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 2012  ottobre 10 Mercoledì calendario

ITALIANO DA CAFONI? PARLARE MEGLIO SI PUO’

Parla come mangi. Forse in troppi hanno preso alla let­tera questo adagio, soprat­tutto se la tavola è imbandita con cibi preparati in stile fast food, sen­za alcuna eleganza e assemblando a caso quel che c’è nel frigorifero.
Ecco, l’italiano che parliamo è un po’ così: un italiano «un tanto al chilo», prigioniero della sciatteria, del pressappochismo, della confu­sione terminologica, della sintassi rivista (e non corretta), delle frasi fatte, del burocratese elevato a strategia per alzare il tono del di­scorso.
Insomma una lingua storpiata e al ribasso che si impone quasi fosse la regola. Come racconta Edoardo Lombardi Vallauri nel libro Parlare l’italiano. Come usare meglio la no­stra lingua (Mulino, 230 pagine, 13 euro). «Molti si affidano a un italia­no peggiore di quello che conver­rebbe – spiega il docente di lingui­stica all’Università Roma Tre –. Per­ché non possiedono un ampio vo­cabolario. Oppure perché non so­no consapevoli delle sottigliezze che l’italiano presenta. O ancora perché non si rendono conto che servono registri diversi a seconda della situazioni».
È un bestiario linguistico quello con cui conviviamo. Basta mettersi in ascolto di qualche nostra con­versazione o delle voci che escono da radio e tv. L’aeroplano si trasfor­ma immancabilmente in areopla­no .
L’altoparlante diventa autopar­lante, ossia qualcosa che autopro­duce suoni e non che li amplifica. Solo lapsus? Macché. «Siamo di fronte a una diffusa mancanza di padronanza lessicale – afferma il docente –. È la conseguenza della cultura di massa. Allargando la ba­se è diminuito lo spessore. Se ac­cendo il televisore, ad esempio, comprendo che fra i criteri del bra­vo presentatore non figura la pro­prietà di linguaggio».
Non va meglio nelle aziende dove il manager è avvezzo a sostenere che la sua segretaria impiega « anni luce a battere una lettera». «Ma l’e­spressione indica una distanza spaziale e non di durata tempora­le », spiega Lombardi Vallauri. E un tecnico ama far sapere che il com­puter «è troppo lento gra­zie a taskeng.exe». «L’e­sperto ha sentito frasi co­me ’il Paese si risolleverà grazie a una politica sag­gia’ e ne ha dedotto che questa espressione signifi­ca a causa di . Ma non si è accorto che essa veicola sempre una connotazione positiva».
Piace anche il piuttosto che ma con un’accezione del tutto impropria.
«Non so se comprare le carote, piuttosto che le zucchine», si chie­de una signora al mercato. «Il suo significato originario e corretto è meglio di. Dovrei affermare: ’Mi domando se sia meglio fare una cosa piuttosto che un’altra’. Ma chi si lascia permeare passivamen­te da ciò che ascolta ha interpreta­to il piuttosto che come una di­sgiunzione, al pari di oppure».
Poi ci sono i «comportamenti lin­guistici di moda», secondo la defi­nizione di Lombardi Vallauri. Or­mai è ordinario «aspettare un atti­mino » ma serve anche « un attimi­no di buona educazione». Autenti­ci passepartout sono al limite e a livello di. Peccato che al limite sia stato ridotto a sinonimo di forse (capita di dire «vieni a trovarmi? Al limite andiamo al cinema»). E a li­vello di ha perso ogni contatto con le dimensioni della realtà ed è pas­sato al senso generico di riguardo a («a livello di computer sono anal­fabeta »). «Con queste espressioni mi comporterei come con gli abiti alla moda – chiarisce il linguista –. Quando una tendenza è troppo diffusa, si rischia di apparire coatti. E, siccome il parlare è una manife­stazione diretta dell’intelligenza, sembrare imitativi o conformisti dà un’immagine negativa di sé».
Altra tendenza è quella della «libi­dine del suffisso». Conquista dire doti oratoriali anche se è già dispo­nibile l’aggettivo oratorie . Oppure viene considerato ricercato riferirsi all’alta sartorialità quando baste­rebbe adoperare sartoria. «Ritengo che siano tecniche per nascondere la pochezza del contenuto», sen­tenzia Lombardi Vallauri. Persino il gergo dei burocrati fa proseliti. «Si assiste alla debordante invadenza della d eufonica», dichiara il do­cente. Incanta parlare di «io ed An­na »; però la d è richiesta quando ci sono due vocali identiche (come in «io ed Emma»). Altrettanto trendy è scrivere sull’insegna del negozio pizza da asporto, «com’è indicato nei moduli firmati dal proprietario per la licenza», ironizza il linguista. Anche la sintassi fa acqua. Lo di­mostra il rapporto col congiuntivo. Invece di dire «credo che sia op­portuno », è prassi ripetere «credo che è opportuno». «Il parlato ha sdoganato l’indicativo in quasi tut­te le posizioni del congiuntivo – spiega il docente –. Se questa deri­va appare inarrestabile e può esse­re accettabile, tutto cambia con la scrittura».
Occhio ai vocaboli stranieri. «Il programma musicale è un pur­purrì », annuncia lo speaker. «Ma la parola francese che significa mi­scuglio si scrive pot-pourri e si pro­nuncia popurì ». Anche lo stage , in­teso come periodo di formazione, nasconde trappole. «Deve essere letto stasg e non all’inglese steig che vuol dire palcoscenico o stadio di sviluppo». E’ il vezzo (d’ignoran­za) di seguire la dizione anglosas­sone anche per i vocaboli che non hanno quella matrice. Così in fa­coltà la locuzione latina stare deci­sis – che riassume il principio giu­ridico del precedente vincolante per il magistrato – diventa stear de­saisis oppure il filosofo tedesco Im­manuel Kant (che si pronuncia Cant) è equiparato a Chènt , il timi­do reporter che veste i panni di Su­perman. «Anche chi non ha studia­to l’inglese – riferisce Lombardi Vallauri – finisce per orecchiarlo. Ma è necessario stare attenti al suo utilizzo».
Allora come evitare le rozzezze ver­bali? «Prima di tutto vanno com­presi gli errori. Poi è fondamentale esporsi alla lingua usata nei suoi modi migliori. E, dal momento che è difficile imbattersi in un italiano orale preciso, meglio confidare nelle buone letture che senz’altro contribuiscono a riparare il nostro parlato».