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 2012  ottobre 08 Lunedì calendario

Balduzzi, il mite francescano ministro con una telefonata - Un’intemerata notturna di Rosy Bindi impose come ministro della Sanità, Re­nato Balduzzi

Balduzzi, il mite francescano ministro con una telefonata - Un’intemerata notturna di Rosy Bindi impose come ministro della Sanità, Re­nato Balduzzi. Le cose- racconta­no- andarono così.All’una di not­te del 16 novembre 2011, la lista dei ministri era cosa fatta. La Sa­nità andava a Enrico Garaci, pre­sidente dell’Istituto superiore di sanità. C’era il placet di Giorgio Napolitano e il giuramento era fissato per il pomeriggio. Mario Monti si avviava soddisfatto a dormire quando Rosy Bindi pian­tò la grana. La sceneggiata fu me­morabile. Tanto sbraitò, che Ga­raci, illustre medico, fu depenna­to e sostituito dal giurista Balduz­zi, (allora) cinquantaseienne. Non che fosse ignoto. Ma tutta la sua limitata notorietà era dovu­ta al fatto di essere una creatura di Bindi. Ne era stato stretto colla­boratore tra il 1996 e il 2000, quan­do Rosy fu ministro della Sanità nei governi Prodi e D’Alema. Re­nato gu­idava sia l’Ufficio legislati­vo sia la Commissione per la rifor­ma sanitaria che imbrigliò i medi­ci ospedalieri, inventò l’ intramo­enia , l’ extrameonia e tutte le deli­zie dell’attuale sistema. Era in­somma l’alter ego della virago di Sinalunga alla cui parrocchia po­litica apparteneva. In passato, bazzicando la Dc di sinistra, Bal­duzzi fu consulente di Mino Mar­tinazzoli e Virginio Rognoni, mi­nistri della Difesa nei primi anni ’90.Oggi,dopo essere stato presi­de­nte dei laureati dell’Azione cat­tolica e collaboratore assiduo di qualsivoglia foglio chiesastico, è il beniamino del governo in Vati­cano. Balduzzi, dunque, si pre­sentò al Quirinale per il giura­mento, allertato in extremis ad Alessandria, la sua città. Dai col­leghi del nuovo governo fu guar­dato con curiosità. Dopo il pesan­te intervento bindiano, era di fat­to un’eccezione: unico ministro scopertamente «politico» nella marea dei (falsi) tecnici. A Roma, il nostro amico ha pre­so un appartamentino nei pressi del ministero in Trastevere, per fare casa e chiesa com’è nelle sue corde. Per via del suo bindismo, l’accoglienza alla Sanità è stata freddina. I quattro anni di Rosy, di cui tutti hanno bene impresse le sfuriate condite di orripilanti epiteti toscani, sono infatti ricor­dati con fastidio. Nonostante Re­nato sia riservato e cortese, c’è chi giura che il clima al ministero sia tornato teso come allora. A in­velenire la situazione, il rientro armi e bagagli di una pletora di antichi pretoriani di fede bindia­na. Quando se li sono ritrovati tra i piedi, i burocrati si sono scatena­ti in lazzi e frizzi: «Il ritorno dei di­nosauri », «Il nuovo che avanza», «I paracarri della Bindi», eccete­ra. La popolarità di Balduzzi è sce­sa in picchiata. Subito gli è stata appiccicata l’etichetta di robot della Bindi e ventriloquo delle sue paturnie. Gli rinfacciano di essersi lasciato imporre «vecchi arnesi»come la bindiana d’accia­io Nerina Dirindin, Silvio Garatti­ni, Antonio Fortino, Maria Giu­seppina La Falce. O i vari De Giu­li, Pandolfelli, Mastrocola, però meglio tollerati perché più consi­derati. Partito con il piede sbagliato, le mosse successive di Balduzzi sono state guardate con diffiden­za. Si temeva fos­se un fondamen­talista come la sua erinnica ispi­ratrice e che il suo cattolicesimo po­tesse colorarsi di integralismo. La presentazione in agosto del decre­to sanitario zep­po di disposizio­ne moralistiche e impiccione sem­brò confermare i peggiori timori. La tassa sulle bolli­cine­e le bibite zuc­cherate, i divieti di vendere sigaret­te ai minori di di­ciotto anni, le sale da gioco a debita distanza da scuo­le e chiese, parve­ro misure illibera­li. Una specie di te­ologia sanitaria da società col ve­lo. «Se scoraggia­re­i consumi è pro­muovere uno sti­le di vita più so­brio, non è un ri­sultato malvagio, specie per i più giovani», si dife­se. Moralista sì, ma fin di bene, dunque: proteggere gli adole­scenti, distogliere gli indifesi dal­le tentazioni e cose così. Sull’orlo dello Stato etico. Poco da stare al­legri. Ma proprio durante il dibattito alle Camere, il ministro rivelò una natura inaspettata. Ascoltò molto e capi che i tempi non era­no maturi. Così cedette su vari punti, senza preoccuparsi di ap­parire sconfitto. Una virtù conci­liativa che gli ha conquistato di­verse simpatie in Parlamento. So­prattutto, ha dimostrato che se pure sta con Bindi politicamen­te, ne è l’esatto contrario menta­le. Tanto Rosy è un arrogante ayatollah, quanto lui è mitemen­te francescano. Lombardo di Voghera, ma pie­montese di elezione, Renato tra­scorse l’infanzia in Val d’Aosta dove il padre lavorava. Gli è rima­sta la passione per le montagne e quando può corre ad Avise, sulla strada di Courmayeur, dove ha una baita. Dall’adolescenza, è vissuto ad Alessandria. Qui si è sposato con una donna che ha la sua stessa fede e le stesse passio­ni. Anche i tre figli sono simili. Giacomo, 28 anni, è dottorando in sociologia a Pavia. Si è laurea­to alla Cattolica, l’università do­ve il padre insegna Diritto Costi­tuzionale. È un politico in erba. Ha già partecipato a due elezio­ni. Alle provinciali nel 2004 quan­do, diciannovenne, fu il più gio­vane candidato d’Italia, e alle co­munali nel 2007. Ogni volta, se­guendo le orme paterne, si è pre­sentato con i cattolici del Pd, le Bindi per intenderci. In entram­bi i casi, è stato trombato. Dilet­ta, 24 anni, è universitaria. Men­tre Teresa, 14 anni, è una concer­tista in nuce, virtuosa di pianofor­te. Cornice perfetta di questa fa­miglia da manuale parrocchiale, è la villetta liberty in cui vivono da anni. Prima del nido, Renato si fece le ossa con zelo. Si laureò in Leg­ge a Genova, tanto brillantemen­te che la tesi fu pubblicata. Fu su­bito p­reso come assistente alla fa­coltà di Scienze politiche dal pre­side Fausto Cuocolo. Era il più giovane e lo trattavano come ra­gazzo di bottega o, se preferite, da ragazzo spazzola. Molto ambi­zioso, fu un incettatore di incari­chi di insegnamento, che poi pe­rò delegava non riuscendo a svol­gerli tutti. Un anno, cumulò Isti­tuzioni di Diritto pubblico, che era la sua cattedra, Diritto pubbli­co dell’Economia, Diritto parla­mentare e Tecniche della norma­zione. Questa bulimia è il mag­giore ricordo che ha lasciato nel­la città della Lanterna. Prima di approdare alla Cattolica, ha inse­gnato nell’Ateneo di Torino. Ad Alessandria, Renato parteci­pa con intensità alla vita cittadi­na. È benvoluto, perché alla ma­no. Ora che ha auto blu e scorta, cerca di non farsene accorgere. Contrariamente a Elsa Fornero, con la quale è stato di recente a Ca­sale per parlare dei guai di quella città con l’amianto, che invece si pavoneggiava felice tra i gorilla. Balduzzi gira chiese, conosce le parrocchie più sperdute e ha un rapporto speciale con don Ivo Pic­cinini, prevosto di San Michele. È animatore della Sagra dell’aglio di Molino de’ Torti, due passi da Alessandria, vuoi per genuino in­teresse verso la gigliacea, che per affetto al paesino in cui possiede un minuscolo appezzamento ere­ditato dalla famiglia. Non gli si co­noscono ombre, né vizi pubblici. Un’autentica frana,giornalistica­mente parlando.