Antonella Barina, il Venerdì 5/10/2012, 5 ottobre 2012
SCHIAVE. GIÀ A SEI ANNI A SGOBBARE NELLE CASE DI LIMA
CUSCO (Perù). Angela ha 22 anni e lavora da quando ne aveva 8. Da sola, a Lima, via dal suo villaggio a quattromila metri sulle Ande, lontano dalla famiglia: sedici fratelli, un padre falegname, una madre sfinita dai parti e dalla vita grama.
Angela è stata mandata in città, quasi a inviarla sulla luna, dopo che sua sorella era stata stuprata - a 12 anni - dal padre del sindaco: un vecchio pervertito, che aveva tentato di nascondere la colpa sequestrando la bambina violata, incinta della sua brutalità. E quando il falegname aveva osato denunciarlo, lo aveva ridotto sul lastrico. Una catastrofe: la falegnameria chiusa, gli animali venduti, sette dei sedici bambini uccisi dalla miseria. Angela spedita a Lima come domestica. A 8 anni, per lavorare sedici ore al giorno - senza ombra di stipendio - da una zia fruttivendola: fin dalle 2 del mattino ai mercati generali, poi il bucato, le pulizie, la cucina... Maneggiando coltelli, varechina, gas, ferro da stiro: tutti pericoli per una bambina. E le rare volte che le era concesso di andare a scuola, si addormentava per la stanchezza. "Se piangevo, giù botte e poi in cantina, al buio. Parlavo con i topi".
Angela ha un bel viso indio, un sorriso sporadico, gli occhi che fanno resistenza a quel sorriso. Ma anche un bambino di un anno (da un amore ormai finito), che lei coccola come un’adolescente un bambolotto. Continua a raccontare, occhi chiusi: meglio non vederli i ricordi. "Avevo 10 anni quando il figlio diciottenne della zia, un duro da gang, tatuato, armato, che si faceva vivo solo per estorcere soldi alla madre, mi ha tappato la bocca e insultandomi - "stupida india puzzolente" - ha tentato di violentarmi. Non c’è riuscito solo perché hanno suonato alla porta. Ma la zia mi ha incolpato di essere stata io a provocarlo". E dopo alcuni mesi ha mandato Angela a lavorare da sua figlia. Che a sua volta l’ha cacciata, accusandola di volerle portar via il marito. A 11 anni? Più cresceva, più i maschi ai mercati generali la molestavano. Finché non è scappata, finendo a servizio altrove: "Anche lì il padrone mi toccava, appena la moglie usciva". Quando finalmente Angela ha avuto il coraggio di rivolgersi alla polizia, gli agenti l’hanno riportata a casa. Erano sette anni che aveva perso ogni contatto con la sua famiglia.
La storia di Angela è, con poche varianti, quella di troppe bambine peruviane dai 6 anni in su costrette dalla povertà, dall’ignoranza, da famiglie numerose oltre misura ad abbandonare i loro villaggi, per andare a servizio in città: una migrazione stimata tra le 120 e le 150 mila ragazzine in tutto il Perù. Perché il lavoro domestico è al terzo posto tra i mestieri svolti quaggiù dai 2 milioni e 151 mila bambini lavoratori (più della metà con meno di 13 anni). Ma è anche una delle forme di sfruttamento più atroce perché, trincerata dietro impenetrabili mura domestiche, è nascosta, incontrollabile nella sua crudeltà: il mondo civile ne sa poco o nulla; i vicini se ne fregano, una cultura abituata al lavoro minorile non si indigna; lo Stato non elabora politiche serie per arginare il dramma. Basta dire che a sfruttare le bambine in città sono soprattutto famiglie di poliziotti, insegnanti, infermieri: una piccola borghesia che di mestiere avrebbe scelto di aiutare gli altri.
Per queste e per tutte le giovani vittime di violenza nel mondo, le Nazioni Unite hanno indetto per la prima volta, l’11 ottobre, la Giornata mondiale delle bambine. Perché sono loro, ancor più dei maschi, a essere colpite ovunque da forme inaudite di ferocia: infanticidio, mutilazioni genitali, matrimoni precoci, scuola negata, sfruttamento sessuale... E Terre des Hommes, organizzazione impegnata nella difesa dei diritti dei minori con più di mille progetti in 70 Paesi, lancia ora un’importante campagna di sensibilizzazione sul diritto delle bambine alla vita, all’istruzione, alla salute, alla libertà, all’uguaglianza. Invitando a mandare un sms da 2 euro o telefonare da rete fissa al 45501, di qui al 21 ottobre. O sostenendo a distanza la vita di queste bambine con una piccola quota mensile (terredeshommes. it): il ricavato servirà a sovvenzionare i progetti "in rosa" avviati in Perù, India, Bangladesh, Costa d’Avorio, Italia. Solo le bambine che prestano servizio nelle case sono nel mondo 15 milioni e mezzo: la metà ha meno di 14 anni.
In Perù, in particolare, la sezione italiana di Terre des Hommes lavora nelle comunità andine della regione di Cusco, da cui parte un flusso continuo di domestiche bambine. Perché quassù, a quattromila metri, dove si allevano quasi solo porcellini d’india e galline, si vive di agricoltura di pura sussistenza e quel poco di patate e fave in più si baratta al mercato con l’essenziale per sopravvivere, quassù il tasso di povertà si impenna quasi al 50 per cento, come la denutrizione cronica infantile. E a spaccarsi la schiena è tutta la famiglia, anche i più piccoli, bronci scuri di sole e polvere, e le donne con i neonati in spalla, fagotti dai colori sgargianti: quando finisce la stagione del raccolto, gli uomini vanno altrove, lontano, a offrirsi come manovali, minatori, bestie da soma. E la disgregazione familiare è altissima. La disperazione si annebbia nella bottiglia: prima sbronza a 12-13 anni, ultima nella mezza età, affogando nell’alcol puro.
Mentre il sogno di una vita migliore si rincorre in città, senza sapere che si sgretolerà contro un muro di schiavitù. Per tentare di sradicare alla radice l’esodo delle bambine a Lima, Cusco, Arequipa, Terre des Hommes si impegna a integrare la scuola pubblica - tra le peggiori al mondo - e arginare un analfabetismo che nelle donne supera il 50 per cento. "Formiamo i docenti, garantiamo il doposcuola, distribuiamo materiale didattico e cure sanitarie..." spiega Mauro Morbello, che dirige i progetti in Perù. "E interveniamo sulle famiglie, insegnando le regole base dell’igiene e della nutrizione; stimolando nuove attività economiche; diffondendo la cultura - ignota - dei diritti del bambino. In una provincia che è al 189° posto, quanto a sviluppo umano, sulle 195 province del Perù". Tutte attività svolte assieme al Centro Yanapanakusun, che a Cusco ha una casa famiglia per dare rifugio alle ragazze sfuggite ai propri aguzzini, offrendo loro sostegno psicologico, scolastico, sanitario. Grande madre: Vittoria Savio, 78 anni di energia e carisma, venuta da Torino tanto tempo fa per dedicare la vita a queste bambine.
Che ora stanno preparando uno spettacolo sulla loro storia, dai primi anni di stenti nei villaggi andini all’infanzia negata da padroni disumani, fino al riscatto con Vittoria e Terre des Hommes. A guidarle nella messinscena, l’attrice Sonia Bergamasco, a Cusco come testimonial della ong, che dolcemente le incalza e le consiglia. Si capiscono a gesti: le bambine parlano quechua, la lingua degli altipiani, quella che le ha fatte sentire ancora più sole a servizio in famiglie che urlavano i loro ordini in spagnolo. Hanno i volti antichi degli indios delle Ande, lineamenti che giustificano ogni ferocia in un Paese razzista e maschilista, dove essere indie, donne e per di più domestiche vuol dire essere scorie della società. Nelle pause, cantano in coro le ballate dolorose dei loro villaggi, suicidi d’amore, tradimenti, amiche che ti soffiano il marito...
Tra loro c’è Yaneth, 12 anni, nata da uno stupro, come il fratellino di 4. La mamma, pastora di Huayllapata, violentata più volte nei campi, ha problemi mentali, momenti di rabbia feroce, durante i quali Yaneth scappava per la paura, rischiando altri abusi in queste vette da Far West: prima che finisse a servizio in città, Terre des Hommes l’ha portata al sicuro da Vittoria Savio. Ora nella sua vecchia casa, isolata sui monti, la mamma vive con la nonna (rughe e cappellaccio di feltro) e i suoi 30 euro mensili di pensione sociale: il padre ha un’altra famiglia. E quando chiedi se ha riconosciuto Yaneth, le donne sfoderano un sacchetto di plastica cucito nell’orlo della gonna: c’è un foglio a quadretti con uno scarabocchio, senza alcun valore legale, ma per loro è come la Sacra Sindone. E a mettere in scena la sua storia c’è Yenifer, nata 12 anni fa a Chinchayhuasi, in una capanna di mattoni, fango e paglia: un brulicare di porcellini d’India sulle stuoie dove si dorme e tra le padelle impilate sul pavimento di terra. Sua madre è morta quando lei aveva 8 mesi e suo padre se n’è andato, lasciandola ai nonni alcolizzati e a zia Epifania, già oberata dai figli suoi. Qualche mese fa Yenifer è caduta, si è rotta un braccio, nessuno l’ha curata: non riesce più a muoverlo. Ora anche la nonna si è suicidata con il veleno dei topi e lei ha trovato rifugio da Vittoria. Ti scruta come a catturarti l’anima, beve dalla bottiglietta d’acqua come fosse un biberon. Ma è scampata a padroni feroci. Ciò che non ha potuto fare sua zia Sara, migrata a Lima a 8 anni, insultata e picchiata a sangue per ogni errore, abusata dal padrone fino ai 18 anni. Non sapeva neanche la sua età: è stato il dentista a stabilirla dai denti. Piange. "Il primo abbraccio? Me lo ha dato Vittoria quando ero già grande".
Affetti calpestati, difficoltà d’autostima, rabbia verso i genitori che non ti hanno protetto, odio per i tuoi aguzzini... È duro crescere se hai saltato l’infanzia. Arduo amare, fidarti, perdere quello sguardo dolente anche se ridi. Tornare al villaggio è uno smacco, se sei partita sognando; raccontare è inutile, tanto non ti credono; restare in città è un rischio. Ma qualcuno vince: Raimunda (26 anni e 20 a servizio) e Luisa (a 11 rapata a zero e chiusa a chiave in casa, quando i padroni partivano), oggi lavorano a Radio Santa Monica, una delle più ascoltate nelle comunità campesine. Spigliate, orgogliose, parlano di diritti dei bambini e degli indios, dei diritti degli ultimi, per contribuire ad arginare l’esodo delle piccole schiave. Sulle pareti dello studio ci sono manifesti delle star di Cuzco. Su uno si legge: Muchachitas de oro.