Corriere della Sera 10/10/2012, 10 ottobre 2012
COME CAMBIA NEL TEMPO IL CONCETTO DI NAZIONE
Dopo la lettura della sua risposta a un lettore («L’Europa degli esodi, un secolo di pulizia etnica»), mi è sorta la curiosità, nella nuova era in cui viviamo, di sapere secondo lei quale possa essere attualmente una definizione di nazione. Penso che l’Italia a causa (secondo me) della sua relativamente recente nascita manchi di qualche parametro che fino a ora ha caratterizzato la definizione appunto di nazione. Questo (non è necessario che lo pubblichi) le scrivo da anziano che forse ancora non ha saputo stare al passo con lo sviluppo del pensiero.
Claudio Sonzini
Caro Sonzini,
Nel suo testamento il cardinale Mazarino destinò una grossa somma di denaro (era molto ricco) alla costruzione di un Collegio delle quattro nazioni che avrebbe ospitato ogni anno sessanta gentiluomini provenienti dalle province che il Trattato di Westfalia aveva assegnato alla corona francese. Le quattro nazioni erano l’Artois, la Lorena, il Rossiglione e la Cerdagna. Nella seconda metà del XVII secolo, quindi, nazione era il gruppo umano formato da uomini e donne che erano nati in uno stesso luogo, più o meno esteso, parlavano la stessa lingua o lo stesso dialetto, erano uniti da antichi vincoli di fedeltà a uno stesso potere e avevano professato, almeno sino alla Riforma, la stessa religione.
Secondo la voce «nazione» scritta da Francesco Rossolillo per il Dizionario di politica diretto da Norberto Bobbio, Nicola Matteucci e Gianfranco Pasquino, la parola assume un più largo significato (Francia, Italia, Spagna, Germania) nel linguaggio politico della Rivoluzione francese e una forte connotazione culturale nelle opere letterarie del Romanticismo tedesco. Il significato politico giungerà più tardi grazie all’opera di Giuseppe Mazzini. Da quel momento la nazione diverrà una realtà iscritta nella Storia e titolare di diritti fra cui quello di avere uno Stato capace di garantire la sua indipendenza e la sua sicurezza. Sappiamo che gli Stati nazionali, una volta costituiti, si rivelarono molto meno omogenei di quanto proclamato dai loro fondatori. E sappiamo che molti governi hanno cercato di rimediare all’eterogeneità «nazionalizzando» le loro minoranze o cacciandole dal territorio nazionale.
Oggi gli Stati nazionali esistono ancora, ma il loro progressivo declino ha ridato spazio e voce alle vecchie nazioni europee. Dietro la facciata del Belgio appaiono, sempre più visibili, i fiamminghi e i valloni; dietro quella della Spagna i catalani, i baschi, i galiziani; dietro quella della Gran Bretagna i gallesi e gli scozzesi; dietro quella della Francia i normanni, i bretoni, i provenzali, i corsi; dietro quella della Germania i bavaresi, i renani, i prussiani, i sassoni. E dietro l’Italia si vedono le vecchie nazioni degli Stati preunitari, ciascuna divisa a sua volta in un gran numero di municipi e campanili. Molti sostengono che l’Unione europea è una creazione artificiosa, priva di un demos europeo. A me sembra invece che possa, meglio degli Stati nazionali, ospitare le patrie regionali all’interno di un patto federale.