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 2012  ottobre 07 Domenica calendario

«Il guaio più grosso è che danno un’immagine falsata del soldato romano. I centurioni che stazionano davanti al Colosseo indossano armature copiate dal cinema»

«Il guaio più grosso è che danno un’immagine falsata del soldato romano. I centurioni che stazionano davanti al Colosseo indossano armature copiate dal cinema». Parola di Silvano Mattesini, sessant’anni, origini aretine, infanzia sull’Appia antica, poi architetto, insegnante di storia dell’arte in un liceo di Rieti, da vent’anni impegnato a ricostruire le armature dell’antico esercito romano seguendo accuratamente le fonti, da Cassio Dione a Plutarco, da Tacito a Polibio. E osservando le raffigurazioni dei soldati e degli imperatori scolpite nel marmo. «Ho avuto la conferma dell’esistenza delle corazze in lino, le cosiddette linothorax, guardando la statua di Augusto ai Fori (copia in bronzo dell’Augusto di Prima Porta conservato ai Musei Vaticani ndr). Per fortuna – racconta - gli imperatori venivano ritratti con il braccio alzato, così ho potuto esaminate attentamente la lorica sotto l’ascella, e ho visto che è molto accollata: non poteva essere fatta in un materiale troppo duro come il metallo o il cuoio, altrimenti avrebbe tagliato il braccio. E sul fianco ci sono nervature che terminano in un fiocchetto, per stringere la corazza una volta indossata, come i corsetti delle donne nel Settecento. Doveva per forza essere in lino, come raccontano le fonti, che fanno risalire questa tipologia ad Alessandro Magno». Una ulteriore conferma l’ha avuta ai Mercati di Traiano: «C’è un frammento di statua con pteryges, le frange che formano una sorta di gonnellino decorativo sotto l’armatura. Ebbene in queste frange svolazzanti di marmo, si riconosce perfino la trama finissima del tessuto». Mattesini, a furia di tentativi, sarebbe riuscito a ricostruire fedelmente la linothorax: undici strati di lino naturale e, assicura, nessuna lancia è in grado di trapassarla. Perché, una volta realizzato, ogni pezzo viene provato su campi di battaglia inscenati da gruppi di atleti addestrati nelle varie strategie di combattimento. Dice Mattesini che ce ne sono in tutta Europa. Quelli rigorosamente storici, guidati dai cosiddetti archeologi sperimentali (come lui stesso si qualifica) e quelli ludici, che si costruiscono da soli le armature, «con sforzi enormi e spesso sbagliando». Racconta che il suo maestro è Marcus Junkelmann, considerato il pioniere dell’archeologia sperimentale. «Ultimamente è rimasto ferito alla gola da un colpo di lancia mentre provava un nuovo elmo». Assicura che durante le sperimentazioni si scopre ogni volta un elemento in più sull’esercito che duemila anni fa partì da Roma alla conquista del mondo. La cosa più impressionante è stata la rivelazione del rumore spaventoso che le schiere di questo esercito producevano. «Il clangore assordante del cingulum del legionario, unito al suono dei quattro campanelli che ornavano la custodia dell’ascia, a quello della spada che batteva sugli schinieri e dei pendagli in bronzo legati al polpaccio, doveva essere qualcosa di terrificante, udibile a chilometri di distanza, studiato apposta per mettere in fuga il nemico». Mattesini ha ricostruito tutto, a mano, servendosi di artigiani sparsi in Italia e nel resto d’Europa. Una cinquantina di corazze in lino, cuoio, metallo. Oltre centocinquanta elmi. Centinaia di spade e accessori vari. Alcuni pezzi sono esposti al museo archeologico di Rieti. Il resto è chiuso in grandi scatole, stipate in un magazzino e concepite per riempire tre Tir. Partono ogni volta che arriva la richiesta per una mostra. A Roma, le armature di Mattesini sono state esposte al Colosseo, a Castel Sant’Angelo, al Palazzo dei Congressi. In questi giorni si possono vedere al Museo delle Mura (via di Porta di San Sebastiano 18), dove resteranno fino al 15 dicembre. Lauretta Colonnelli lcolonnelli@corriere.it