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 2012  ottobre 07 Domenica calendario

ERDOGAN-ASSAD, VITE PARALLELE DEGLI EX ALLEATI OGGI IN GUERRA

Recep Tayyip Erdogan nasce nel ’54 da una famiglia modesta di Kasimpasa un quartiere popolare di Istanbul, da giovane per mantenersi vende ciambelle e limonate, giocando ala destra tra i semiprofessionisti fino alla laurea in economia e commercio. Bashar Assad, classe ’65, è il secondo figlio maschio del presidente Hafez, presidente siriano, uno dei leader più potenti del Medio Oriente, schierato contro Israele, che dal ’67 occupa il Golan, e l’America.
Erdogan fa carriera nel movimento di ispirazione islamica di Necmettin Erbakan: nel ’94 diventa sindaco di Istanbul. Nello stesso anno muore il primogenito di Assad, Basel, e Bashar viene indicato come successore. Nel ’98 Erdogan è incarcerato per incitamento all’odio religioso; Assad va a Londra per frequentare scuole d’eccellenza e si laurea in oftalmologia. Si sposa con Asma Akras, una delle ragazze più affascinanti e in vista della City. La moglie di Erdogan, Emine, porta il velo e questo crea imbarazzo nelle cerimonie dell’establishment turco, laico e secolarista.
Nel 2000, alla morte del padre, Assad diventa presidente: giovane, occidentalizzato, solleva grandi speranze di rinnovamento in patria e fuori. Erdogan nel 2002 vince le elezioni politiche che l’Akp, evoluzione moderata del partito islamico, dominerà per 10 anni. I laici lo temono, l’Europa esita ad accettare le richieste di Ankara di aderire all’Unione: ma Erdogan innesca la maggiore ascesa economica e sociale di un Paese musulmano senza petrolio e gas. Il ministro degli Esteri di Erdogan, Ahmet Davutoglu, elabora la formula «zero problemi con i vicini».
Siria e Turchia, quasi in guerra dal ’98 per la protezione accordata da Damasco a Ocalan, capo del gruppo curdo di guerriglia Pkk, si avvicinano. Erdogan e Assad sembrano intendersi alla perfezione e creano una zona di libero scambio di merci e persone nel cuore del Levante. Erdogan appoggia Assad e interviene furibondo contro Israele quando nel 2007 lo Stato ebraico bombarda il sospetto impianto nucleare di Deir Ez Zhour. Assad ed Erdogan trascorrono le vacanze estive al mare in Turchia insieme alle due famiglie: quasi un idillio.
Ma sono leader di due Paesi assai diversi. Erdogan, sanguigno e determinato, conservatore nei costumi ma liberale in economia, aspira a diventare la guida di un nuovo Medio Oriente ed è espressione di una democrazia di stampo occidentale, di uno stato ancora in gran parte laico ereditato da Ataturk. Assad, alleato di Teheran e degli Hezbollah libanesi, rappresenta un Paese arabo dominato da una cerchia familiare, è l’esponente di una minoranza al potere, gli alauiti, molto chiusa, e legata allo sciismo.
Queste differenze tra un leader forte come Erdogan, ma uscito dalla selezione democratica, e l’erede di un’autocrazia feroce diventano sempre più profonde con l’esplosione della primavera araba nel 2011. Erdogan vorrebbe che Assad contenesse la rivolta solo con mezzi pacifici. Ma è un errore: un raìs non può dire all’altro cosa fare in casa sua e Bashar, che ha delegato ad altri la politica interna, non appare nelle condizioni di decidere da solo.
Erdogan non capisce che Bashar voleva soltanto modernizzare il sistema siriano: questi sono regimi che non si riformano. «Da queste parti più che il Pil pro capite - scriveva in questi giorni un giornalista turco - contano le armi e il cinismo di usarle».
Nella primavera siriana Erdogan accoglie i rifugiati e fornisce alla guerriglia una retrovia essenziale: fa parte del suo ambizioso progetto di diventare leader di un Islam riformato. Da amici e alleati i due si trovano coinvolti in una guerra per procura con un clima da guerra fredda: la Turchia, membro eminente della Nato, ospita combattenti libici e jihadisti con i finanziamenti delle monarchie del Golfo, la Siria conta sul sostegno dell’Iran e della Russia.
Adesso sono entrambi prigionieri delle loro mosse. Erdogan, nonostante il via libera del Parlamento ad azioni militari di rappresaglia, non può fare la guerra ad Assad perché l’opinione pubblica è contraria e non ha, per ora, un concreto sostegno dall’Occidente che non vuole essere trascinato in un conflitto. Bashar teme un intervento turco perché cambierebbe radicalmente i rapporti di forza in campo. Due ex amici, ora avversari, uniti dalla stessa debolezza e in bilico sull’orlo del baratro.