Marco Palombi, il Fatto Quotidiano 7/10/2012, 7 ottobre 2012
TASSE, QUI LO DICO E QUI LO NEGO
Se i tecnici potranno fregiarsi di un merito è questo: la loro ossessione rigorista – con annessa salva di tasse e tagli – dovrebbe finalmente chiarire plasticamente anche ai cittadini più distratti il rapporto diretto che esiste tra mala-amministrazione (i Daccò, i Fiorito, i Penati, i Saggese e via magheggiando) e quanti soldi, autobus, ospedali, scuole eccetera in meno si ritrovano in mano a fine anno. In questo contesto economico e politico, il lifestyle di Fiorito (o Formigoni) lo pagano direttamente gli elettori in moneta sonante. È la pena che il calvinismo economico dei professori commina ai cittadini interessati per “la malattia dell’irresponsabilità finanziaria” della P. A. descritta da Piero Giarda: a livello locale, ha spiegato il ministro, tutto nasce dal pasticciato federalismo del centrosinistra (2001), “un groviglio inestricabile che costituisce il presupposto del disordine finanziario e, nel disordine finanziario, delle stramberie laziali”.
È BENE CHE sia chiaro. Le aperture interessate e/o propagandistiche sull’abbassamento delle tasse da parte di politici, ministri (Passera ieri) o altri membri del governo (il sottosegretario Ceriani due giorni fa) non hanno alcuna rispondenza con la realtà e infatti vengono puntualmente smentite con comunicati ufficiali a stretto giro di posta: basti citare il misunderstand sulle parole dello stesso Monti di qualche giorno fa. Mai in questa legislatura , difficilmente all’inizio della prossima. I dati lo testimoniano: la pressione fiscale è al 45% e i soldi che il Tesoro raccoglie sono aumentati nei primi otto mesi dell’anno nonostante la ricchezza del Paese diminuisca causa recessione (10,4 miliardi, cioè il 4,1% in più rispetto al 2011).
Che c’entrano Fiorito e soci? Basti ricordare che la parte del leone in questo aumento la fanno proprio i tributi locali: le addizionali Irpef regionali sono aumentate del 24% in un anno, dice il Tesoro, mentre secondo la Uil il gettito Imu dei comuni ammonterà a 14,8 miliardi, quasi tre in più rispetto alle previsioni grazie agli aumenti delle aliquote. È la finanza locale, ormai, il vero buco nero: un fiume di soldi che non si traduce in servizi perché in larga parte finanzia sprechi o gli interessi delinquenziali. “L’aumento del deficit di bilancio di molte amministrazioni – ha messo nero su bianco il governo giovedì scorso - è il risultato, oltre che del ricorso all’indebitamento, anche dell’utilizzo opaco dei fondi da parte di alcune regioni e di un sistema farraginoso di controllo e valutazione delle performances”. È un pezzo dell’introduzione al decreto che taglia i costi della politica a livello locale e introduce pure il pareggio di bilancio per gli enti locali. Solo che insieme ai sacrosanti interventi su numero delle poltrone, gruppi consiliari, stipendi e fondi ai gruppi, in quel testo c’è ben altro. I controlli della Corte dei Conti, certo, l’incandidabilità per i sindaci spreconi, pure, ma anche un meccanismo durissimo per i comuni in difficoltà finanziaria (“più della metà”, secondo il presidente dell’Anci Graziano Delrio).
NEL DECRETO È INFATTI previsto che per accedere alla procedura di “predissesto” – che prevede un prestito da parte dello Stato – i sindaci dovranno varare un piano di riequilibrio della durata massima di 5 anni con cui “individuare tutte le misure necessarie per la riduzione della spesa e il ripianamento del deficit (tra cui il blocco dell’indebitamento e la riduzione delle spese del personale e delle prestazioni di servizi)”.
Tagli, insomma, ma non solo: il comune “può deliberare le aliquote o tariffe dei tributi locali nella misura massima consentita, anche in deroga ad eventuali limitazioni disposte dalla legislazione vigente” (ancora tasse), è obbligato a coprire integralmente il costo dello smaltimento dei rifiuti “con i proventi della relativa tariffa” (sempre tasse), diminuire il personale, vendere pezzi di patrimonio e non spendere nulla se non ha davvero soldi in cassa. Se ci aggiungiamo la deroga, sempre prevista dal decreto per taglia-costi per i comuni, per cambiare le aliquote Imu fino al 30 ottobre - oltre a quella per Monti e Grilli di cambiarle addirittura fino al 10 dicembre prevista fin dall’inizio – si capisce come il problema non sia tagliare le tasse, ma se possibile non aumentarle. Dunque è bene ricordarselo da ora in poi: ogni euro che se ne va in maschere da maiale, da ora in poi verrà pagato doppio in busta paga o al momento di andare a prendere l’autobus.