Vered Ramon-Rivlin, Panorama 11/10/2012, 11 ottobre 2012
DONNE NELL’OMBRA
Costituiscono una delle più importanti risorse dello Stato di Israele ma, nonostante l’importanza che rivestono per il paese, non leggerete articoli di giornale su di loro, non le vedrete in televisione, non avrete modo di applaudirle. Il riconoscimento e la gloria non sono per loro. Non riuscirete a identificarle, perché operano sotto copertura. Sono donne nell’ombra.
Per la prima volta abbiamo ottenuto un permesso speciale per intervistare cinque donne agenti del Mossad di alto livello. Tutte sono madri di famiglia e al contempo comandano squadre di agenti in diverse aree: pedinamenti, sorveglianza, contatto con l’entità ostile, accesso al bersaglio. Gli agenti che operano in paesi nemici sono esposti a un rischio molto più elevato di quelli che lavorano in stati non ostili...
Efrat: «Se sto svolgendo il mio incarico in uno stato nemico e vengo scoperta, la mia vita è finita. L’essere pronti al sacrificio per il bene della sicurezza del paese è qualcosa che ci accomuna tutti».
Efrat è vicecapo di una divisione, il comandante femmina di più alto rango all’intemo del Mossad. Durante una missione ha incontrato l’uomo che poi è divenuto suo marito. La coppia, tuttora in servizio attivo, ha tre figli. Efrat ha ricevuto l’Israel security prize, il premio per la sicurezza d’Israele.
Yael: «Le agenti del Mossad che svolgono il lavoro al di fuori dello stato di Israele sanno di mettere a rischio la propria vita e la propria libertà, anche se a casa hanno un figlio ammalato».
All’interno dell’organizzazione Yael è una leggenda: ha lottato per proseguire il servizio operativo anche dopo essere diventata madre. All’epoca non appena una donna aveva un figlio veniva trasformata in una specie di pianta da appartamento. Ci sono voluti parecchi anni perché accettassero di mandare Yael in servizio attivo all’estero.
Shira: «Non è facile reclutare donne per il Mossad. Se sono già sposate, le resistenze in famiglia possono essere molto più frequenti. Se i loro partner si dichiarano d’accordo, non sanno cosa stanno facendo. Oppure cercano di imporre limitazioni impossibili».
Negli ultimi anni, le donne hanno raggiunto gradi molto elevati all’interno del Mossad. La donna con la carica più alta è stata vicedirettore alle dipendenze di Shabtai Shavit, che ha ricoperto l’incarico di direttore generale del Mossad dal 1989 al 1996.
Come vi ha cambiato questa esperienza estrema?
Ella: «Con il passare del tempo siamo diventate più tenaci, più dure e in realtà questo mi disturba».
Ella ha 38 anni e tre figli: «Questo contrasto tra la mia casa accogliente e tranquilla e l’attività operativa mi colpisce al cuore e assume un significato chiaro e profondo. Il giorno della festività di Lag Ba’omer ho lasciato i miei incarichi operativi per stare insieme ai miei figli, anche se solo per poche ore. Ero l’unica donna attorno al falò in tacchi alti e abito di sartoria, probabilmente ero l’unica madre del gruppo a prestare servizio nel Mossad. Un privilegio enorme, un grande onore e una pesante responsabilità».
Efrat: «È l’unica struttura che permette alle donne di combattere per difendere il paese».
Shira: «È come vivere in un film. Ho sempre pensato che solo Superman ci riuscisse, solo persone veramente speciali, e all’improvviso mi ritrovo impegnata in azioni che si vedono soltanto nei film di spionaggio».
Ella: «Ho preso parte a operazioni di gran lunga più pericolose di quelle che vedete al cinema. In un film le azioni durano cinque minuti, le nostre operazioni mesi. È una sfida, dal punto di vista fisico, intellettuale ed emotivo. Sei sempre in guerra».
Efrat: «Esiste solo una situazione per la quale non abbiamo ancora trovato una soluzione».
Ella: «Termini un’operazione e scompari dalla scena con l’adrenalina alle stelle».
Voi mettete a repentaglio le vostre vite, ma nessuno è al corrente di quello che fate. Come vi sentite?
Yael: «È dura. Viviamo in una società fondata sull’apparenza, dove tutti sbandierano quello che fanno, tutti tranne noi».
Shira: «È un lavoro con una grande componente di egoismo. Sono nel posto migliore. Ha aumentato la fiducia in me stessa».
Vi ritrovate in situazioni terrificanti. Come fate a tenere lontano la paura?
Efrat: «Ci insegnano che per contrastare l’angoscia tutto è possibile. Nel corso di un’operazione non siamo focalizzate sulla paura, altrimenti il timore ti paralizza».
Le cose possono andare per il verso sbagliato e causare il panico, con il conseguente fallimento dell’operazione e a volte anche la perdita della vita...
Yael: «L’aria d’innocenza che emani in situazioni di pericolo, la calma, l’assenza di stress, queste sono le tue armi. In questo, le donne hanno un grosso vantaggio».
Forse perché non sono i sospettati ideali?
Yael: «Esatto. Una donna riesce a spingersi molto oltre in situazioni in cui un uomo verrebbe bloccato dallo schieramento opposto dopo soli 3 minuti. Per una donna che si fa avanti sorridendo ci sono molte più probabilità di successo. Se trovano un uomo seduto a un angolo della strada alle 2 del mattino in un luogo un po’ insolito, lo considerano sospetto. Se è una donna, le si avvicinano per chiederle se ha bisogno di aiuto».
Ella: «Quando la sorveglianza viene svolta di notte, un uomo solo fa sorgere dei sospetti. Un uomo e una donna sono più naturali».
Avete cercato di andarvene?
Efrat: «È una droga. Provoca assuefazione. C’è stato un periodo in cui sono passata al lavoro di ufficio per il Mossad e mi sentivo finita».
Come sopravvivete ai fallimenti?
Efrat: «Ci sono anche quelli. Come comandante, il senso di fallimento che si prova è molto più forte, ma ci insegnano che solo chi non cade non si rialza. Può diventare la migliore esperienza di apprendimento».
Trascorrete la maggior parte della vita sotto false identità. C’è qualcosa dentro di voi che si ribella?
Ella: «Vivi in due mondi e tu sai come spostarti da uno all’altro. Chiunque intorno a te è un attore con un ruolo nell’operazione».
Yael: «All’inizio lavoravo come moglie di un altro agente in un paese nemico.
Ero single, ma per un lungo periodo ho interpretato il ruolo della moglie di qualcuno. Dovevo essere in grado di leggere le situazioni sociali e operative, di capire se sospettavano che non fossi la sua compagna, di accorgermene in tempo e agire di conseguenza. Quando vivi in un paese nemico con un partner nella stessa casa e con voi abitano dei domestici, chiaramente faranno rapporto alle autorità, dal momento che siete stranieri».
Se non sapete mentire, non avete possibilità?
Shira: «È una condizione essenziale. Bisogna sapere raccontare la storia di copertura con calma e con un elevato grado di sicurezza. Occorre affinare perfettamente la capacità di mentire esternamente e riportare la verità internamente: un principio assoluto. Se commetto un errore, nel 99 per cento dei casi sarò l’unica a saperlo, ma il grado di onestà richiesto impone di presentarsi e riferirlo. Chi non riferisce la verità viene messo alla porta».
Quali sono stati i momenti di crisi?
Efrat: «Quando si prendono decisioni che hanno effetti negativi sugli altri. In una missione siamo riusciti a scappare, ma la modalità che ho scelto ha messo a rischio la squadra. Scelta difficile che porto ancora con me».
Ella: «Avevamo completato un’operazione che era durata piuttosto a lungo ed ero tornata a casa. Chiesi ai miei superiori che cosa ci sarebbe stato dopo e mi risposero: "Non possiamo farti rischiare la vita in un’altra missione. Fine della questione. Se vuoi, possiamo affidarti un lavoro d’ufficio". È stata una doccia fredda».
Come si è trasformato il Mossad con la presenza delle donne?
Ella: «All’inizio le donne avevano una funzione puramente decorativa. Oggi è il contrario. A volte portiamo con noi degli uomini solo con funzione di supporto».
Yael: «Negli ultimi anni abbiamo avuto dei comandanti operativi donne. Un tempo ci dicevano: "Voi siete una coppia di fantasmi. Lui è il numero 1 e tu il numero 2"».
Qual è stato il rischio più grande dal quale vi siete dovute proteggere?
Yael: «Prendere un aereo per Israele per me era molto rischioso e ho ridotto le partenze anche se rappresentavano il mio collegamento con la verità e la mia casa».
Perché le agenti del Mossad sono diventate «honey trap», trappole al miele?
Efrat: «Sfruttiamo la nostra femminilità perché tutti i mezzi sono leciti, ma gli agenti donna non sono impiegati per fini sessuali. Si mettono in atto dei giochi di seduzione, si sfrutta l’attrazione sessuale, ma senza arrivare all’attività sessuale vera e propria».
Qual’è l’azione più temeraria che avete compiuto?
Yael: «L’operazione attiva dura solamente pochi istanti. E immediatamente dopo devi rientrare nella storia di copertura, che ti offre un’adeguata protezione e ti nasconde. Il pericolo consiste nel passare da una parte all’altra».
E poi c’è Nirit, agente del Mossad, titolare di un dottorato in scienze umanistiche.
Nirit: «Ho avuto il privilegio di essere la prima donna a rivestire un ruolo di primo piano nella divisione Humint (dedicata alla raccolta di informazioni fornite da fonti umane, ndr). Tutto ha avuto inizio all’epoca di Shabtai Shavit. Voleva delle donne per questo ruolo, perché fino a quel momento non ce n’erano state».
Perché il centro di valutazione viene ricordato come l’esperienza più forte?
«Ti dimostra che puoi fare sempre di più. Sapevo di essere intelligente, sapevo di essere coraggiosa e che mi piacevano le emozioni forti, ma non avrei mai immaginato che esistessero dei limiti che ero in grado di superare».
Qual è l’abilità che ha sviluppato di più?
«Ho imparato che cosa significa fare lavorare qualcun altro al tuo posto. Lui pensa di sapere chi sei, si affida al tuo giudizio, e tu sei una sconosciuta. È incredibile che questo sia possibile».
Come avviene?
«Sempre per vie indirette, costruendo una relazione fondata su molti anni di fiducia in cui solo alla fine dici che cosa vuoi, ma non perché lo vuoi. Sono le nostre fonti e non lo sanno. Non sanno che stanno lavorando. In passato ritenevano che le donne non fossero in grado di attuare queste strategie con uomini di paesi nemici: erano considerate solamente oggetti sessuali. Poi hanno capito che le nostre forze erano molto più maschiliste della controparte, che invece mi trattava come una persona».
L’abilità che ha sviluppato fa nascere un senso di onnipotenza?
Non deve accadere. Ti senti competente, potente, ma è molto pericoloso: ogni tanto un totale insuccesso serve».
Che cosa trova più sorprendente riguardo all’abilità di carpire informazioni?
«Impari che puoi inventarti una realtà e che la gente ti crederà. Le donne sono brave in questo, perché riescono a capire meglio le persone rispetto agli uomini. Sono più vulnerabili e dunque più prudenti e più rapide nell’afferrare le situazioni».
Qual è stato il momento più significativo della sua attività?
«Una sera ero seduta insieme a quattro persone appartenenti a quello che è il nostro più duro nemico. Abbiamo avuto una conversazione sorprendente, personale, professionale e ho scoperto che il nostro peggior nemico è intelligente, affascinante, stupefacente. Sospettavano di me e mi hanno testato. Per mezz’ora mi hanno rivolto domande e io ho risposto il contrario di ciò che era logico, affidandomi all’intuito. Superato il test, siamo rimasti insieme altre due ore. Mi hanno fatto tirare fuori il massimo delle mie capacità».
Globes Publisher Itonut (traduzione Studio Brindani)