Simone Marchetti, la Repubblica 6/10/2012, 6 ottobre 2012
RAF SIMONS OVVERO LA RISCOSSA DEL LUSSO SOSTENIBILE
La sede di Christian Dior, a Parigi, è come un ministero: si sviluppa in un labirinto di stanze nella sfumatura più snob che il grigio possa assumere. In una di queste, seduto su un divano dello stesso colore, c’è il belga Raf Simons, nuovo direttore creativo della maison. È passato un giorno dalla sfilata-debutto nel prêtà- porter, dopo l’esordio nella haute couture di luglio. Il nervosismo è sparito, ma l’emozione gli brilla negli occhi. «Quando sono tornato nel backstage, dopo gli applausi», racconta lo stilista, «ho avuto la stessa sensazione che provo quando mi ritiro a San Gregorio, in Puglia, ogni estate, dopo un anno di lavoro. Questa volta, però, era come se non fossi andato in vacanza da 25 anni». Sorride e arrota tutte le “r” trasformandole in suoni gutturali. Arrivato al vertice della maison più famosa di Francia, non ha perso l’aria da adolescente in bilico tra timidezza e determinazione. Di più. È diventato il simbolo della rivoluzione del ruolo di stilista, dopo l’era del divismo alla John Galliano. «Oggi devi avere i piedi per terra, altrimenti sei destinato a perdere. E devi capire che il più grande nemico è il tempo. Il primo impegno, quindi, dev’essere comunicare con la tua squadra e diventare un “attivatore” di idee. Qui ho scoperto una maison accogliente come un nido, una famiglia. Non ho mai trovato nessuno, in 17 anni di carriera, così capace di capire e rispettare il lavoro di un creativo. Ora non devo avere più paura: la natura di Dior, infatti, è rendere reale, possibile un’idea. Dagli atelier, alle
pr, fino ai negozi: tutti parlano la stessa lingua e sanno dove vuoi andare. E lì ti conducono. Persino Bernard Arnault (proprietario del marchio e del gruppo che lo controlla, LVMH
ndr)
è venuto a vedere la collezione solo a tre giorni dal debutto. Il suo più grande timore, infatti, è interrompere il processo creativo». La sfilata ne è una dimostrazione: un atto di coraggio verso l’eredità del marchio e verso i nuovi consumatori. «Ho studiato Dior e penso di aver integrato i suoi codici con onestà. Ho annullato, però, la distinzione tra passerella e realtà, perché oggi devono essere la stessa cosa. Il lusso per me è la capacità di offrire una possibilità alle donne. Prendete il lavoro fatto sulla giacca, trasformata in abito: si tratta di un ragionamento sul concetto di decenza, fondamentale per Dior. Fino a che punto,
per esempio, posso accorciarla? E fino a dove, quei centimetri tolti, diventano l’espressione di una libertà, non solo sessuale, dopo anni di minimalismo in reazione alla sovraesposizione del corpo?».
È interessante notare i passaggi che Simons fa dall’abito alla contemporaneità, come se una cucitura invisibile li rendesse parte dello stesso tessuto. «La verità è che ciò che mi appassiona è l’espressione più alta dell’essere umano. In tutti i campi: dall’arte contemporanea al cinema, materie per me vitali. Sono spaventato, invece, dalla velocità di giudizio e d’accesso alle informazioni delle nuove generazioni cresciute a computer e Internet. È come se mancasse la difficoltà, lo sforzo, ovvero le cose che accendono desiderio e intelligenza. Ma questa è la nuova domanda da porsi, soprattutto nella moda. E il compito di un creativo è far proprie le domande, anche quando spaventano».