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 2012  ottobre 07 Domenica calendario

LE DUE SPONDE DEL MALAFFARE

Per sorridere un po’ sedetevi all’antico bar Santoro, tuffate la brioche nella granita di caffè e ascoltate il chiacchiericcio sul “giallo di Messina”, una storia a metà tra Brancati e Camilleri. Chi è l’uomo che qualche notte fa si è appartato in macchina con una procace ragazza dell’Est in un anfratto di Maregrosso e poi, nel momento culminante del suo fugace rapporto, per sfuggire a due rapinatori si è lanciato in mare? “Cosi i nesciri pazzi”, sentenzia uno. “È un giudice sittantino”, è sicuro un altro. “Ma quando? – replica un terzo scettico sulla vigoria dell’anziano togato –. È il figlio del dottore… quello che si deve sposare con la figlia di…”. Vanno avanti per ore a fantasticare di nomi.
MA SE INVECE volete ridere e piangere, spostatevi in piazza Duomo, al comizio dell’onorevole Cateno De Luca, candidato al Parlamento siculo nelle liste del Partito della rivoluzione siciliana. Slogan “’U megghiu avi a rugna”. Eloquio fluviale per una piazza di forconi e fascistume di Forza Nuova. Bava alla bocca contro la casta, ironia sull’avversario Micciché, “che tra un fumo e l’altro viene a dire minchiate”, rozzezze su Rosario Crocetta, “ho avuto un incontro con lui, però attenzione eh, non sto cambiando gusti”. Ma i veri nemici di Cateno De Luca sono i magistrati, “mi hanno toccato nell’onore, vogliono farmi rimanere nell’ignòminia (l’emozione gli fa sbagliare la posizione dell’accento), ma il giudizio sulla mia persona lo daranno i siciliani il 28 ottobre”. Applausi per l’onorevole Cateno, che da sindaco di Fiumedinisi finì in galera, ma poi venne scarcerato, per tentata concussione e falso in atto pubblico. Secondo i pm, con i soldi stanziati dalla Ue per il risanamento della sua città aveva realizzato “interventi edilizi di notevole dimensione riconducibili al sindaco e ai suoi familiari”. È Messina, città brodaglia, dove tutto si confonde, buoni e cattivi, governanti e oppositori. E tutto si tiene. Prendete il sindaco Giuseppe Buzzanca, noto al di là dello Stretto perché all’inizio degli anni Novanta si fece accompagnare dall’auto blu a Bari per imbarcarsi su una nave da crociera, una bravata che gli costò una condanna per peculato d’uso. Un passato da “doppiolavorista”. Era sindaco e deputato regionale. Quando le leggi nazionali stabilirono l’incompatibilità tra i due incarichi , fece votare una norma ad personam dalla Regione e giurò che mai avrebbe “abbandonato la città”. Applausi. Ad agosto, però, ha lasciato le chiavi del Comune a un commissario per candidarsi di nuovo alla Regione. “Buzzanca tratta Messina come una buttana”, ironizzano i messinesi. Ha coperto la città di manifesti e gigantografie sulle meraviglie realizzate. “Perché le fotografie sono fotografie e nessuno può distruggere quello che abbiamo fatto”. Ha ragione. Il Comune è sull’orlo del baratro finanziario. “Se a dicembre non cambia la situazione – dice il commissario straordinario Luigi Croce – si rischia il dissesto” . All’Atm, l’azienda dei trasporti, i dipendenti vengono pagati a singhiozzo, e in una città che supera i 200 mila abitanti, circolano 18 bus e 4 tram. Veleggia verso Palermo, Buzzanca, fottendosene allegramente delle classifiche sul gradimento dei sindaci del Sole 24 Ore che lo precipitano al 96° posto. “È Messina, città negata, dove si dimenticano terremoti e alluvioni, si aggrediscono le colline e nelle fiumare si alzano palazzi di sette piani”, dice l’ingegnere Enzo Colavecchio di Legambiente. È la città delle gru e dello scempio legalizzato. Perché a Messina comandano i costruttori che si spartiscono il potere assieme agli armatori. I Franza a destra, i loro soci Genovese a sinistra, nel Pd. Viva “FranZantonio”. Francantonio Genovese ha raccolto l’eredità del padre, sei volte senatore Dc, e dello zio Nino Gullotti, uno dei potenti dello scudocrociato siculo. Onorevole a Roma, ha piazzato alla regione suo cognato Francesco Rinaldi, 18 mila voti alle scorse elezioni, ricandidato e certo di bissare l’exploit. Non solo navi e traghetti, ma corsi di formazione professionale, un business che in Sicilia vale 455 milioni e soprattutto tanti voti. I Genovese controllano una miriade di enti che quest’anno hanno rastrellato 2 milioni di contributi. Tutto rigorosamente gestito dalla famiglia, come ha scritto Antonio Rossitto per Panorama: la moglie dell’onorevole Francantonio, tre cognati e due nipoti. É Messina, dove i gattopardi sanno anche annusare il vento del cambiamento. “Alle prime assemblee – ci racconta la “grillina” Maria Cristina Saija – c’era tanta folla, ma anche troppi tipi strani, quando gli abbiamo urlato in faccia che il movimento non era un ufficio di collocamento sono spariti tutti”. Le baracche, quelle del terremoto del 1908 e dei bombardamenti del 1943, invece sono tutte lì. Un monumento alla vergogna, con oltre 3 mila messinesi che campano in queste eterne favelas. Il risanamento lo promettono tutti, l’ultima legge è di 22 anni fa. 500 miliardi di lire per nuove case, più altri 70 milioni di euro nel 2004. Ma i baraccati di Messina aspettano ancora. Divisi tra Franza e Antonio.