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 2012  ottobre 05 Venerdì calendario

NAZIONALIZZARE L’ENERGIA, UNA SCELTA PIRANDELLIANA

«Che disarmante vecchio mascalzone!». La definizione non proprio lusinghiera del leader socialista Pietro Nenni, che aveva da poco compiuto 70 anni, è in un rapporto riservato sulla situazione italiana per il presidente JFK. Questa nota redatta da una vera autorità in politica estera, Charles Douglas Jackson, avverte che quel “mascalzone” è in procinto di dare scacco matto alla Casa Bianca con le sue abili manovre. Infatti, il Partito socialista si propone di procedere alla statalizzazione dell’energia elettrica, ritenuta dal funzionario una vera e propria «nazionalizzazione socialista». Così la controversa questione della sorte del carbone bianco italiano nell’aprile 1961 approdò sul tavolo del neoeletto Kennedy che in quel momento aveva anche ben altro di cui occuparsi (come l’invasione della Baia dei Porci). Comunque, qualche mese dopo, Amintore Fanfani, il cosiddetto “cavallo di razza” della Dc, in visita ufficiale negli Stati Uniti avrà dal giovane presidente la cauta benedizione per la formazione di un governo di centro-sinistra e dunque anche l’ok per il cambiamento della politica energetica che faceva parte della posta che i socialisti mettevano sul piatto. A raccontarci adesso l’avventurosa storia dell’Enel che sta per compiere i suoi primi 50 anni, ovvero di quel «provvedimento di eccezionale portata» che diede vita all’Ente nazionale energia elettrica e che cambiò il volto dell’economia italiana, è il documentatissimo excursus di Valerio Castronovo, Il gioco delle parti. La nazionalizzazione dell’energia elettrica in Italia (Rizzoli). Una storia veramente pirandelliana questa dell’aspro viaggio verso la nazionalizzazione che prese avvio subito dopo la fine della guerra con grandi discussioni e grandi scontri sull’importanza della gestione pubblica o privata di questo settore assolutamente strategico. Quando l’operazione fu realizzata si trattò di una vera rivoluzione: la nascita dell’Enel vide infatti circa 1.300 aziende interessate dalle pratiche di cessione degli impianti, mise in campo il problema dell’entità degli indennizzi dovuti alle società espropriate e l’enorme rebus del reinvestimento di questo ingente flusso di denaro. Tra i primi a inaugurare una riflessione sulla nazionalizzazione era stato il gruppo degli “Amici del Mondo”, con la vis polemica di Ernesto Rossi scatenata contro le “baronie elettriche” e i floridi benefici assicurati alle oligarchie economiche da una situazione di monopolio a danno degli utenti.

Tempi biblici. Quando poi l’iter legislativo arrivò in porto (il 12 dicembre del 1962), il padre della nuova creatura elettrica era indubbiamente il socialista Riccardo Lombardi: da una parte intendeva ridurre il campo d’azione dei tradizionali potentati del potere economico e, dall’altro, stabilire un rapporto fra gli orientamenti del Psi e quelli del Pci all’interno della sinistra. Dagli esordi della discussione all’approvazione del provvedimento erano passati all’incirca 17 anni. Per dar vita a un nuovo modello di sviluppo elettrico la Francia di anni ce ne aveva messo uno (1946) e l’Inghilterra due (1947). Il gioco delle parti, in Italia, era stato veramente faticoso.