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 2012  ottobre 06 Sabato calendario

IL DEBITO USA E LA TEMPESTA PERFETTA

Non molto è cambiato per l’eurozona: la Spagna è sempre con le banche allo stremo e la piazza nervosa, la Grecia dentro e fuori, l’Italia che molto ha fatto deve ancora convincere del tutto. Lo spread è sceso, ma è sempre nervoso. E la Germania ha compiuto i primi passi indispensabili, ma è sempre guardinga. Eppure tre novità, non decisive, ma significative, ci sono state. L’Europa ha ancora il febbrone ma non delira. L’euro resta istituzionalmente debole, ma anche altri non stanno poi così bene. E la conseguenza è che l’euro non è più la fonte unica di ogni rischio planetario. Non è un gran passo avanti, anzi, ma la verità dei fatti ne esce meno manipolata. Due le novità sul fronte dell’euro. Primo, si è mossa con decisione la banca centrale europea, annunciando all’inizio di settembre l’Omt (Outright Monetary Purchase) , l’acquisto diretto di titoli del debito pubblico, ottenendo anche il sostanziale appoggio della cancelliera Angela Merkel, nonostante i fremiti tedeschi, temperati dal via libera della Corte costituzionale di Karlsruhe ad altre forme di sostegno intraeuro. Secondo, in precedenza, il Consiglio europeo ha avviato azioni comuni sul fronte della sorveglianza bancaria e delle politiche fiscali. Questa "Maastricht 2" è ancora tutta da definire, ma c’è una tabella di marcia. Terzo, e qui varchiamo l’Atlantico, ci sono i guai altrui. La Federal Reserve ha annunciato a metà settembre il Qe3, un nuovo quantitative easing, l’acquisto cioè di titoli. Si tratta, a tempo indeterminato ha detto Bernanke, di 40 miliardi al mese di rmbs (titoli di mutui cartolarizzati) delle agenzie, cioè Fannie e Freddie e simili, la gigantesca galassia del debito immobiliare pubblico, più la proroga di altri 45 miliardi mensili di treasuries, acquistati via banche. L’azione durerà fino a quando la disoccupazione non scende, ha detto Bernanke. È stata la prova, comunque, che non solo la finanza immobiliare, ma l’intera finanza - oltre che il debito pubblico - continuano ad essere nei guai, con la Fed che, come e più che in Europa, si è ormai sostituita al mercato interbancario e a quote rilevanti di altri mercati finanziari. Può durare a lungo, anche in America? Mentre fino a estate avanzata era per molti l’Europa il probabile e unico detonatore di un’altra deflagrazione finanziaria mondiale, oggi la diagnosi è un po’ più seria, e meno partigiana. Tra l’inverno e l’estate del 2012 dalla Gran Bretagna soprattutto, ma anche dagli Stati Uniti, in aggiunta agli euroscettici autoctoni, sono partite infinite bordate, e basta poco come si sta vedendo in questi giorni per rilanciare l’allarme euro. Insostenibile, un aborto, nato morto, morituro, un relitto, una mina sotto l’economia mondiale. Questo era e ancora è l’euro, anche a tratti su pagine considerate la bibbia dell’economia internazionale, come Financial Times ed Economist. L’euro, giuravano in molti, era defunto. La prova provata era che i capitali fuggivano dall’Europa e si rifugiavano in America, che poteva finanziare le casse federali a costi irrisori. L’emorragia però si è fermata. L’Europa forse non crollerà, anche se i rischi restano. L’America è sempre l’America, ma è sempre più garantita da Washington, ormai la vera capitale finanziaria al posto di New York. Il portafoglio Fed era inferiore ai 900 miliardi a fine 2007, balzava in un anno a 2.200, è adesso a 2.800 e sarà a fine dicembre 2013 attorno ai 4 mila. Come ha ricordato recentemente l’ex ministro del Tesoro ed ex Segretario di Stato George P. Shultz, la Fed detiene già un dollaro ogni sei di debito federale, più che alla fine dei prestiti forzosi della Seconda guerra mondiale. Nell’anno fiscale 2011, su ogni dollaro di nuovo debito, e sono stati in totale 1.300 miliardi, 74% cents li ha acquistati la Fed. Quanto agli rmbs, la Fed ne ha già per ben oltre 1000 miliardi, e non si capisce quando mai il mercato immobiliare reggerà il ritorno di tutto questo, e dei nuovi acquisti del Qe3, nel circuito normale. «Non possiamo fare affidamento sul fatto che problemi altrove nel mondo – dice Shultz alludendo all’euro soprattutto – facciano dei titoli americani un eterno bene rifugio». Come noto il debito federale americano è a oltre 16mila miliardi, il 103% circa del Pil. Ma a questo occorre aggiungere un 25% del Pil per il debito degli Stati ed enti locali, e una quota, stimabile al 20% del Pil, per le garanzie date su Fannie e Freddie, e quindi sull’intera finanza immobiliare americana, senza le quali nel 2008 sarebbe stata fuga disordinata dal dollaro. Il vero debito Usa è quindi assai più alto di quello italiano, anche se l’America resta l’America, e la nostra penisola è un’altra cosa. Larry Lindsey, uno dei governatori Fed negli anni 90, ha calcolato in questi giorni che se la Fed di Bernanke dovesse mantenere fede a quanto detto e procedere con il Qe e con i tassi attuali i costi di finanziamento del debito sarebbero per Washington di 60 punti base, lo 0,6%, certamente non un incentivo a riparare le casse dello Stato. Per quanto bloccato, il meccanismo politico del risanamento finanziario, la capacità di un’intesa cioè fra democratici e repubblicani su un nuovo equilibrio fra spesa e tasse, verrà probabilmente riavviato. Ma quando e come? Solo dopo una grave crisi di fiducia dei mercati, sostengono da tempo, fra gli altri, gli ex ministri del Bilancio Peter Orszag (Obama, 2009-2011) e David Stockman (Reagan, 19881-1985). Se questo dovesse avvenire in contemporanea con nuove convulsioni europee, quello sì sarebbe un perfect storm. Ma nessuno potrebbe più dire che è tutta e solo colpa dell’euro.