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 2012  ottobre 06 Sabato calendario

La rivolta dei giapponesi contro il finto sushi - Sushi,m’hai provocato e io me te magno! Facile a dirsi

La rivolta dei giapponesi contro il finto sushi - Sushi,m’hai provocato e io me te magno! Facile a dirsi. Per­ché la gran parte dei ristoranti che propongono il washoku , vale a di­re la cucina giapponese tradizio­nali, di giapponese han­no ben poco. General­mente sono gestiti da ci­nesi che dopo la psico­si del­l’aviaria hanno de­ciso di convertire il loro locale: da un ideogram­ma all’altro, da un oc­chio a mandorla all’al­tro (tanto chi di noi rie­sce a distinguere al pri­mo colpo?), dagli invol­ti­ni primavera alla tem­pura. Naturalmente ciò non vuol dire neces­sariamente che il sushi mangiato nelle «Gran­di Muraglie » addobba­te da «Fujiyama» sia di scarsa qualità. Ma qual­che dubbio è lecito. E anche sano, visto che il pesce crudo se non adeguatamen­te trattato (in particolare se non viene congelato prima di essere servito) può trasmettere un paras­sita micidiale come l’Anisakis. Partiamo dalle cifre. Secondo il centro studi della Fipe (la federa­zione dei pubblici esercizi) a Fi­renze solo 6 ristoranti giapponesi su 50 hanno uno chef nato nella terra del Sol Levante. Estendendo questo dato all’intera penisola, si può affermare senza andare trop­po lontano dalla realtà che dei 458 nipporistoranti (il 6,60 per cento dei ristoranti etnici) solo 55 sono autentici: 1 ogni 8. Gli altri gioca­no sull’equivoco, sulla moda, sul­la voglia di tanti nostri connazio­nali di mangiare sushi e sashimi (cibo considerato sano, ipocalori­co e anche gustoso) a prezzi bassi, tanto più in tempi calamitosi co­me quelli che viviamo. Prezzi bas­si che un ristorante giapponese doc non può certo garantire, es­sendo la materia pri­ma di qualità costosa e la lavorazione difficile, quasi una cerimonia. Da qui l’idea di conferi­re una sorta di mar­chio ai ristoranti giap­ponesi garantiti, a cui stanno lavorando gli esponenti del Jetro, l’ente governativo di promozione del com­mercio estero di To­kyo, e la Fipe. In attesa del «bolli­no », come scegliere un ristorante giapponese autentico? «Essendo un giapponese che fa cucina italiana non mi sorprendo certo se un cinese fa cucina giapponese», di­ce diplomaticamente Kotaro No­da, 38 anni, primo chef giappone­se a conquistare una stella Miche­lin all’enoteca La Torre di Viterbo e oggi al ristorante Magnolia dello Jumeirah Grand Hotel via Veneto di Roma. Va bene, ma se lei doves­se andare a mangiare giapponese nella capitale, dove andrebbe? «Certo ne sceglierei uno con lo chef mio connazionale, anche se ci sono ottimi ristoranti giappone­si- non-giapponesi come la cate­na Wagamama di Londra. Co­munque è opportuno evitare po­sti troppo economici, visto che la cucina giapponese fatta in Italia è tutta basata sul pesce crudo, che è una materia prima costosa. E poi basarsi sul buon senso e sul passa­parola ». Marco Sabellico è uno dei più noti giornalisti enogastronomici italiani, tra i curatori della guida Vini d’Italia del Gambero Rosso,e tra pochi giorni sposerà una giap­ponese. Ciò fa di lui un osservato­re privilegiato del fenomeno. «Purtroppo - si duole - la qualità media non è alta, a Roma peggio che a Milano, più ricca di ristoran­ti autentici». Come distinguere un vero sushi bar? «Il consiglio è fa­re un po’ d’occhio all’aspetto del personale:basta un po’ di abitudi­ne per distinguere i giapponesei dai cinesi. E poi ci si può sempre far insegnare da qualcuno a chie­dere in giapponese se il pesce è fre­sco e studiare la reazione. Inoltre gli chef del sushi lavorano a vista». Ma è poi così importante che a pre­parare sushi e sahimi sia un giap­ponese? La cucina non è patrimo­nio universale? «Non per la cuci­na giapponese. Ci vogliono 15 an­ni­per imparare a maneggiare il pe­sce crudo, chef di questo genere in Giappone sono come dei samu­rai. Non è una cosa che si può im­parare con un corso di pochi gior­ni ». E se lo chef è donna? «Orrore. Le donne non possono maneggia­re il pesce crudo. Questione di temperatura corporea, dicono. Fatto sta che una volta da Har­rod’s a Londra mia moglie vide una donna toccare del sushi e si ri­fiutò di mangiarlo». Ma insom­ma, è poi una truffa se un cinese prepara il sushi? «Non è una truffa il fatto che lo prepari, ma il fatto che si faccia passare per giappone­se. Io se sono un ristoratore ho tut­to il­diritto di mettere un piatto ma­rocchino nel mio menu. Ma que­sto non mi autorizza a farmi chia­mare Mustafà».