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 2012  ottobre 10 Mercoledì calendario

VENTI ANNI DA SMODERATO ORA IL CAVALIERE PER SALVARSI METTE IL VESTITO DEL DOROTEO

NEL congedo telefonico di ieri mattina, in dieci minuti e trenta secondi, l’ex presidente Berlusconi e il suo intervistatore Maurizio Belpietro hanno pronunciato la parola «moderati» la bellezza di 21 volte. Per la precisione: 16 volte Berlusconi e 5 Belpietro — anche se a quest’ultimo si deve l’inaudita formula secondo cui il Cavaliere avrebbe deciso di «offrire il suo passo indietro ai moderati italiani, affinché si uniscano».
Chi siano e cosa vogliono questi «moderati» è complicato dire. Chi ha avuto qualche frequentazione con la Prima Repubblica avverte l’inconfondibile sentore del «politichese», nella sua articolazione democristoide. Questo supposto moderatismo dorotei, morotei, tavianei e forlaniani regolarmente ammantavano di ambigua astrattezza e furba genericità. Che dopo tanti anni, al culmine dell’incertezza e forse anche della disperazione, ci si aggrappi Berlusconi, per giunta nel discorso in cui annuncia la sua rinuncia, è un caso piuttosto caso interessante, ma in fondo anche triste. L’ultimo trucco, forse, l’estrema bugia cui nessuno è più disposto a credere.
Perché davvero tutto si può dire di lui, meno che sia un moderato.
Non lo è mai stato, né mai lo sarà. Pochi giorni dopo essere uscito da Palazzo Chigi, raffigurato dall’Economist come l’imperatore Nerone, già diceva: «Gli italiani mi rimpiangeranno». E al processo di Biscardi: «Il numero uno resto io». Un vero moderato non lo dice. Né sostiene di aver trovato in Russia «una ventata di libertà e democrazia», e nemmeno per scherzo mostra i lividi procuratisi «giocando a hockey» con Putin.
Per dire la misura, la discrezione e la compostezza, dopo tutto quello che è successo, all’anniversario del Tg5 il Cavaliere si è messo a raccontare la storiella, in dialetto, di un certo Carletto che si era «ciulato» una certa Isabella e nella foga ha tirato un calcio alla gamba di un tavolo da cui è cascato un bicchiere, infrangendosi. A definirlo un moderato, insomma, gli si fa anche un torto. Non occorre qui richiamare i narcisismi, gli istrionismi, le sparate
anche drammatiche di un ventennio, dai bimbi cinesi usati dai comunisti «come concime» ai ristoranti italiani «sempre pieni »; dalle manifestazioni d’affetto con Gheddafi, che gli inviò in dono un container di costumi per il burlesque, a certi apprezzamenti sul corpo di Eluana Englaro. E’ che ancora pochi mesi fa
Berlusconi teorizzava: «L’Italia, così com’è, non può essere governata ». Oppure: «Dobbiamo imparare da Grillo», e infatti poi ha proposto di uscire dall’Euro, o che ci uscisse la Germania.
Come campione di moderatismo c’è qualcosa che non torna. Detta in chiaro: l’impressione è Berlusconi non sia solo prigioniero
del suo naturale e anche fortunato e disgraziato estremismo, ma che la sua politica, il suo personaggio, il suo linguaggio, il suo stile di comando, la sua vita ineffabile personale, i suoi amici e le sue amiche abbiano allontanato dal centrodestra i moderati, che pure esistono e votano.
Di più. C’è qualche ragione di
pensare che proprio nella «smoderazione » sia la cifra unificante del berlusconismo; «stagione di eccessi», «epoca di dismisura» secondo lo stesso Giulianone Ferrara, che a tale condizione ha dato parole e musica in un rap
che fa: «Caro Cavaliere/ ti voglio bene/ sei stato grande/ sei stato tanto/ sei stato troppo». Ecco, troppo: e non è per ripararsi dietro i proverbi delle vecchie zie, ma il troppo stroppia, il troppo logora, il troppo consuma.
E invece no. Fino all’ultimo seguaci e accoliti, dal dottor Zangrillo all’onorevole Mariarosaria Rossi, hanno garantito che il Ca-
valiere corre per i parchi, non soffre il caldo, fa mille flessioni, ha perso quindici chili. E mentre gli italiani cominciavano sul serio ad aver paura della crisi, saltava su l’Ape Regina, forse incinta, a raccontare che a Lui non puzzano né i piedi né le ascelle; o quell’altra, Marysthell Polanco, che sosteneva di aver avuto il permesso di inserire nella sua nuova canzone nientemeno che un brano di intercettazione, quello in cui l’allora presidente del Consiglio le diceva, con voce da bambino offeso: «Cattivona, cattivona, cattivona». O quell’altro ancora che dalla latitanza gli mandava quella specie di salutino: «Torno e ti spacco il culo».
Che poi questo non c’entrerà tanto con la politica. Ma con la moderazione, il moderatismo e i poveri moderati — «a cui offrire il suo passo indietro perché si uniscano» — un po’ francamente sì.