Pino Aprile, Panorama 11/10/2012, 11 ottobre 2012
IL DILEMMA DELLA SETTIMANA
Il rapporto Svimez dice 400 anni, ma se si continua con le politiche che hanno creato e mantenuto la questione meridionale. Il rapporto va letto all’incontrario: il divario Nord-Sud sfiderà i secoli, se non si cambia registro. E qual è il registro? Per capire le cose, si deve partire dalla loro origine. Il ritardo economico (e non solo) del Sud nasce con l’unità d’Italia, il saccheggio del Sud; la distruzione della sua economia; le commesse pubbliche solo al Nord, tranne eccezioni; la costruzione di infrastrutture quasi soltanto nel Centro-Nord, ma a spese di tutti.
Quando si unificò il Paese (rapporto del Consiglio nazionale delle ricerche, professori Daniele e Malanima; o dell’ufficio studi della Banca d’Italia, o della stessa Svimez e dell’Istat), la ricchezza pro capite prodotta al Sud era almeno pari a quella del Nord, gli addetti all’industria più che nel resto d’Italia. Il più grande stabilimento siderurgico della Penisola era in Calabria (e fu subito chiuso); le maggiori officine meccaniche erano borboniche (i Savoia fecero strage degli operai che difendevano l’azienda). Il Piemonte comprò dai napoletani le locomotive per i suoi treni; delle 75 costruite e circolanti nel Paese unito, 60 erano state fatte al Sud, 15 nel resto d’Italia. Poi, in pochi anni, il contributo meridionale all’industria ferroviaria fu ridotto di 9 decimi.
E così gli investimenti statali unitari per la costruzione di scuole, strade o la bonifica delle paludi (solo al Nord; e se al Sud, dando poi i terreni redenti con i soldi di tutti a coloni del Nord, come nel Basso Lazio). Per le spese militari, quasi il 93 per cento andò al Nord e al Centro; in Liguria gli appalti della Marina, a danno dei cantieri di Castellammare di Stabia (i più grandi del Mediterraneo) e Napoli.
Dopo 85 anni così, nel 1946, per la prima volta, tutte le regioni del Sud furono più povere di quelle del Centro-Nord. Persino i soldi degli alleati, per i danni di guerra nel Meridione, furono dirottati al Nord. Quanto alla Cassa per il Mezzogiorno, più che «interventi straordinari» costruì strade, dighe, scuole, altrove fatte senza casse, ma prima e di più.
Oggi si continua, accusando di furto il derubato, chiedendogli di fare «anche» lui autocritica. Perché, qualcuno l’ha fatta per avere rubato ai meridionali i soldi per abbuonare l’Ici a tutta l’Italia? E quelli per i danni del terremoto all’Aquila e le multe degli allevatori padani disonesti? E le accise sulla benzina, pro alluvionati di Liguria e Toscana, non del Messinese? E l’esclusione (Attila-Gelmini) dall’insegnamento, nei licei, della letteratura italiana del Novecento, di tutti gli autori e poeti meridionali, pur se premi Nobel? E il miliardo tolto a ricerca scientifica e aziende innovative nel Meridione, e dato all’industria bresciana delle armi e all’illuminazione in Veneto? Eppure, in 5 anni, la Puglia, già ultima, è una delle prime regioni per start-up (imprese nate su nuove idee); pugliese è l’azienda più innovativa d’Italia del 2011 e il Politecnico di Bari, unico del Sud, è ora primo, per quantità e qualità della ricerca.
Chi è che deve fare autocritica? La Germania, in 20 anni, ha unificato Est e Ovest, dopo 50 anni di ostilità militari: ha investito dove c’era meno, sino a colmare le differenze. In Italia si investe per accrescere il divario e si incolpa chi è lasciato indietro. Nel 2011 (dati Svimez) lo Stato ha investito per il 18 per cento al Sud, ma il 24 per cento delle entrate fiscali è versato dai meridionali. Autocritica: si paga per aumentare le distanze, mentre il capo della Lega (ospite alla festa del Pd), contro eguaglianza dei cittadini e Costituzione, pretende: «Prima il Nord». Insomma: «Prima i bianchi» (il leghista Matteo Salvini voleva i sedili riservati ai milanesi in metropolitana). Altro che 400 anni, così l’Italia si rompe molto prima. Già scricchiola.
* giornalista, scrittore, autore di «Terroni» e «Giù al Sud»