Giorgio Ponziano, ItaliaOggi 11/10/2012, 11 ottobre 2012
Tremonti: basta coi compiti a casa – La casa dei moderati? «Sono qui», dice Giulio Tremonti. Unica condizione: che possa continuare a parlare fuori dal coro
Tremonti: basta coi compiti a casa – La casa dei moderati? «Sono qui», dice Giulio Tremonti. Unica condizione: che possa continuare a parlare fuori dal coro. Sì perché, a differenza dei suoi probabili compagni d’avventura, lui non lesina critiche contro Mario Monti e propone la sua ricetta alternativa per risanare i conti pubblici. Si tratta di un inquilino scomodo ma ha un suo bacino di consenso. Quindi meglio tenerlo in casa, infatti Pier Ferdinando Casini e Gianfranco Fini hanno mandato messaggeri di pace a Riccione, dove l’ex-ministro ha distribuito il suo manifesto e chiamato a raccolta i fan per tagliare il nastro del novello partito: Lista lavoro e libertà. Invece nessun dirigente leghista presente e lui commenta buonista: «Non ho incontrato nessuno, da moltissimo tempo, di questi signori oggi al vertice della Lega. Non mi interessa la politica delle poltrone ma dobbiamo decidere se dobbiamo essere padroni a casa nostra o calpestati e derisi». Sono 40 i punti del programma, scritto di suo pugno. Al centro c’è la critica a Monti, subalterno alla Germania di Angela Merkel: «Non c’è tecnico e non c’è straniero che verrà a salvarci. Non c’è paracadute di Francoforte a cui appenderci. Non ci possiamo affidare solo alle cure economiche europee. Quelle finanziarie sono infatti solo cure temporanee e sono comunque a pagamento (prima l’ossigeno, poi la fattura, con gli interessi). Quelle economiche, più che curare, fanno del male, creando recessione, disperazione, emigrazione. Inutile costruire un palazzo su un terreno che sta cedendo. La mia proposta è partire dal terreno e da lì facciamo la casa. Se non mettiamo in sicurezza il debito pubblico costruiamo sulla sabbia». Invece che salva-Italia, Tremonti lancia compra-Italia: «Un piano per mettere in sicurezza il nostro debito pubblico e tornare a essere padroni a casa nostra, bloccando la speculazione sulla nostra porta di casa: lasciarla fuori, via via sottoscrivendo, noi, la quota in mani estere del nostro debito pubblico, così da chiudere il canale attraverso cui importiamo, in presa diretta, proprio quella speculazione finanziaria che ci ha destabilizzato e che continua a destabilizzarci». Il manifesto di Tremonti propone di cancellare l’Imu sulla prima casa non di lusso e introdurre, a copertura, un’aliquota di imposizione bancaria e finanziaria sui profitti da attività speculative e sulle attività fatte nei paradisi fiscali. Sul piano operativo, sarà appoggiato un referendum sull’Europa, e quanto ai costi della politica, nessun compenso per l’attività politica potrà superare il guadagno di un precario, infine l’ abbassamento a 16 anni della maggiore età. Commenta Tremonti: «Queste proposte avranno certamente contro la lobby della finanza internazionale. Saranno contro anche le sue filiali italiane. Pazienza. La ragion d’essere dell’Italia come Stato nazionale non può esaurirsi nella esecuzione dei diktat imposti dal mercato finanziario e per lo sviluppo dei loro interessi, non può ridursi nella compilazione di compiti a casa, prima benevolmente scritti dai nostri partner europei e poi vigilati dai loro fiduciari domestici. Basta tasse, stop paura: l’Italia deve uscire dallo schiaffo tedesco». I 40 punti saranno portati in parlamento dagli eletti tremontiani, perché l’ex-ministro è sicuro che con la sua pattuglia approderà a camera e senato: «Sarà un dopo-elezioni difficile», dice, «perché i vecchi partiti col 24 o il 16 % arriveranno in parlamento ma non andranno avanti perché non potranno gestire i grandi problemi coi piccoli numeri. In più vi sarà un forte astensionismo, più si va verso il Lazio più l’astensionismo è in espansione». Ancora: «Io sicuramente mi candido, vogliamo entrare in parlamento con tanti giovani, ai quali dovremo trasmettere informazioni ed esperienze. Dello scontro nel Pdl come delle primarie non ce ne frega niente. Vogliamo discorsi concreti, come quelli di Obama e Romney, preparatissimi a parlare di ciò che vive la gente». Sembra Beppe Grillo ma è Tremonti, che spiega: “Non sono tra coloro che considera il movimento 5stelle fuori dalla democrazia ma certo non lo voterei, anche se le cose che lui dice oggi sulle banche io le scrivo da 20 anni». Con Grillo, comunque, condivide l’astio verso il governo Monti: «Non è riuscito nella crescita e non ci ha dato stabilità. In un anno ci sono state troppe tasse e troppa paura». Anche le modalità della convention riccionese (400 persone presenti) sembrano prese a prestito dal comico-politico, niente maxi-schermi, arredamento spartano, palchetto, microfono e cinque minuti per ogni intervento, senza deroghe, neppure per l’ex-senatore socialista Rino Formica, unico presente e plaudente della vecchia nomenclatura politica o per l’imprenditore dei polli, Francesco Amadori, accolto come una star e riconosciuto per via dei suoi spot televisivi. Tutti applaudono le bordate contro Monti: «Per tre anni sul Corriere della Sera ha scritto che io ho salvato l’Italia, che ho impedito all’Italia di diventare come la Grecia: almeno su questo sono d’accordo con lui», afferma. «Ma Monti è un viceré che è riuscito a fare tutto quello che non voleva e a non fare quello che voleva. A partire dal rapporto con la Germania: un conto è il rispetto, un altro è l’ossequio, un conto è tassare il reddito prodotto, un altro è impedire con le tasse che il reddito sia prodotto». Per Tremonti il governo è anomalo, la finanza detta l’agenda della politica, i tecnici non sono super partes e la politica economica del governo è bocciata senza appello: «Negli ultimi anni sembrano aver titolo per parlarci solo finanzieri, tecnici, banchieri, i maghi del denaro. Senza essere eletti dal popolo essi dopo aver preso il controllo prima dei risparmi e poi delle tasse e della spesa pubblica, oggi dal popolo vogliono ancora di più, vogliono che il popolo rinunci di fatto a fare sentire la sua voce». Ce n’è anche per Silvio Berlusconi: «Fino a giugno del 2011 la situazione economica tutto sommato ha tenuto, poi tutto si è rotto quando due politiche si sono confrontate, quella del Tesoro e quella di Palazzo Chigi. Per me, era saggio seguire una politica della prudenza invece fu fatta una scelta irresponsabile e opposta». Tremonti non ci sta a essere messo nel mazzo del governo Berlusconi ma è dura scinderne la responsabilità. Perciò dirotta sul malgoverno delle Regioni e sull’etica della politica: «Quando ho detto che nelle regioni c’erano dei cialtroni, chi aveva ragione e chi torto? Avendoli visti e sentiti i maggiorenti delle regioni, avevo cercato di convincerli a ridurre la spesa pubblica. Avevo tentato di spiegare che a fronte dei sacrifici richiesti, dovevamo farli anche noi i sacrifici: ridurre i compensi, usare gli aerei di linea, livellare tutto sulla media europea. La proposta ? Non prendi una lira in più di quello che si prende in giro per l’Europa». Il chiamarsi fuori di Tremonti è indigesto per molti pidiellini. Per tutti parla il capogruppo della camera, Fabrizio Cicchitto: «È un ideologo neomarxista che si è servito del consenso ottenuto da Berlusconi». Il bello è che il regista del suo revival politico è un ex-prodiano doc, Gianni Pecci, il bolognese che inventò il pullman della prima campagna elettorale del Professore e che adesso tira le fila del nuovo partito made in Tremonti.