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 2012  ottobre 05 Venerdì calendario

«VOTEREMO DUE VOLTE IN POCO TEMPO. IL MIO PARTITO? LONTANO DAI NOTABILI» - INTERVISTA A TREMONTI

Professore, è davvero sicuro di voler fondare un partito? Così, da solo?
«Perché non si dovrebbe? Oggi i partiti li inventano soprattutto i non politici. Forse resta un po’ di spazio anche per i politici».
Be’, lei è stato ministro, ma è considerato un intellettuale, uno che scrive libri. Non un capopartito.
«Innanzitutto bisognerebbe cominciare a leggerli, i libri. Invece sono più numerosi i politici che hanno scritto un libro di quelli che l’hanno letto. Se per lei la compagnia è costituita dal notabilato politico, allora sono solo. Se è costituita dai giovani, dalle persone che non hanno mai fatto politica, allora sabato a Riccione vedrà che non sono affatto solo».
Non farà alleanze elettorali?
«Comincio alleandomi con i cittadini interessati alle proposte del manifesto che sta per entrare in Rete. Mi rivolgo alle grandi aree politiche che hanno sostenuto questo Paese per decenni, la socialista e la cattolica, sintetizzate nella formula "Avanti insieme", che potrebbe essere il nome del movimento. Ho anche disegnato il logo: una grande freccia che indica la direzione. Nessun designer. Ho disegnato io anche il logo alternativo: 3L; Lista lavoro e libertà».
Dove pensa di arrivare?
«Voglio partire dalla periferia verso il centro, dal basso per andare in alto, dal surreale al reale. Anche i non politici enunciano programmi che non si occupano della realtà. Il nostro marcatore dev’essere la concretezza; anche perché la realtà è drammatica. Quando giro a presentare il mio ultimo libro, che è già un manifesto politico, arrivano centinaia di persone. E alla fine quelli che vengono a parlarmi sono i sindaci. Solo i territori possono consentire di superare il primo ostacolo: le firme. Un conto sono quelle virtuali. Un altro quelle fisiche. Dubito che i movimenti virtuali le abbiano».
Al centro, tra Pd e Pdl, si prepara una lista unica pro Monti. Lei invece è contro il premier. Perché?
«Nulla di personale. I miei rapporti con Monti sono buoni, come sempre. Ma il suo governo non ha salvato l’Italia. Non so come sarebbe davvero andata con l’ultimo Berlusconi; ma con Monti l’Italia non si è salvata. La sua è stata la politica della "distruzione creatrice"; che però ha distrutto, e non ha creato. Troppe tasse, e troppa paura. Un conto è tassare il reddito prodotto; un conto è impedire con le tasse che il reddito sia prodotto».
Lei fu il primo, alla vigilia delle elezioni del 2006, a proporre la grande coalizione. Perché ora non la vuole più?
«Non è che non la voglio. Non la vedo. Non ci sono né i numeri, né le condizioni. Nel novembre scorso fu possibile perché la sinistra era euforica per la caduta di Berlusconi e la destra era annichilita. Ma il prossimo Parlamento sarà molto diverso da questo. Ci saranno grillini e vendoliani. Non automi con la cravatta griffata».
È sicuro che ci saranno anche i tremontiani?
«Il nostro movimento può diventare il punto di aggregazione di uno schieramento molto più ampio. Tanto più che potrebbe non passare molto tempo tra le prossime elezioni e le successive».
Lei ha detto che Grillo non ha torto quando accosta questo Parlamento alla Camera dei fasci e delle Corporazioni. Perché?
«Non Grillo, Giolitti disse dopo la Grande Guerra: "Lo stato di necessità ha distrutto il Parlamento". Quando scrissi di "fascismo bianco", intendevo questo: lo stato di necessità imposto dalla crisi e dall’emergere della nuova superpotenza mondiale, i mercati finanziari, rischia di esautorare il Parlamento, di minare la democrazia. Il governo Monti procede per decreti e per voti di fiducia. Siamo arrivati a 40. Il voto libero non esiste più».
Anche lei metteva la fiducia.
«Sul bilancio, non su tutto. Anche a Londra il cancelliere dello Scacchiere arriva ai Comuni con la borsa rossa, a simboleggiare che il bilancio si approva o si respinge a scatola chiusa. E comunque noi le finanziarie le abbiamo sempre discusse».
Perché ha paragonato Montezemolo a Menenio Agrippa?
«Non era Menenio Agrippa il patrizio che riceveva la plebe e diceva in sostanza "armiamoci e partite"? Ma la mia era solo una battuta».
Renzi che effetto le fa?
«Ridurre la politica alla lotta tra le persone è surreale. Bisogna tornare a parlare delle cose. Renzi non vuole rottamare il Pd; vuole rottamare Bersani. Rottamare il Pd, giusto o sbagliato che sia — e io penso sia giusto —, è fare politica; rottamare una persona è fare carriera».
Renzi è giovane e chiede spazio.
«Hitler e Mussolini erano giovani, Churchill e Roosevelt vecchi. Oggi noi siamo di nuovo in guerra. E rischiamo di perderla, se per paura accettiamo di farci colonizzare, se votiamo per dare il nostro consenso al nostro suicidio assistito».
Chi ci vuole colonizzare?
«Non esiste che si vada in Germania e ci si senta dire da chi dev’essere governata l’Italia. Tra poco ci diranno che la nostra economia si indebolisce, il nostro debito cresce, che così l’Italia non lo può onorare, che perciò dobbiamo chiedere l’"aiuto" europeo, ma per questo dobbiamo fare "ancora di più"... Se continuiamo così, di sicuro vincono solo la speculazione internazionale e l’industria straniera».
L’Italia è messa così male?
«No. Siamo ancora un Paese molto ricco. Non ci vogliono distruggere; ci vogliono logorare per colonizzarci. Noi dobbiamo sottrarci al colonialismo. Dobbiamo ritrovare la volontà, la fiducia. E la prima mossa per bloccare il ricatto speculativo esterno è "compra Italia": riportare in mani italiane la quota estera del debito pubblico».
In che modo?
«Nulla di forzoso. Serve una visione, una politica, una volontà. Un modo per simboleggiarla può essere stabilire di nuovo che i titoli di Stato sono esenti da ogni imposta presente e futura. Com’è stato fino agli anni 80».
Vuol tornare agli anni 80?
«Perché, erano così male? L’Italia allora cresceva più della Francia e della Germania».
Altre proposte?
«Le proposte sono 40 e vanno dall’economia alla democrazia — chiediamo un referendum propositivo sull’Europa —, dalla ricerca alla medicina».
Concentriamoci sull’economia.
«Le imprese italiane non hanno credito; per questo bisogna creare una banca pubblica per l’economia come la Kfw tedesca, moltiplicando per 3 o per 4 la Cassa depositi e prestiti. Invertire il modello dei contratti passando dal verticale all’orizzontale, dai contratti di settore che riguardano tutti, grandi e piccoli, a contratti specifici per le piccole e medie imprese. Abbattere l’Imu sulla prima casa non di lusso, grazie a un’imposta bancaria sui profitti fatti speculando o nei paradisi fiscali. Mettere il Tfr nella busta paga mensile per rilanciare i consumi, grazie a un prestito alle imprese dall’Inps e dalla Cassa depositi e prestiti via banca. Una nuova legge Tremonti che aiuti le imprese che investono, assumono ed esportano. E una norma per cui nessun politico potrà guadagnare più di un precario».
Professor Tremonti, lei è stato a lungo ministro dell’Economia. Perché non ha fatto tutto questo? Com’è che anzi la situazione è precipitata?
«La situazione — e devo riconoscere che questo punto Giavazzi l’ha preso — precipitò nell’estate del 2011, quando cominciò la guerra mondiale dei debiti e la crisi sovrana dell’Europa. Andai da Berlusconi e, davanti a testimoni, glielo dissi in inglese: "Vula bass e schiva i sass!". Lui scelse la via opposta. Disse che occorreva coraggio non prudenza, e bisognava abbassare le tasse. In Europa si impegnò al pareggio di bilancio nel 2013, per poi aggirarlo con la complicità del Parlamento. Così crollò la fiducia nell’Italia. E crollò tutto».
Aldo Cazzullo