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 2012  ottobre 08 Lunedì calendario

BIAGGI, TRIONFO A 41 ANNI C’È UN RAGAZZO COME LUI

Esistono le affinità elettive, quei legami che sopravvivono alla lontananza, ai bivi della vita che portano distanti l’uno dall’altra. La storia di Biaggi e l’Aprilia incominciò nel 1994, quando Max era un giovane pilota di belle speranze che prese in mano la penna per scrivere per la prima volta il suo nome accanto a quello della Casa di Noale nell’albo d’oro del Motomondiale. Era il primo titolo per lui e, nella classe 250, anche per l’Aprilia. Ieri, ancora insieme, hanno scritto l’ultimo capitolo, riconfermandosi campioni del mondo per la seconda volta in Superbike, dopo il primo successo nel 2010. Il tempo sembra aver appena sfiorato il campione romano che sorride sotto baffi e pizzetto, il suo marchio di fabbrica, ma diciotto anni dopo il ragazzo è diventato uomo, con una famiglia a cui dedicare il sesto alloro iridato da mettere in bacheca e la saggezza che ne ha smussato gli angoli vivi del suo carattere. La scritta sul serbatoio della moto è però sempre la stessa, loro sono la coppia d’oro del motociclismo italiano. Non ce l’hanno fatta Rossi e la Ducati a fare avverare lo stesso sogno in MotoGp, mentre Biaggi in Superbike è riuscito per la seconda volta, portando a sei i suoi titoli, cinque con la moto italiana.

Il romano risponde con un sorriso al parallelo con il vecchio avversario e non spinge sul confronto. «Sono il pilota più titolato con Aprilia, fra di noi c’è un rapporto speciale, anche se questo vuol dire che ho anche una certa età, me ne accorgo quando apro la carta di identità – commenta ironico, prima di ripensar a quel giorno di quasi vent’anni fa –. Il campionato del 1994 è stato il più bello, era il primo per me e per la squadra, me lo sognavo la notte. A ripensarci ha anche alcune similitudini con questo, tutti e due li ho vinti all’ultima gara, come fosse una roulette russa, con tanta suspense». Quell’adrenalina che non gli fa sentire il passare del tempo, che lo porta a rinnovare la sfida contro se stesso e gli altri. «Perché io non credo a motivatori o santoni, questo è uno sport dove sei da solo – spiega –. Quando chiudi la visiera del casco e aspetti che si accenda la luce verde, ci sei solo tu. Devi valorizzare tutto il lavoro che ha fatto la tua squadra, ma sei tu in prima persona che ti giochi tutto. Prendi la gloria, ma ti assumi anche la responsabilità delle sconfitte. Anche questa volta è andata bene, ma il pensiero che invece avrei potuto perdere c’è sempre stato. Temevo che le cose non girassero per il verso giusto. Sentivo questa pressione».

Il Corsaro solitario è però capace anche di essere capitano di un vascello per cui nessun porto è troppo lontano. Un gruppo di cui Max ringrazia ogni componente. La moglie, i due figli, i genitori, Marino Laghi, più di un fisioterapista, «la mia ombra». Poi quella squadra nuova, capitanata da Aligi Deganello che lo scorso anno era al fianco di Marco Simoncelli. Anche con lui è scattata la scintilla che porta a grandi risultati. «A poche settimane dall’inizio del campionato ero senza squadra – ricorda – e alla prima gara vinsi a Philip Island dove non mi era mai successo. Ero pieno di rabbia agonistica, è stata la dimostrazione che con la volontà si può fare tutto». Un titolo scritto nelle stelle che l’hanno guidatonel suo difficile viaggio. Come ieri, dopo la caduta nella prima gara quando il vantaggio in classifica era diminuito. «Sono rimasto con un palmo di naso, non me lo aspettavo». Poi l’ultima manche, attento a non fare errori mentre Sykes otteneva il risultato peggiore per lui, la vittoria. «Un amico mi ripete sempre che quando le cose devono accadere, accadono. Per me era difficile crederci, io mi fido dei numeri, delle cose concrete, invece devo dargli regione – ammette – A volte bisogna arrendersi al destino».

Se la sorte ha giocato con lui e alla fine lo ha premiato, Biaggi ha saputo sfruttare ogni occasione, non perdendo mai la fame che segna il confine tra il buon pilota e il campione. Jorge Lorenzo l’ha salutato in piedi sul muretto dei box mentre passava sotto la bandiera a scacchi, ricambiando la visita di Max al Mugello e Misano. «Non è facile vincere a 41 anni, ho visto pochi farlo, e soprattutto mantenere intatta la voglia di primeggiare» ha detto. Il romano dell’Aprilia ne è la dimostrazione. Ha tenuto testa per 15 gran premi a piloti che hanno fatto i primi passi nel motociclismo quando lui già vinceva. «La stagione è stata difficilissima – le parole di Biaggi – .Io, Sykes e Melandri conquistavamo e perdevamo la testa della classifica in continuazione. Sembrava che nessuno volesse vincere. Questo è stato un mondiale vinto sul campo e mi dà una forza incredibile». Quella che non ti permettere di attaccare il casco al chiodo e vivere di ricordi, ma ti spinge a lottare sapendo di potere dare ancora tanto a un mondo che ha riservato gioie e sofferenze, ma che ancora ti appartiene. Quella forza che ti consente di vincere con mezzo punto di vantaggio una volata durata mesi. Il segreto di questo elisir di eterna giovinezza è semplice. È Biaggi stesso a rivelarlo. «So che è inusuale correre ancora alla mia età, ma quello che mi spinge è la mia motivazione. A me piace tutto quello che è legato alla moto, alla sua tecnica. In questi ultimi anni mi sono interessato di ogni dettaglio, di tutti quei particolari che forse la maggior parte dei piloti ignora».

La voglia di imparare ancora, all’età in cui si pensa di smettere. «Adesso voglio solo godermi questo titolo – non fa previsioni sul suo futuro Max - assaporare il momento, cosa che altre volte non ho fatto. Forse è un segno della maturità». Sorride Biaggi, quella smorfia sorniona di chi sa che non è ancora venuto il momento di lasciare ad altri quella compagna di tanti traguardi e vittorie. Il libro non è ancora arrivato all’ultima pagina, c’è spazio per altre imprese.