Alessandra Iadicicco e Maurizio Ternavasio, la Stampa 10/10/2012, 10 ottobre 2012
FILM, SFIDE E ANTIFURTI È LA FESTA DELLE DUE RUOTE
Ciclisti di tutta Milano, unitevi: nel prossimo weekend (lungo), da giovedì 11 a domenica 14 – tra l’altro ci sarà il blocco del traffico – la città vedrà sfilare i protagonisti e gli spettatori del formidabile «Bicycle Film Festival».
Accodatevi dunque ai ciclisti di tutto il mondo, che da ormai dodici anni partecipano alla più pulita e pacifica, salutare e spettacolare delle rivoluzioni. Quella portata avanti in equilibrio su due ruote spinte a pedali dalla viva forza muscolare.
Fu proprio per difendere lo spazio urbano destinato alle bici che nel 2001 il pedalatore – o pedal pusher – californiano Brendt Barbur ideò la manifestazione. Avendola scampata dopo lo scontro con un autobus che gli era finito addosso mentre pedalava a New York, pensò di rivalersi offrendo alla bicicletta e ai suoi fruitori e cultori l’occasione per liberare tutta la loro espressività.
Con questi presupposti nacque una rassegna cinematografica per ciclofili, nel Low East Side di Manhattan, corredata da esibizioni on the road e da gare su percorsi metropolitani. Quei percorsi si snodano oggi su tutto il pianeta. Il lungo giro tocca annualmente le tappe di Tallin e Città del Capo, Tokyo e Città del Messico, Helsinki e Hong Kong, San Paolo e San Pietroburgo…
A Istanbul il Bicycle Film Festival si è da poco concluso, con proiezioni di film sulla spiaggia e gare ciclistiche sul Bosforo. A Milano, il BFF è approdato sette anni fa, grazie all’appassionata organizzazione di Giovanni Morozzo. E ogni nuova edizione è più ricca di eventi e di cimenti ciclistici. Quella di quest’anno, ad esempio, prevede quarantasette corto e mediometraggi proiettati al Cinema Mexico, ma anche una mostra, allo Spazio A ex Ansaldo di via Borgognone, dedicata ai mitici Provos, i «Provocatori» olandesi che negli Anni Settanta agivano in sella a biciclette bianche, armati di una mela.
Per quanto riguarda le gare, non c’è che l’imbarazzo della scelta tra le disfide amichevoli e amatoriali e le più assatanate competizioni. Dalle partite di Bike Polo alla rivincita delle 12 pollici: ciclocross, grazielle e «saltafoss». Dal tour dei «pieghevolisti», equilibristi su Brompton e bici tascabili, alla «Cargo Race» per quelli che, senza rimorchio, trasportano su due ruote i carichi più pesanti (in palio, portapacchi d’oro, argento e bronzo).
Dalla corsa notturna sul pavé (caschetto obbligatorio, luci consigliate) alla misteriosa e un po’ rischiosa «Alley Cat» che, annunciata con l’inquietante titolo di «Stairway to Hell», invita i professionisti più spericolati – Bicycle Courier e Bike Messenger su tutti – a sfidare il tempo e il codice stradale. L’intero programma è sul sito www.bicyclefilmfestival.com/milano.
Bisogna affrettarsi, perché i biglietti vanno a ruba. Anche le bici, purtroppo. Perciò, a scanso di brutte sorprese, tutti i partecipanti avranno a disposizione un ciclo-parcheggio gratuito e sorvegliato.
Alessandra Iadicicco
“UNA PASSIONE PIÙ FORTE DEL TERREMOTO” –
Gino ha le mani d’oro. Un po’ deformate dall’artrite e tremolanti, ma chirurgiche. Specie quando si tratta di costruire i pezzi perduti o usurati delle sue biciclette. Gino Sgarbi, 81 anni e un doloroso presente nella sua Finale Emilia devastata dal terremoto, non ha più la casa, ma il grande magazzino delle sue 150 biciclette è rimasto in piedi, anche se difficilmente raggiungibile per via delle transenne.
La passione nasce nel 1960, quando comprò una vecchia Umberto Dei. «Mio padre volle che gliela sistemassi. Feci un restauro embrionale, da quel giorno iniziò il viaggio nel meraviglioso mondo della bici». Il mestiere lo aveva imparato dal dopoguerra nella bottega di uno zio che aggiustava anche auto. Nel 1990, dopo aver lasciato il lavoro di attrezzista in una ditta di motofalciatrici, ha abbracciato a tempo pieno un hobby che fa di lui uno dei più importanti collezionisti italiani. Così ha cominciato a «battere» vecchie cascine e mercatini per acquistare vecchie due ruote a cui ridar la vita, ma anche preziosi pezzi di ricambio.
Sgarbi, piccolo e magro, è personaggio schivo e solitario. Un uomo d’altri tempi che a Finale Emilia chiamano «l’enciclopedia vivente delle bici». «Piano piano ho imparato a datarle. Su certi componenti di alcune veniva stampigliato l’anno di fabbricazione, altrimenti lo si ricava dalla forma di parafanghi e carter. Per altre ancora devo ricorrere ai vecchi cataloghi o all’aiuto di amici che ne sanno più di me». Oltre che modesto, Gino è appassionato di aquiloni: tempo fa ne aveva costruito uno con delle lucine, tutti credevano fosse un Ufo. E a un certo punto arrivò persino la polizia.
Le bici le usa tutte a rotazione «per non far torto a nessuna». Difficile che, una volta sistemate, se ne disfi. «Al massimo ne vendo qualcuna doppia agli amici che me la chiedono in ginocchio». Alcuni pezzi sono molto rari, e tutte di gran fascino. Sia che Gino proceda ad un restauro completo, con tanto di verniciatura e cromatura, sia a quello conservativo, che invece prevede di rendere il mezzo perfettamente funzionante, conservando però le rughe di un tempo. «Non ho preferenze, al capezzale di alcune ho trascorso anche 100 ore di lavoro. Tra le più belle, le Bianchi: dal modello A del 1908 a quella Super del ’27, passando per i quattro esemplari Impero del ’31, ’35, ’40 e’ 52 sino all’introvabile Parigi-Roubaix».
La carrellata è sterminata, e comprende una Folgore del 1940, la Maino con cambio Regina Vittoria, diversi modelli di Taurus, una bici francese a cardano e vari imperdibili e bellissimi esemplari che hanno fatto la storia delle due ruote. «Mi riferisco a Frera, Olimpia, Giovanni Gerbi, Ganna, Ligye, Legnano, Wolsit, Peugeot, Frejus, Touring, Tebro, Umberto Dei, Terrot, Gloria Garibaldina, Rudge, Atala, Benotto, Stucchi. E qualcuna sicuramente l’avrò dimenticata»
Quella di Gino è passione genuina che affonda le radici nella tradizione: «Mi piace aggiustare e cavalcare mezzi ricchi di stile italiano, perché non siamo secondi a nessuno. Noi siamo gente che ha fatto la storia non solo della bicicletta».
Maurizio Ternavasio