Morya Longo, Il Sole 24 Ore 7/10/2012, 7 ottobre 2012
CREDITI DUBBI, LE BANCHE RISCHIANO 23 MILIARDI
«Ritiriamo il rating a Mps Gestione Crediti perché il gruppo non fornisce più sufficienti informazioni». Il comunicato, pubblicato da Fitch il 27 settembre, è stringato. Ma lancia un messaggio da non sottovalutare: Fitch toglie il rating alla società che gestisce e recupera i crediti in sofferenza del gruppo Montepaschi.
Robbie Sargent, senior director di Fitch, spiega che è stata Mps a chiedere «di non voler più essere valutata». Lui, però, non ne conosce il motivo. Da Siena una spiegazione valida la danno: il ritiro del rating rientra nella «strategia del piano industriale del Gruppo Mps, che prevede l’incorporazione delle controllate». Niente di strano, dunque. Sta di fatto che questo toglie trasparenza, almeno per un po’, a un settore cruciale come quello del recupero dei crediti deteriorati. E questo non è un bene.
Il Montepaschi, come tutte le banche italiane, sta infatti accumulando crediti dubbi a ritmi velocissimi. Dal 2007 ad oggi li ha quadruplicati: da 6,4 a 26,3 miliardi. E le altre banche non stanno molto meglio: le prime nove – calcola R&S Mediobanca – li hanno aumentati in media del 164% a 190 miliardi. Alix Partners stima che questa montagna si traduca in 23 miliardi di perdite potenziali e ancora inespresse per tutte le banche italiane. Che diventerebbero 32 se il mercato immobiliare dovesse perdere quota.
Il fatto che un gruppo come Mps non voglia più fornire dati all’agenzia di rating, a prescindere dalle motivazioni strategiche, potrebbe dunque aumentare la nebbia su questo settore. E potrebbe rafforzare la sensazione che, dietro questa montagna di spazzatura bancaria, si possa celare qualche problema.
Le bombe inesplose
In effetti di problemi questo accumulo di sofferenze ne crea. Innanzitutto a causa degli accantonamenti: le banche, a fronte dell’aumento dei crediti di dubbio recupero, stanno riducendo l’ammontare di fondi "messi da parte" per far fronte alle perdite future.
Nel 2007 – calcola R&S Mediobanca – le prime nove banche accantonavano il 50,7% del valore lordo dei crediti andati a male: erano insomma molto prudenti. A giugno 2012, invece, il tasso di copertura risulta sceso al 39,3%: la prudenza è dunque calata. E questa è solo una media: al suo interno si trovano banche come Ubi e Banco Popolare che accantonano solo il 25%. Mps invece è rimasta stabile intorno al 39%. Da qui nasce la stima di Alix Partners: se le banche italiane portassero quei crediti al valore di mercato (fair value), e accantonassero in bilancio quanto necessario, registrerebbero una perdita di 23 miliardi di euro. Altro che fine del tunnel.
Ma le banche, nel portafoglio di crediti deteriorati, soffrono anche di un altro problema: la scarsa trasparenza. Molti istituti – rivelano diversi addetti ai lavori – hanno documentazione ancora cartacea e imprecisa: «Sto lavorando con un istituto – racconta un consulente – che spesso non conosce neppure gli indirizzi delle case su cui ha messo ipoteca».
La confusione regna sovrana. E questo, soprattutto nelle banche medio-piccole, rende difficile il recupero dei crediti deteriorati. Dunque aggrava il problema.
Come se non bastasse, c’è poi il nodo immobiliare su cui le banche sono esposte per 662 miliardi (stima di Alix Partners, che ha appena prodotto uno studio sul tema). Vari indicatori testimonierebbero che in Italia il mattone non sia sopravvalutato. I valori reali delle case (depurati cioè dall’inflazione) sono simili a quelli degli anni 80 e 90. Il rapporto tra prezzo delle case e reddito disponibile delle famiglie è di circa il 97%: come nel 2001 e nel 1995.
Dunque non sembra esserci una bolla. Il problema – fa notare Claudio Scardovi di Alix Partners – è che il reddito degli italiani sta calando e che nel mercato immobiliare c’è un eccesso di offerta. Morale: il prezzo del mattone potrebbe scendere. Se così fosse, le banche aumenterebbero le perdite anche di altri 9 miliardi.
Il mercato che non c’è
Eppure una parziale soluzione, percorsa in altri Paesi, ci sarebbe: vendere pacchetti di crediti in sofferenza a investitori specializzati nel recupero. «Ormai investire in Bund o in altre asset class non offre più guadagni – spiega Alexander Holzgreve di Aktiv Capital, gruppo specializzato nei crediti in sofferenza –. Per questo molti investitori trovano interessante il mercato dei crediti deteriorati». Li comprano (a prezzi svalutati) e, sapendo gestirli, sperano di guadagnarci sopra. In Europa – calcola Antonella Pagano di PWC – tra il 2011 e il primo semestre del 2012 le banche hanno venduto (e investitori hanno comprato) ben 62,6 miliardi di euro di crediti deteriorati. Questo ha in parte pulito i loro bilanci.
Ma l’Italia è stata quasi esclusa da questo grande smobilizzo. Per il solito motivo: se le banche non svalutano in bilancio i crediti dubbi, nessun investitore li potrà mai comprare. Perché sono sopravvalutati. Ecco perché tanti addetti ai lavori, tra cui Paolo Strocchi di Fbs, sostengono che serva qualche riforma regolamentare: che dia per esempio la possibilità di spalmare le perdite su vari esercizi. O di creare una "bad bank". O qualcos’altro. Purché si disinneschi la mina prima che scoppi.