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 2012  ottobre 11 Giovedì calendario

Il giorno del giudizio alla fine è arrivato. Ed è impietoso. «Una tragedia», come lo definisce il procuratore antidoping americano, Travis Tygart

Il giorno del giudizio alla fine è arrivato. Ed è impietoso. «Una tragedia», come lo definisce il procuratore antidoping americano, Travis Tygart. Per Lance Armstrong, certo. Per Michele Ferrari. Ma anche per buona parte del nostro ciclismo, dato che nella mole di pagine messe in tarda serata online ci sono documenti che tirano in ballo anche squadre e corridori italiani, totalmente succubi del «Mito» Ferrari, che solo da Armstrong ha incassato oltre un milione di dollari per la preparazione a base di doping. A due mesi dalla richiesta di radiazione del texano da parte dell’Usada e della cancellazione dei suoi risultati dal ’98 al 2006, Tygart diffonde un comunicato, prima di pubblicare i documenti. «Stiamo inviando il dossier del caso all’Unione ciclistica internazionale — premette il grande accusatore —. Le prove raccolte dimostrano al di là di ogni dubbio che la Us Postal ha messo in pratica il più sofisticato programma di doping di squadra che lo sport abbia mai visto (...), un programma organizzato da persone che pensavano di essere al di sopra delle regole e che ancora svolgono un ruolo importante e attivo nello sport di oggi. Ci auguriamo che lo sport utilizzi questa tragedia per evitare che fatti simili si ripetano in futuro». Tygart rivela per la prima volta tutti i nomi degli 11 ex compagni pentiti (in tutto, i pentiti sono 26) e dei testimoni scomodi, tra i quali l’italiano Filippo Simeoni e il maresciallo dei Nas Ferrante, che hanno raccontato il sistema di doping, comandato da Armstrong e da Johan Bruyneel, da sempre suo direttore sportivo. E così, tra le conferme di Leipheimer, Zabriskie, Vande Velde e Danielson (tutti sospesi 6 mesi, un quarto della pena prevista), diventa ufficiale anche il ruolo di «big» George Hincapie, l’unico sempre presente al fianco di Armstrong sui Campi Elisi, dal ’99 al 2005. «Durante una parte della mia carriera, fino al 2006, ho assunto sostanze dopanti. Senza farlo, non sarei riuscito a essere competitivo ad alto livello. È una scelta della quale mi pento. Dal 2006 ho lavorato duro per correre finalmente da ciclista pulito e ho cercato di trasformarmi in un esempio». Il «fattore Hincapie» è decisivo per l’inchiesta: finora le accusa principali contro Armstrong venivano da altri due ex compagni, Hamilton e Landis, che hanno confessato e accusato solo dopo essere stati trovati positivi ed essere finiti in disgrazia. Big George, che si è appena ritirato, è ritenuto uno dei professionisti più seri e affidabili. Lo era anche per il suo vecchio capo Lance, che ora è arrivato alla resa dei conti. Come il suo preparatore Michele Ferrari, «squalificato a vita dall’Usada» come ricorda Tygart nel suo comunicato: basta leggere il verbale dell’interrogatorio al trentino Leonardo Bertagnolli per capire che Ferrari lavora fuori dalla legalità e lo fa con l’avvallo delle squadre, in questo caso la Liquigas, ovvero il principale team italiano. L’Uci, accusata da Tygart di essere la «volpe a guardia del pollaio», si era lamentata del fatto che la documentazione non fosse ancora arrivata, mettendo addirittura in dubbio l’esistenza del dossier. Ora, nero su bianco, ci sono «pagamenti, email, dati scientifici, test di laboratorio che provano l’uso, il possesso e la distribuzione di doping da parte di Lance Armstrong». Ci sono mille pagine, che distruggono da cima a fondo l’epopea del sopravvissuto al cancro, vincitore di sette Tour, ma anche generazioni di corridori minori, direttori sportivi, medici sociali, procuratori. Il texano ha definito l’inchiesta «parziale e contraddittoria» e continua a partecipare da «abusivo» ai triathlon americani. Però questa volta la sua corsa sembra davvero arrivata al capolinea. La novità è che Armstrong non sarà il solo a perdere tutto. Paolo Tomaselli