Stefano Carrer, Il Sole 24 Ore 10/10/2012, 10 ottobre 2012
CINA E GIAPPONE LITIGANO, L’AUTO SOFFRE
La questione non è bilaterale, ma di interesse mondiale: il Fondo Monetario Internazionale ha espresso ieri preoccupazione per le possibili conseguenze sull’economia globale del contenzioso territoriale tra Cina e Giappone, nel giorno in cui le case automobilistiche nipponiche hanno reso noto un vero e proprio crollo delle vendite sul mercato cinese. Il boicottaggio dei marchi giapponesi – legato all’esplodere del contrasto sulle isolette disabitate Senkaku – ha infatti provocato a settembre un tonfo generalizzato delle loro consegne sul principale mercato mondiale dell’auto: Toyota – 48,9%, Honda -40,5%, Suzuki -42,5%, Nissan -35,3%, Mazda -35 per cento.
Il paradosso è che la grande maggioranza di queste auto non vendute è realizzata presso le joint venture cinesi: a minori ricavi e profitti nei bilanci dei gruppi nipponici corrisponderà una più bassa produzione industriale in Cina. Tutto questo in un momento in cui il passo della crescita cinese e giapponese sta decelerando: lo stesso Fmi ha rivisto al ribasso le sue stime sul Pil cinese di quest’anno al 7,8% e quelle sul Pil giapponese al 2,2%, togliendo a entrambi i Paesi 0,2 punti percentuali rispetto alle stime di tre mesi fa. In realtà, vari esperti temono che il Giappone vada verso una recessione, visto il forte calo dell’export in agosto verso la Cina (-9,9%) e l’Europa (-22,9%).
«Se il problema bilaterale si aggravasse, porrebbe un rischio sulle attività economiche non solo regionali, ma globali», ha dichiarato Naoyuki Shinohara, vice managing director dell’Fmi, rilevando che le attuali previsioni del Fondo non contemplano gli effetti della potenziale escalation della disputa tra Tokyo e Pechino.
Secondo varie anticipazioni, le case giapponesi stanno decidendo di tagliare della metà la loro produzione in Cina, dove le scorte sono aumentate e non è consigliabile lanciare nuove campagne di marketing.
In Borsa sono sotto pressione i titoli dell’auto nipponica – già alle prese con la prima diminuzione a settembre (8,1%) delle vendite sul mercato domestico da 13 mesi – ma anche (a Hong Kong) quelli delle case cinesi in joint con i giapponesi come Dongfeng e Guangzhou Automobile. Peraltro è già evidente che costruttori tedeschi e sudcoreani – e i loro partner locali – si stiano avvantaggiando: le vendite Hyundai sono in rialzo del 15% in settembre, quelle di Audi del 20% e quelle di Bmw addirittura del 55 percento. Al di là del settore auto, anche alcuni gruppi elettronici e della distribuzione giapponese sono stati penalizzati, mentre il flusso di turisti cinesi verso il Giappone si è drasticamente ridotto.
Da registrare, infine, un altro sviluppo negativo derivante da un contenzioso territoriale: Giappone e Corea del Sud hanno deciso di lasciar scadere il 31 ottobre, senza rinnovarlo, l’accordo bilaterale di swap valutario da 70 miliardi di dollari (attivabile in caso di tensioni finanziarie internazionali).
Seul non ne ha chiesto il rinnovo, dopo l’aumento delle tensioni relative a un’isoletta – controllata dai coreani e rivendicata da Tokyo – chiamata Dokdo dagli uni e Takeshima dagli altri. Resterà in vigore una più modesta intesa di swap da 13 miliardi. Ormai da considerare in stand-by, inoltre, l’intesa di massima secondo cui Tokyo avrebbe cominciato a comprare bond sudcoreani.