Giornali vari, 20 agosto 2012
Anno IX – Quattrocentotrentasettesima settimana Dal 13 al 20 agosto 2012Il caso di cinque campioni della libertà non del tutto convincenti perché troppo amanti della ribalta
Anno IX – Quattrocentotrentasettesima settimana Dal 13 al 20 agosto 2012
Il caso di cinque campioni della libertà non del tutto convincenti perché troppo amanti della ribalta. Il caso di due aziende italiane in crisi, un calderone in cui bollono le tipiche maschere nostrane: magistrati, politici, presidenti di squadre di calcio.
Assange Julian Assange (primo campione della libertà) è quel capellone dall’aria cadaverica e l’aspetto troppo trasandato che alla fine del 2010 aveva inondato una prima volta internet con 251 mila documenti riservati di politica internazionale, aveva poi continuato a far impazzire le diplomazie mondiali, e in particolare quella americana, con altre valanghe da decine di migliaia di documenti, era poi stato accusato di stupro da due ragazze svedesi e si era quindi rifugiato, lo scorso 19 giugno, nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra, a due passi da Harrods. Qui il nostro eroe vive ancora: i primi giorni ha dormito su un materassino gonfiabile, poi gli hanno attrezzato una camera da letto, qualche volta si fa portare una pizza da un locale vicino, ma in nessun caso può mettere il naso fuori dalla porta perché la sede dell’ambasciata è presidiata dalla polizia londinese che ha l’ordine di arrestarlo appena lascia il recinto diplomatico (il costo della sorveglianza 24 ore su 24 è di 50 mila sterline al giorno, due milioni di euro al mese). Domenica scorsa Assange è apparso al balcone del primo piano dell’ambasciata, sorprendentemente pulito e in ordine, capelli corti, camicia azzurra, cravatta rossa. Discorso di pochi minuti, applaudito da una folla di venti persone e balzato subito nella posizione d’apertura dei siti di tutto il mondo: «Obama fermi la caccia alle streghe contro Wikileaks (il sito dove vengono scaricate le rivelazioni – ndr), se vi è unità nell’oppressione, vi deve essere assoluta unità e determinazione nella risposta», eccetera. Un discorso fortemente antiamericano, che fa gioco al presidente dell’Ecuador Rafael Corea: nell’America Latina gli Stati Uniti sono piuttosto detestati, le intemerate anti-yankee di un tipo come Assange possono far molto comodo in campagna elettorale. Un accordo per chiudere la vicenda forse è possibile: la Svezia s’è impegnata, se le sarà consegnato Assange, a non estradarlo negli Stati Uniti (dove potrebbe anche essere messo a morte).
Baltasar Garzón Baltasar Garzón, secondo campione della libertà, è il celebre ex avvocato, ex giudice spagnolo che è stato sospeso per undici anni dalla magistratura del suo paese per aver esagerato (semplifichiamo così) in intercettazioni e trucchi vari del mestiere. È vero che l’avvocato-giudice inseguiva i potenti e la gloria: nel 1998 l’idea di spiccare, da Madrid, un mandato di cattura contro il presidente Pinochet (mascalzone, ma cileno) gli conquistò le prime pagine di tutto il mondo. Adesso è tornato all’adorata ribalta grazie alla difesa di Assange, per il quale ha costruito una strategia a lungo termine, che prevede salvacondotto, garanzie dalla Svezia ecc.
Pussy Riot Cioè “Rivolta della Gnocca”, nome di un gruppo musicale di tre ragazze russe che nel corso della scorsa campagna elettorale hanno contestato Putin andando a schitarrare nella Cattedrale di Cristo Salvatore in Mosca «Beata Vergine, caccia via Putin» e «Madre di Dio, diventa femminista». Il patriarca Kirill, avendo visto l’esibizione su YouTube, telefonò al presidente russo, e le tre (Nadezhda Tolokonnikova, 23 anni, Maria Alekhina, 24, Ekaterina Samutsevich, 29) finirono dentro. Nell’udienza di venerdì scorso 17 agosto al tribunale Khamovnichesky, la giudice Marina Syrona le ha condannate a due anni di reclusione, da scontare interamente dato che – recita la sentenza – solo un completo isolamento potrà correggere il loro crimine. Mentre la giudice parlava, la capa delle tre - Nadezhda Tolokonnikova – s’è alzata in piedi, ha incrociato le braccia e messo bene in vista la scritta sulla maglietta “No pasaran”. Il caso è più complicato di quel che sembra: partito in quarta per la solita repressione che avrebbe tra l’altro confermato l’asse con la Chiesa ortodossa, Putin s’è trovato inaspettatamente messo sotto accusa dalle grandi star del mondo intero – Madonna, Sting, Paul McCartney – e ha dovuto precipitosamente fare marcia indietro per non essere colpito nel punto di forza a cui tiene di più, quello della popolarità. Il reato di teppismo prevede in Russia condanne per sette anni, l’accusa ne aveva chiesti tre, alla fine ci si è ridotti a due dando seguito a una dichiarazione resa dal presidente russo a Londra («non c’è bisogno di una condanna troppo severa») e al sentimento tutto nuovo dei rappresentanti ortodossi che hanno invitato al perdono. Ma a Mosca s’è forse messa in moto una piccola (o grande?) valanga: contestare il regime è infatti adesso una tendenza, un fatto di buon gusto, le performance da strada delle Femen (sempre a seno nudo) sono arte, idem le monstratzie di Artem Loskutov a Novosibirsk o le docu-fiction di Bekmambetov. Lo stilista Aleksandr Arutionov ha addirittura aperto un blog intitolato “Moda sulle Barricate” (www.fashionprotest.ru) pieno adesso di personaggi con le magliette “Pussy Riot”.
Wind Jet Il presidente del Catania Calcio, Antonino Pulvirenti, rinnova il contratto al giocatore Barrientos per 700 mila euro netti all’anno ma contemporaneamente rottama la sua compagnia aerea Wind Jet, 460 dipendenti e altri 300 posti nell’indotto, e lascia a terra 300 mila passeggeri che, da Ferragosto al 1° ottobre, dovranno sborsare almeno un’altra ottantina di euro per essere caricati da Alitala o da qualche altra compagnia. L’ipotesi che di Wind Jet si facesse carico proprio Alitalia, con i conti a sua volta in rosso, è tramontata definitivamente. Il tavolo aperto dal ministro Passera finora è servito a poco.
Ilva Gli ultimi clamorosi sviluppi del caso Ilva di Taranto (il gip Patrizia Todisco ha disposto la chiusura della più grande acciaieria d’Europa, 12 mila dipendenti e 3000 lavoratori dell’indotto, perché inquinante) mostrano che: i dati su cui si basa l’ordinanza Todisco risalgono al periodo 1995-2002, il +15% di morti per tumore (talvolta il +30%) hanno come riferimento la Puglia, ma sono per esempio più bassi di Lombardia e Veneto, due regioni che a questo punto andrebbero industrialmente chiuse. Tutto questo dà argomento allo schieramento politico-sindacale che contrasta la decisione del gip. D’altra parte, intercettazioni telefoniche che fanno parte di un’altra inchiesta mostrano che il gruppo dirigente dell’Ilva manovrò per avere perizie più favorevoli, che la potenza avvelenatrice dell’acciaieria venisse mitigata nei documenti eccetera. Un caso, si direbbe, in cui, avendo tutti ragione, hanno anche tutti contemporanemente torto.
Lavoratori In Italia (dati Eurostat) due italiani su tre non lavorano e non perché siano disoccupati (“disoccupato” è colui che cerca lavoro e non lo trova: il 10% circa della popolazione tra 15 e 65 anni secondo gli ultimi dati Ocse). Se si contano anche gli stranieri, la percentuale di persone che fanno qualcosa sale al 36,8%, di poco superiore a quella della Grecia. Dipende anche dal fatto che gli italiani sono mediamente vecchi, ma non solo: è pure una questione di sistema e di regole, come dimostra il confronto con la Germania. In compenso l’intensità con cui in Italia lavorano quelli che lavorano risulta tra le più alte d’Europa.