Ferruccio Pinotti, Sette 5/10/2012, 5 ottobre 2012
I NUOVI SERVIZI SEGRETI? MENO STRAGI E DEPISTAGGI PIÙ ECONOMIA E FINANZA
I grassi compensi da 50mila euro al mese che, stando alle carte sequestrate nel “covo del Sismi” di via Nazionale diretto da Pio Pompa, venivano erogati a Edward Luttwak forse non sono più possibili. E dopo la sentenza della Cassazione che vieta l’uso à la carte del segreto di Stato sarà più difficile, per i nostri 007, partecipare a rapimenti di imam insieme ai colleghi della Cia (la “extraordinary rendition” di Abu Omar nel 2003). Anche figure colorite come l’agente Betulla (alias Renato Farina) o come i piduisti Musumeci e Santovito (senza dimenticare Mario Mori e Bruno Contrada) diverranno residuali in tempi in cui la crisi fa sentire il suo morso anche sull’intelligence nostrana. Un mondo che comunque continua a costarci 650 milioni di euro l’anno, una somma enorme che induttivamente rivela anche il numero di barbe finte italiane in attività (almeno 2.500-3.000). Figure curiose, la cui efficacia ed efficienza è ancora tutta da accertare, mentre restano agli atti processuali i coinvolgimenti nelle stragi, i depistaggi, le affiliazioni massoniche, le ruberie. Tuttavia i nostri 007 stanno vivendo una rivoluzione silenziosa, che ne sta mutando radicalmente il volto.
Dopo la legge di riforma del 2007 che ha cancellato i vecchi Cesis, Sismi e Sisde, protagonisti di processi per stragi e depistaggi, il governo Monti ha impresso una svolta. Il premier ha varato una nuova normativa di riforma dei Servizi segreti, la legge 133 del 7 agosto 2012, nata su una proposta di legge presentata da Massimo D’Alema, presidente del Copasir, il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica.
Ma Super-Mario ha firmato anche una direttiva sulla base di un atto emanato dal predecessore Silvio Berlusconi, che concerne le informazioni coperte da segreto di Stato.
Monti è quindi molto attento al tema dei Servizi, tanto che per sette mesi ha mantenuto a sé la delega, affidandola solo nel maggio 2012 all’ex capo della polizia, il sottosegretario Gianni De Gennaro. L’interventismo del premier è stato completato dalla nomina di un nuovo direttore del Dis (il Dipartimento informazioni per la sicurezza, che risponde al premier e che coordina i Servizi), l’ambasciatore Giampiero Massolo. E dall’arrivo alla guida dell’Aisi (l’Agenzia informazioni e sicurezza interna) del generale Arturo Esposito, mentre alla guida dell’Aise (per la sicurezza estera) è stato confermato il generale Adriano Santini.
Più orecchie in ascolto. Difficile immagire Monti nelle vesti di un super 007 o di un “grande fratello”, eppure pochi sanno che grazie alla direttiva citata il premier ha ampliato il campo delle discusse “intercettazioni preventive”.
A confermarlo è il suo braccio destro nella gestione dei Servizi, Gianni De Gennaro, che dopo vent’anni di silenzio stampa rivela a Sette: «L’aver consentito ad Aisi e Aise di ampliare il campo delle intercettazioni preventive è segno tanto di fiducia verso queste delicate istituzioni, quanto di una piena consapevolezza della loro indispensabilità nel delineare un quadro informativo autentico, che costituisca un valore aggiunto per il decisore politico».
De Gennaro attacca: «I nostri Servizi sono sempre più lontani dai fantasmi di un passato che li vedeva spesso indicati come una forma di “devianza” dal percorso democratico».
A dargli ragione, paradossalmente, è un ex agente segreto del Sismi come Francesco Pazienza, chiamato in causa da mille vicende, dal crack dell’Ambrosiano alla strage di Bologna. Ancora richiestissimo per i suoi servigi, dal suo rifugio di Lerici sibila: «Oggi i Servizi fanno il loro dovere, all’epoca erano strumento di gruppi politici, ogni partito aveva le sue spie, compreso il Pci, che aveva come riferimento il generale Notarnicola. Santovito era l’uomo di Andreotti. Quando frequentavo il capo dei leggendari Servizi francesi mi diceva: “Qui tutti chiamano, ma io non rispondo a nessuno”: così dev’essere e com’è per l’MI5 e l’MI6. Nel complesso la riforma è buona, funziona»,
Pazienza, oggi consulente di gruppi industriali stranieri, spiega: «Dopo il muro di Berlino a contare è l’intelligence economica e i nostri Servizi si stanno ammodernando: finanza e petrolio i settori in cui sono più attivi»
De Gennaro, il nuovo Fouché dei Servizi italiani, ha capito quanto sia importante l’economia per avere un’intelligence realmente utile: «Il nostro sistema informativo sta procedendo, sotto la pressione di evidenti minacce, a un’impegnativa riconversione aziendale e per fare questo non è sufficiente dire: da domani fissiamo i nuovi target della nostra attività. Serve infatti una vera e propria rivoluzione culturale che consenta non soltanto l’esatta individuazione degli obiettivi, ma anche e soprattutto l’acquisizione del necessario know-how attraverso il reperimento di nuove risorse con una specifica professionalità».
Tipici esempi del campo operativo dei nuovi Servizi sono la protezione dell’Eni nella Libia del dopo-Gheddafi. O il controllo di chi sta dietro ai fondi sovrani che investono in infrastrutture strategiche, per evitare di trovare i soldi macchiati di sangue di un dittatore, come è accaduto a Unicredit con il Raìs. Ma è fondamentale anche vigilare sul rischio che le grandi privatizzazioni in vista si trasformino in un’occupazione del Paese. Così come sul riciclaggio dei capitali mafiosi nelle imprese in crisi.
Meno ufficiali dei carabinieri, quindi, più analisti ed esperti di finanza: «Alle nostre Agenzie informative è affidata la “missione” di difendere gli interessi economici, scientifici e industriali dell’Italia dalle minacce provenienti dall’interno e dall’estero», prosegue De Gennaro.
Le “spie” del terzo millennio usciranno da corsi ad hoc come il nuovo master sul-
l’intelligence economico-finanziaria che sta per prendere il via a Tor Vergata. «Il fine ultimo è quello di attrezzarci al meglio per tutelare, in una visione di sistema che deve fare interagire pubblico e privato, il nostro patrimonio industriale strategico, le infrastrutture critiche, il cyberspazio, la libera concorrenza», conclude De Gennaro.
Napolitano intercettato. L’aumento delle competenze e degli strumenti tecnologici a disposizione dei Servizi genera chiaramente un problema: chi controlla i controllori? Il presidente del Copasir, Massimo D’Alema, spiega: «La riforma del 2007 e la legge di “manutenzione” dell’agosto 2012 hanno comportato una profonda riorganizzazione e un ripensamento delle professionalità coinvolte. Il volto della nostra intelligence è mutato, i Servizi segreti stanno effettivamente cambiando modo di lavorare e mentalità, migliorando la loro capacità di affrontare nuove sfide. E questo è un cambiamento di cui il Parlamento è protagonista. La legge prevede un coinvolgimento del Parlamento del tutto speciale, perché i regolamenti attuativi passano al vaglio del Copasir. Ed è il Copasir che formula i pareri sulla normativa di settore. Finora il comportamento dei governi è stato quello di considerare il parere del Copasir pressoché vincolante».
Una bella differenza rispetto ai tempi in cui Berlusconi poneva il segreto di Stato su Villa Certosa e snobbava il Copasir.
«Berlusconi non ha mai voluto incontrare il Copasir, dimostrando il suo scarso interesse per la materia. Monti, invece, è venuto con sollecitudine, abbiamo con lui una collaborazione positiva».
Viene spontaneo chiedere a D’Alema se sia credibile che i Servizi non sapessero delle intercettazioni che coinvolgevano il presidente della Repubblica Napolitano (all’epoca dei fatti i vertici dell’intelligence rispondevano a Letta e Berlusconi).
I Servizi avrebbero potuto o dovuto svolgere un ruolo “politico”, nel riferire alla Presidenza della Repubblica che erano in corso intercettazioni a carico del Colle?
«Assolutamente no, in alcun modo: non è compito dei Servizi controllare la magistratura. C’è stato qualche episodio non limpido nel passato, mi riferisco al caso di via Nazionale (in cui operava una sede del Sismi, ndr), dove sono state fatte intercettazioni e raccolti dossier illegali (a carico di politici e magistrati, ndr). Si tratta di episodi inquietanti sui quali si sarebbe dovuta fare piena luce, ma il governo Berlusconi lo ha impedito, confermando il segreto di Stato. Attenzione, insisto: i Servizi non devono svolgere un “ruolo politico”».
Quanto alle stragi del ’92 D’Alema spiega: «Le indagini della Procura hanno riguardato persone dei Servizi segreti dell’epoca. Bene, in tutti questi casi noi siamo intervenuti sollecitando una piena cooperazione dei Servizi con la magistratura. E mi risulta che questa collaborazione ci sia stata. Lo stesso Copasir ha audito il capo della Procura di Caltanissetta, titolare delle indagini sugli attentati, proprio per poter esercitare il ruolo di stimolo che ci compete nei confronti delle Agenzie».
In merito alla minaccia economica, quale fronte caldo dei Servizi, D’Alema avverte: «In un momento di grave crisi economica come quello che stiamo passando, vi è il forte rischio di infiltrazione di capitali mafiosi, ma anche quello della penetrazione di capitali stranieri che intendono prendere il controllo di settori strategici della nostra economia. Va tutelata l’indipendenza del Paese. In questo senso, è fondamentale capire quali gruppi, operatori finanziari e Paesi si celano dietro a determinate iniziative. Per questo assume una rilevanza inedita il rafforzamento del comparto dell’intelligence economica: la competizione e le guerre si giocano sempre più in questo campo. Alcuni brevetti tecnologici strategici non sono necessariamente in mano a grandi gruppi, che hanno sistemi di sicurezza propri, ma a piccole e a medie imprese molto avanzate, che vanno protette».
Il bilancio della nostra intelligence quanto vale, ed è sottoposto anch’esso alla spending review? «Certo. Il bilancio complessivo per gli organismi di informazione e sicurezza è di 650 milioni di euro l’anno. Saranno tagliate le retribuzioni più elevate».
Un lavoro a favore delle imprese. Al tema dell’intelligence economica è sensibile anche il ministro degli Esteri Giulio Terzi di Sant’Agata, che ha col capo del Dis un rapporto di forte collaborazione in quanto Massolo è stato segretario generale della Farnesina: «L’intelligence economica è per noi di assoluta priorità. La rete diplomatica opera a sostegno delle nostre imprese, per favorirne l’accesso ai mercati delle economie emergenti. È inevitabile che ci si trovi a fronteggiare, su questo terreno, una competizione molto forte, che può essere sleale, condotta al di fuori delle regole. È un problema che riguarda anche gli Stati, non c’è solo lo spionaggio industriale o fra trader, poiché le istituzioni e le imprese fanno sistema, dunque sono esposte alle stesse minacce. Intelligence economica e diplomazia economica devono lavorare assieme per tutelare gli interessi nazionali».
Vicende come la conquista di Parmalat da parte di Lactalis fanno riflettere. E si connettono al decreto sulla “golden share” approvato, ma in attesa di regole specifiche. Per renderlo davvero operativo, i nuovi 007 della finanza saranno fondamentali.
«Così è cambiato
il concetto di minaccia»
Il direttore del Dis (Dipartimento informazioni per la sicurezza, che coordina l’Aisi e l’Aise) è l’ambasciatore Giampiero Massolo, già segretario generale della Farnesina. Come è mutato l’interesse nazionale?
«Il passaggio da sicurezza dello Stato a sicurezza del sistema Paese ha prodotto una profonda trasformazione nel ruolo dell’intelligence e nello spettro di attività a difesa di un mutato concetto di interesse nazionale. Questa rivoluzione si collega all’evoluzione del concetto di minaccia, che si allarga a nuovi soggetti ed entità: gruppi, competitors, galassie puntiformi di attori».
Cosa serve ai Servizi per essere efficienti?
«Un modello nuovo di intelligence che sappia misurarsi con una minaccia che investe l‘integrità fisica, patrimoniale, industriale, produttiva, sistemica, competitiva dello Stato, dei suoi cittadini e delle imprese. È evidente l’accresciuta importanza di settori come il cyber e l’economico-finanziario: entrambi sono fondamentali per la sicurezza delle aziende ed entrambi richiedono profili altamente specializzati e tecnologie all’avanguardia. Grande importanza, in questo senso, rivestono le professionalità che offre il settore privato. Un fronte in grande via di sviluppo è anche quello di una accresciuta collaborazione con le aziende strategiche e con quelle che gestiscono infrastrutture critiche».
Quali competenze servono di più oggi?
«C’è una espansione del core business di quelli che erano i vecchi Servizi segreti che ha prodotto e sta producendo una vera e propria rivoluzione culturale. Questo non significa che non rimangano importanti gli strumenti tradizionali, umani e tecnologici. Anzi, la crescita esponenziale dello sviluppo tecnologico va presa non solo come un fattore di minaccia, ma anche come una grande opportunità di intelligence».
Il magistrato di gladio e piazza fontana
Il Gip Salvini: progressi
ma anche molte ombre
Al gip Guido Salvini, protagonista di indagini che coinvolgono i Servizi, abbiamo chiesto di approfondire un tema delicato.
Come si evolve il rapporto tra Servizi segreti e magistratura?
«Negli Anni Novanta c’è stata un’evoluzione positiva, superato il periodo dei depistaggi, quando il Sismi ha collaborato positivamente nell’indagine su piazza Fontana: ha aperto i suoi archivi – che hanno consentito per esempio di scoprire le fonti Turco e Tritone – e li ha messi a disposizione della magistratura. Negli ultimi 10 anni il ruolo dei Servizi è diventato molto più delicato, con l’esplodere delle crisi internazionali legate ai conflitti in Medio Oriente. I Servizi hanno svolto operazioni positive collaborando alla liberazione di molti ostaggi, ma nel contempo ci sono stati passi indietro, come ha evidenziato la vicenda di Abu Omar, oggetto della sentenza di pochi giorni fa».
Quale controllo può e deve esercitare il Parlamento?
«È molto importante che i Servizi di sicurezza non siano lo strumento di un governo, o del governo che è in carica in quel momento. In questo senso, per fortuna, va la legge, di cui si è poco parlato, del 7 agosto 2012, che completa la riforma del 2007 e prevede un maggior controllo del Copasir sulle opposizioni di riservatezza e sul segreto di Stato, anche al fine di evitare che vi siano Servizi di informazione paralleli».
Nell’intercettazione di Napolitano i Servizi potevano o dovevano intervenire?
«È assolutamente impensabile che i Servizi di informazione intervengano e vengano messi al corrente dell’attività della magistratura, soprattutto nei casi più delicati, perché questo sarebbe del tutto in contrasto con l’autonomia dei poteri, giudiziario ed esecutivo. D’altra parte, i Servizi sono tenuti a trasmettere all’autorità giudiziaria tutte le informazioni di cui vengono in possesso se riguardano la prevenzione di gravi reati».
Il segreto di Stato, un nodo
che non si scioglie mai
Sono molti i misteri italiani sui quali il segreto di Stato ha fatto e fa sentire come un macigno il suo peso: la strage di piazza Fontana (12 dicembre 1969), di piazza della Loggia (28 maggio 1974), quella dell’Italicus (4 agosto 1974), l’omicidio Moro (16 marzo 1978), l’omicidio di Mino Pecorelli (20 marzo 1979), l’assassinio dei giornalisti Italo Toni e Graziella De Palo (2 settembre 1980). Ma anche su recenti operazioni, come il rapimento di Abu Omar (17 febbraio 2003) su cui la Cassazione pochi giorni fa ha dato ragione ai giudici, bocciando il ricorso del governo al segreto di Stato.
Il presidente del Copasir Massimo D’Alema valuta così la vicenda: «Vi sono due pronunce sul caso Abu Omar. La prima è quella della Corte Costituzionale, che ha sostenuto la piena legittimità della conferma del segreto di Stato da parte del governo e l’insindacabilità nel merito da parte dei giudici. La Consulta è intervenuta a tutela del principio della cooperazione tra Servizi italiani e stranieri, ritenendo che essa sia un valore da proteggere anche attraverso il segreto di Stato, in quanto investe direttamente la sicurezza della Repubblica. La seconda pronuncia è la recente sentenza della Cassazione, la quale ha affermato che il segreto di Stato non può rappresentare un impedimento a procedere nei confronti di funzionari dei Servizi accusati di aver commesso dei reati. Quindi il processo nei confronti di Pollari e Mancini potrà proseguire. Sono due pronunce complesse, ma compatibili, non vi è contraddizione».