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 2012  ottobre 07 Domenica calendario

I NUOVI CARUSO

ROMA - VIENNA
Una volta era l’arte che li faceva belli. I cantanti d’opera potevano essere autorevoli, geniali, carismatici — magari anche le tre cose insieme. Sex symbol però, mai. Oggi invece baritoni, bassi e tenori hanno altre ambizioni. Crisi delle vocazioni anche nel bel canto? No, per fortuna, la passione esiste ed è ancora fortissima. Ma dai cantanti si pretende molto di più di una bella voce. Capacità mimiche, prestanza fisica, abilità di entrare nel personaggio e rendere credibile un’arte — «dove ogni dramma è un falso » — alle platee disincantate del nuovo millennio. Le istituzioni più autorevoli, dal Metropolitan al Covent Garden, promuovono le nuove stagioni con campagne aggressive, audaci persino, cartellonistica da far invidia a Broadway. I sovrintendenti sono a caccia di artisti con la voce di Pavarotti, il carisma di Johnny Depp e l’energia di Vin Diesel. Peter Gelb mise nero su bianco già quando prese in mano le redini del Met: basta tenori dalla grande stazza, inespressivi e immobili. E per la
Bohème del
dopo-Pavarotti ha puntato tutto su un altro italiano, Vittorio Grigolo, trentacinque anni, romano, allevato a pane e canto nel coro della Cappella Sistina.
«New York mi ha dato moltissimo, mi ha aperto le porte del Met e degli Stati Uniti», conferma il tenore in un raro momento di pausa, sdraiato nel salotto della casa dei
genitori, poco distante da San Pietro. «Lì hanno un modo diverso di vedere l’opera. Vogliono cantanti-attori, capaci di arditi movimenti scenici anche durante le performance. È proprio vero che in Italia per essere qualcuno devi prima aver successo all’estero. A me in patria sembra ancora di essere uno sconosciuto».
Dinamico, tonico, palestrato, Grigolo è l’esatto prototipo del nuovo tenore.
C’è chi giura che la sua voce e la sua prestanza
sono una garanzia: il nuovo Pavarotti è un italiano — anche se i pretendenti al trono sono almeno una mezza dozzina: dall’afroamericano Noah Stewart, che già quest’estate è stato Radames nell’Aida, a Stephen Costello, tenore di Philadelphia con una spiccata vocazione attoriale; dal maltese Joseph Calleja, che si propone come il Mario Lanza dei nostri giorni, all’albanese Samir Pirgu, che ha sedotto l’Arena di Verona con la
Traviata.
A fine anno Grigolo pubblica
Ave Maria,
un disco di arie sacre, ricordo degli anni trascorsi alla Sistina, ed è protagonista di una ricca stagione scaligera: dallo scorso 26 settembre la
Bohèmediretta
da Daniele Rustioni (bacchetta d’oro già a ventinove anni dopo i trionfi al Covent Garden) con Angela Gheorghiu, il 6 novembre il
Rigoletto diretto
da Gustavo Dudamel con Elena Mosuc, il 7 gennaio un recital tutto suo, un’occasione che la Scala concede con estrema parsimonia. Recentemente è anche finito nell’obiettivo di Bruce Weber, fotografo che predilige po-
stadolescenti col fisico da surfisti. Grigolo, che rifiutò l’opportunità di far parte dei Divo, un gruppo vocale di crossover, per inseguire il suo sogno di tenore “puro”, non nasconde le sue tentazioni da pop star né le amicizie modaiole con Franca Sozzani e Anna Wintour, le signore a capo di
Vogue
Italia e America. «A Los Angeles ho partecipato all’edizione americana di
Ballando sotto le stelle», racconta. «Al party di
Vogue,
al Met, ho cantato
Nessun dorma
e ho abbattuto un muro, ho fatto ridere la Wintour. Quella sera ho conosciuto Gwyneth Paltrow, Eva Mendes e Adrien Brody. Alla fine siamo andati tutti a fare bisboccia alla Boom Boom Room, un club di Manhattan».
Anche lui è convinto che non è la stazza a fare il bravo tenore. «Guarda Samuel Ramey (il basso americano classe 1942 specializzato in Händel, Mozart e Rossini,
ndr)
è uno stecchino, eppure…», esclama. E quanto alla capacità di recitare e magari anche di fare qualche acrobazia: «L’anno scorso in
Roméo et Juliette
alla Scala saltavo come una scimmia da una parte all’altra del palco. Che spettacolo quella sciabolata!». Tra i diciassette brani dell’album in uscita c’è anche
Maria che dolce nome,
che cantò a Pavarotti poco prima che il maestro morisse. «Ero andato a trovarlo nella sua casa di Pesaro per preparare la
Bohème», ricorda. «Mi disse: “Che bella, dobbiamo registrarla quando torni da Washington”. Purtroppo se n’è andato prima che potessimo rivederci». La mamma lo coccola, gli porta il cappuccino con la schiuma, poi sfoglia con lui l’album dei ricordi. Anno 1990 — foto con dedica: «A Vittorio Primo per caro ricordo», firmato Luciano Pavarotti. Vittorio aveva tredici anni. Altra foto dello stesso anno: «A Vittorio con ammirazione», firmato Lucio Dalla. «Fu scattata nel
camerino di Vittorio al Teatro dell’Opera, a Roma. Faceva il pastorello nella
Tosca.
Lucio era lì per parlare con Luciano del progetto Caruso», spiega la signora Marcella Vittoria. «Guardi che scrive Zeffirelli: “Caro, caro Vittorio, incalzati fatalmente dal destino non abbiamo più scelta, siamo condannati ad amarci fino all’ultimo respiro”».
Una didascalia che sembra scritta per una foto di Anna Netrebko ed Erwin Schrott, lei soprano russa, lui baritono uruguayano: sono la coppia d’oro della lirica contemporanea. Vivono a Vienna, hanno un figlio di quattro anni, Tiago, e sono gli artisti più coccolati dai teatri d’opera mitteleuropei. Nei cartelloni del
Gala di Stelle,
il recital trionfale che hanno tenuto ad agosto nella Waldbühne di Berlino insieme a Jonas Kaufmann, sembravano supereroi, photoshoppati come per una nuova edizione di
Ben-Hur.
Schrott, trentanove anni, lascia il segno ovunque passa. Irruento, impaziente, aggressivo come i suoi ruoli impongono, ha dato vita a un
Don Giovannisopra
le righe e «porcaccione » — per dirla alla Zeffirelli — e ha trasformato il Mefistofele in un palestrato diavolo leather. La voce asseconda le sue capacità camaleontiche: capelli ossigenati, punk, dark, e addominali scolpiti che fanno sgranare gli occhi anche alle melomani più attempate. «Adoro i ruoli mozartiani, mi hanno insegnato tutto: Don Giovanni, Figaro, Leporello. Oltre al
Faust
di Gounod. E Verdi: se riesci a cantare Verdi vuol dire che la tua tecnica vocale, il controllo del fiato sono a posto», dice Schrott seduto al bar di Franziskanerplatz, davanti al bel palazzo del centro storico di Vienna dove abita con la Netrebko. Più di Kaufmann, il tenore tedesco rinomato per
il suo sex appeal, Schrott ostenta una fisicità che ai tempi di Tito Gobbi e Tom Krause sarebbe risultata trasgressiva, se non sacrilega.
«Adoro recitare, se posso dare un corpo al personaggio che interpreto, rendendolo più gradevole e credibile, è per me un dovere farlo», conferma. «Oggi i registi sono a caccia di cantanti-attori». Amministrare l’opera come un disco pop o un musical di Lloyd-Webber sembra l’unica soluzione per traghettarla alle nuove generazioni. «Perché no? La lirica è ancora pensata come un’arte elitaria; musica noiosa interpretata da cantanti che non si muovono sul palcoscenico, bravi solamente a ostentare la voce. Se facciamo flop i contribuenti hanno il sacrosanto diritto di dire: state sperperando le nostre tasse per un teatro di 1600 posti sempre vuoto. L’opera è per tutti, bisogna solo farla conoscere. Non raggiungi il grande pubblico se non fai operazioni di marketing».
Schrott è supersexy anche nella copertina di
Arias,
il cd appena pubblicato in cui, con l’orchestra diretta dal nostro Rustioni, passa in rassegna
Mefistofele, Tosca, Faust, I Lombardi, Carmen
e
Don Quichotte.
«Nove anni fa, quando avevo trent’anni, volevo già cantare questo repertorio », spiega. «Ho saggiamente aspettato, ho frenato l’ambizione artistica e la mia naturale impazienza. È facile bruciarsi nella lirica, mica solo nel pop. La carriera è una donna capricciosa. Osserva ogni tuo movimento, anche mentre dormi. Il giorno in cui decidi che sei più importante di quello che fai, lei ti dirà addio». Schrott ha trovato la sua ancora alla Staatsoper di Vienna, come Grigolo al Metropolitan di New York. «Mi sono cullato nel sogno americano», conclude il tenore romano che ora sta lavorando sodo per l’autunno scaligero. «Ricordo ancora la
Bohème
al Met dopo la morte di Luciano: una pressione terribile e tanta voglia di fare bene. Col Met sono impegnato fino al 2017:
Elisir d’amore, Rigoletto, Il Pescatore di perle.
L’America è nel mio cuore. Cento dollari in tasca, giubbotto di pelle, jeans, t-shirt bianca, una Harley-Davidson e il serbatoio pieno». L’ex ragazzino della Sistina è un
easy rider.