Michele Brambilla, la Stampa 7/10/2012, 7 ottobre 2012
MATTEO AVVISA: IL BALLOTTAGGIO A NUMERO CHIUSO NON ESISTE
AVEVA DETTO “MI FIDO DEL SEGRETARIO”, MA L’HANNO MESSO IN ALLARME LE MOSSE DELLA BINDI –
Alle otto e mezza di sera la faccia di Matteo Renzi è uno spettacolo quando gli chiediamo se, dopo l’assemblea del Pd sulle regole per le primarie, è tutto risolto. Sorride che sembra Crozza quando lo imita. «Discutiamo della sostanza, non delle forme», risponde. Allora gli facciamo una domanda più diretta: ma le va bene il ballottaggio chiuso, cioè che al secondo turno possa votare solo chi ha votato al primo? Stavolta non sorride più: «Io credo che l’ipotesi del ballottaggio chiuso non esista».
Non esiste proprio, e non solo nel senso che a lui non va bene: pure nel senso che Renzi è convinto che neanche Bersani vuol tagliar fuori chi non ha votato al primo turno. Allora una collega gli fa presente che questa storia del «ballottaggio chiuso» l’ha detta Rosi Bindi. Ma sì, è la Bindi che ad assemblea chiusa va in giro a spiegare che Renzi è rimasto fregato, e che la sua - la sua di Rosi Bindi - è «l’interpretazione autentica». Renzi torna a sorridere e dice: «Sono dichiarazioni che si commentano da sole». Altro che tutto risolto.
Questo è il Matteo Renzi alle otto e mezza di sera a Bari. Quello del pomeriggio, a Brindisi, era più tranquillo. Da Roma gli erano arrivate notizie confortanti. Bersani aveva respinto gli emendamenti presentati dal gruppo del Pd che più detesta il sindaco di Firenze; gruppo che paradossalmente non è la sinistra del Pd, ma la parte che viene dallo stesso partito da cui viene Renzi: la Dc. (Paradossalmente ma non troppo: Bindi, Marini, Fioroni e c. hanno capito che se Renzi prenderà molti voti alle primarie - e li prenderà - i referenti del Pd verso il centro non saranno più loro).
Beghe delle quali Renzi non vuol sapere: «Alla gente interessano le cose concrete. Facciamole su quello, le primarie, non sulle norme». Ma sa benissimo che è con quelle armi lì, è con le regolette ad hoc che qualcuno del suo partito lo vuol far fuori: perché lui è l’Imprevisto arrivato a scuotere i vecchi equilibri e le nuove certezze (o illusioni?) di aver già vinto le politiche dell’anno prossimo. Lui conta però sulla lealtà di Bersani, che al di là delle «interpretazioni autentiche» di questo pomeriggio dovrà ora sciogliere i nodi rimasti. «Saprà trovare una sintesi», dice Renzi.
Che a Bari arriva alle sette e un quarto di sera. Camicia bianca con le maniche arrotolate, pantaloni beige e scarpe sportive. La sala congressi dell’hotel Excelsior è strapiena. Lui parte a palla. Ha un’energia che sembra un Berlusconi con quarant’anni di meno. Infatti i suoi nemici nel Pd gli contestano pure questo, perché per un certo mondo non c’è insulto più pesante di quello: berlusconiano. Forse è per questo che una delle prime cose che Renzi dice è: «Non mi sento l’Unto del Signore».
Fa vedere alcune slide. I conti e i costi della sua campagna elettorale. Il pessimo uso che fa l’Italia dei fondi europei (99,286 miliardi di euro dissipati in 473.048 progetti). Un grafico sul potere d’acquisto delle famiglie, crollato dal 2007 a oggi. Gli scappa un «ora vi fo vedere una foto», e chissà cosa gli diranno gli spin doctor che ritengono «non vincente» la parlata in toscano.
Comunque parla di queste cose, «cose concrete». Fino a quando però, a un certo punto, delle regole per le primarie non può non far cenno. «Oggi abbiamo accettato», dice passando così al noi, «che l’assemblea del Pd scorresse via tranquilla anche se abbiamo molti dubbi sul fatto che si debbano fare regole diverse da quelle del passato».
«Ma a me va bene tutto», prosegue tornando alla prima persona. «Per due motivi». Il primo è che non vuole alimentare polemiche: «Noi le primarie le vinceremo se parleremo di cose concrete». Il secondo motivo infiamma la platea: «Noi le primarie le facciamo in modo diverso da come le si faceva in passato. In passato, le primarie servivano per sistemare qualcuno». E vai con un’altra slide: si vedono i faccioni degli sfidanti del centrosinistra per le politiche del 2006. C’è Prodi che vinse, ok. Ma gli altri? Gli sconfitti? «Bertinotti che aveva preso l’11 per cento ha avuto come premio di consolazione la presidenza della Camera. E questo? Lo riconoscete? È Mastella: 5 per cento e ministero della Giustizia. E questi? Di Pietro e Pecoraro: 5 per cento alle primarie, due ministeri anche per loro». Applausi a scena aperte. «Io, se perdo, non voglio premi di consolazione: rimango a fare il sindaco di Firenze». Ancora applausi.
Tanti, ma niente in confronto a quelli che seguono la mossa successiva. Viene proiettato il filmato di D’Alema che a «Otto e mezzo» dice che «se vince Renzi finisce il centrosinistra». È questo l’argomento principe dei suoi nemici interni. E allora Renzi a D’Alema risponde così: «Al massimo, finisce la tua carriera parlamentare», e questa volta è un’ovazione. Arrivata, forse, fino a Roma.