava a vedere il maestro che, tornato da Parigi alla fine degli anni Trenta, ritraeva i paesaggi sotto il Vesuvio. Godi si costruì una cassetta uguale a quella di Crisconio e cominciò a dipingere. Ma con altre tonalità. I colori di Crisconio tendono all’ ocra, quelli di Godi risplendono ancora oggi di frescura, nelle pennellate ricche di verde e di azzurro. «Fin da ragazzo realizzai paesaggi nel piccolo porto del Granatello a Portici. Non era un luogo pittoresco ma pittorico sì». Racconta che i primi insegnamenti li ebbe nella scuola d’ incisione del corallo. E che per quanto riguarda la figura, il primo soggetto fu sua nonna Mariuccia. Il ritratto porta la data del 1936. «Ancora oggi lo considero riuscito, fatte salve le ingenuità dei miei quindici anni. Da ragazzo ero molto minuzioso, l’ esperienza mi ha poi fatto sempre più cercare la sintesi. Oggi l’ attenta lettura della muscolatura di un volto mi apre la strada alla comprensione dei piani di quel viso, attraverso i quali mi provo a far venire in evidenza il carattere del soggetto, i suoi sentimenti. Chi è in posa è attraversato da pensieri mutevoli e il pittore è come se li vedesse affiorare». Poi arrivò la guerra e il campo di concentramento. Il ricordo di quel periodo resta in un quadro, dipinto però nel 1966: un commovente «Girotondo» che ha la struttura della «Danza» di Matisse, ma non la sua joie de vivre, sostituita qui dalla sensazione che si può sopravvivere solo grazie a un legame di fratellanza tra gli uomini. Nel 1971 Godi si trasferisce definitivamente a Roma. Dice che nel suo lavoro non parte mai dal disegno, benché lo ami. «Io comincio subito col colore, metto sulla tela o sulla carta alcuni toni, che sono il colore della luce, e vado avanti. Parto dal principio che il colore debba diventare forma e non già che la forma debba preesistere e poi colorarsi. Ripeto: la delizia del colore. E aggiungo: la gioia che anzitutto scaturisce dal cammino che i gialli fanno verso i rossi».
Lauretta Colonnelli