Gino Castaldo, la Repubblica 7/10/2012, 7 ottobre 2012
JOHN LENNON CARI BEATLES VI SCRIVO
Alla fine si pensa di conoscerlo, come fosse un vecchio amico. E del resto la storia dei Beatles è forse la più indagata in assoluto nella storia della cultura popolare. Ogni giorno della vita dei quattro, e quella di John Lennon in particolare, è stato studiato e setacciato, passato al microscopio incrociato della storia e della leggenda. Eppure quando si pensa di essere arrivati a comprendere davvero, Lennon sfugge, è oltre, sembra rifiutarsi di lasciarsi stringere nella morsa delle definizioni, delle categorie. Era matto, era megalomane, era fragile come un bambino, era un genio, era tenero o aggressivo, un deliberato
working class hero
o un guerriero romantico, cinico e assente per il primo figlio, amoroso e devoto col secondo. A rovistare nella vicenda personale di Lennon c’è da perdersi, ma ne vale la pena, anche perché a un certo punto la sua storia personale, i suoi tormenti, la sua utopia, sono
diventati un patrimonio dell’umanità.
Leggere per la prima volta tutte queste lettere inedite fa una certa impressione, ma non attenua il mistero.
(in uscita da Mondadori) appassiona come fosse un romanzo, anche se fatto, oltre che di lettere vere e proprie, di cartoline, stralci, messaggi concisi, scherzi, perché ci restituisce una parte dell’umanità di Lennon. Ce lo mostra un po’ più da vicino, e ci permette di capire meglio le sue tante facce. Certo, si tratta di una scelta mirata. Il libro è quello che si definirebbe una “biografia ufficiale”, se fosse una biografia, ma in un certo senso lo è, curata dal fido Hunter Davies, amico della band, portavoce che già molti anni fa produsse una biografia riveduta e corretta dai quattro Beatles.
Anche questa volta, ovviamente, c’è
il benestare – e non è stato immediato come racconta Davies nell’introduzione – di Yoko Ono, che alla fine ha accettato, certo, ma di sicuro non avrebbe permesso che uscissero lettere, e sicuramente ne esistono, più scabrose, più scandalose. Insomma, Davies non è uno di quegli accaniti e violenti biografi che hanno scavato intorno ai segreti di Lennon per scoprire l’inverosimile. Del genere: aveva avuto una relazione omosessuale con Brian Epstein, aveva picchiato il suo amico Stu Sutcliffe, si era drogato come un pazzo e via dicendo. Lennon era semplicemente il ragazzo che aveva trasformato la sua vita in un’opera d’arte e lo aveva fatto partendo dalla riscrittura del rock’n’roll americano elaborata sui grigi dock di Liverpool fino all’invenzione di un territorio della musica ancora inesplorato.
Il suo estro irriverente lo percepiamo già nella sua vocazione di scrittore e disegnatore che lo portava a organizzare giornalini scolastici pieni di ironia e sarcasmo. Poi nel rispetto meticoloso
con cui nei primi mesi dell’esplosione della Beatlesmania risponde ai fan, o nei toni affettuosi con cui manda cartoline e lettere alle zie. Il libro ricostruisce attraverso stralci e frammenti il rapporto di amore e odio con la tanto vituperata zia Mimì, e anche col padre Fred, assente per buona parte della sua vita. Ci sono poi le lettere inviate alla prima moglie Cynthia, la ragazza della porta accanto della sua adolescenza a Liverpool, sposata in fretta e furia perché incinta di Julian. John cercava disperatamente di mantenere un qualche tipo di rapporto col piccolo, che vedeva poco o nulla, travolto com’era dal successo clamoroso che lo stava trascinando via come un tornado. C’è il Lennon pungente e polemico che emerge con brillante arguzia nella stizzosa alterigia con cui nell’aprile del 1974 risponde a Todd Rundgren, chiamandolo
reo di aver detto di Lennon, «non è un rivoluzionario, è un idiota del c…» a proposito di alcune intemperanze esibite da Lennon e Harry
Nillson al Troubadour di Los Angeles.
Ma ovviamente la parte più succosa è quella che riguarda i rapporti interni al gruppo. Da un certo punto in poi John comincia a firmare tutti i suoi messaggi con la firma John/Yoko, rinuncia al suo secondo nome Winston (datogli ovviamene in onore di Churchill), che però continua a usare per scherzo firmandosi a volte Winston O’Boogie, in favore di John Ono Lennon, e così si firma scrivendo all’amico Paul, e ci sono un paio di lettere piuttosto forti, aggressive, ma di grande interesse perché spedite nel 1971, l’anno dopo lo scioglimento dei Beatles, nel periodo della massima acredine, quando Lennon se ne uscì nel disco
How Do You Sleep?,
molto pesante nei confronti del suo ex compagno di strada. Nella lettera, John è molto arrabbiato, e svela che anche gli attacchi personali via musica era stato Paul a iniziarli: cita il secondo album solista di Paul,
Ram,
dove ci sarebbero riferimenti pungenti alla folle condotta pubblica
della coppia John and Yoko. «Non ti rendi conto di quanta merda ci avete gettato addosso?» chiede Lennon esasperato, e poi continua in calce: «La cosa che ci ha veramente lasciati perplessi è il fatto che tu chieda un incontro SENZA LINDA E YOKO. Pensavo avessi capito ORMAI che io sono JOH-NEYOKO
».
Anche la parte politica è densa. John si difende via lettera dai radicali di ogni risma che cercano di trascinarlo dalla loro parte: era imprevedibile, volubile, gentilissimo a volte. Ma era capace di rispondere a una lettera di un ammiratore con improvvisa ferocia: «Ascolta, Amico, perché non la smettete di asfissiare la gente voialtri fanatici di Gesù? Sono duemila anni che va avanti questa storia — imparerete mai? Chi sa non parla, chi parla non sa. Dalla tua lettera nevrotica non traspare nessuna pace interiore, ragazzo. De gustibus — amico! Vaffanpace! John &Yoko».
Grazie al fatto che all’epoca non c’erano sms e email, abbiamo molto ma-
teriale scritto: a John piaceva scrivere, a macchina o a penna, e quasi sempre scusandosi se lo faceva a macchina, come fosse un gesto poco educato, e in genere accompagnando le parole con disegni, facce, svolazzi decorativi. Scriveva ai parenti, anche dopo anni in cui non li frequentava più, mandava precisazioni ai giornali, soprattutto quando se la prendevano, circostanza non rara, con la sua diletta Yoko. In un caso racconta che in effetti lei e Miles Davis si conoscevano e che in effetti era possibile che qualcosa potesse venirne fuori, ma ribadisce ai detrattori che comunque lei aveva già lavorato con Ornette Coleman.
Le lettere svelano, raccontano, aggiungono pezzi alla conoscenza di una personalità tormentata e poliedrica, le letterine a Ringo e a George, ammiccanti e complici, ma in fondo si comprendono perfettamente alcune linee guida: l’infanzia funestata dall’essere stato abbandonato sia dal padre che dalla madre, lo shock di perdere la madre
Julia proprio quando finalmente l’aveva recuperata in pieno nella sua vita, la catarsi beatlesiana, la terapia
Primal Screamche
ispirò i suoi primi lavori da solista, la fusione con Yoko, totale, destabilizzante, regressiva. E poi gli anni del ritiro a New York, nella Dakota House, dove si occupava del figlio Sean, senza più apparire in pubblico, in quella casa davanti alla quale nel 1980 lo aspettò la follia di Mark Chapman che gli sparò addosso senza nessuna ragione plausibile.
John sembra sempre l’Ulisse in cerca di se stesso, personaggio esemplare, con tutta la sua nevrotica complessità, del secolo scorso, un misto di fragilità e potenza che riassume l’essenza stessa della musica. Non era lui, del resto, che ha scritto la canzone più dolce, ma allo stesso tempo più potente dell’era moderna? Non era lui che chiedeva con un sussurro un mondo senza divisioni, senza religioni, senza soprusi? Immagina, diceva, immagina...