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 2012  ottobre 05 Venerdì calendario

SALVIAMO LE SPOSE BAMBINE 100 MILIONI DI PICCOLE SACRIFICATE A UOMINI ADULTI PER DENARO E TRADIZIONI

Isabella di Valois, principessa di Francia, andò in sposa a Riccardo II d’Inghilterra a sette anni appena compiuti. Non vi fu sdegno per quel matrimonio che sarebbe stato illegale già ai tempi della Roma antica, quando l’età minima per essere moglie era 12 anni. Al contrario: quelle nozze furono salutate con gioia in entrambi i regni, nella speranza che l’unione tra la bimba “dalle rosee guance” e il sovrano trentenne e vedovo mettesse fine alla terribile Guerra dei Cent’anni. Ma era il 1396, tardo Medioevo. Perfino in Europa i minori e soprattutto le minori non avevano la minima voce. I matrimoni tra i bambini delle famiglie reali non erano rari, anzi erano apprezzati come strumento di alleanze politiche. Quelli tra i figli della nobiltà pure, per unire terre e patrimoni. E anche tra i poveri succedeva, per pochi soldi, per ignoranza e disperazione, e per consuetudine.
Motivi che in sostanza non si sono esauriti con l’andare dei secoli. Sempre meno frequenti in Occidente, dove le legislazioni fissano e impongono limiti chiari all’età minima del matrimonio, in genere a 18 anni come in Italia, le nozze di bambini persistono nei nostri Paesi solo in certe comunità: succede ancora tra i Rom, tra gli africani, ancor più tra gli emigrati asiatici, soprattutto dall’India e dal Pakistan. Avvengono in segreto, coperte dall’omertà che ogni tanto viene infranta da qualche coraggiosa ragazzina, a volte da una madre, che sfida la “legge” della comunità. Periodicamente poi emergono casi rivelati da un attivista o da un giornalista, come è stato pochi giorni fa in Gran Bretagna: un reporter del Sunday Times di origine pachistana, fingendosi in cerca di una sposa 12enne, ha trovato più di una famiglia disposta a cedergli una figlia di quell’età, e due imam pronti a celebrare l’unione, di nascosto dalle autorità. Ma sono episodi (abbastanza) isolati e sempre più tenacemente perseguiti dalle autorità. L’allarme maggiore riguarda invece i Paesi, e si stima siano una cinquantina, ovvero un quarto di quelli esistenti, dove il fenomeno è ancora molto diffuso, e se non legale certo tollerato.
“Salvate le spose bambine, risparmiate le vostre figlie”, è l’appello rivolto a queste nazioni, in Africa e in Asia ma anche in Oceania e in America Latina, dall’Unicef e da una miriade di attivisti e organizzazioni tra cui l’International Center for Research on Women (Icrw). Anche se esistono non pochi sposi-bambini, la pratica riguarda infatti soprattutto le femmine. Ai motivi economici, una figlia è un costo se resta in casa mentre porta una dote se viene sposata, si aggiunge la questione dell’onore: non si corrono rischi di perdita della verginità o di gravidanze prima del matrimonio. Secondo l’agenzia dell’Onu per i diritti dei minorenni, tra le donne di età compresa tra i 20 e i 24 anni in Niger il 74% è diventata moglie prima di compiere i 18 anni, il 71% in Ciad, il 70% in Mali e il 66% in Bangladesh. Tra i primi 20 Paesi di questa triste classifica figurano India, Nepal, Mozambico, Nicaragua, Etiopia. Nei prossimi dieci anni, stimano i ricercatori dell’Icrw, saranno almeno 100 milioni le nuove spose bambine che si aggiungeranno alle oltre 60 milioni di oggi. Anche adesso, mentre leggete questo articolo, in pochi minuti decine di vite si sono trasformate in tragedia.
Il dato stimato dall’Unicef comprende tutte le ragazze-bambine al di sotto dei 18 anni, e che una 17enne si sposi non è forse così scandaloso per noi, anche in Occidente esistono eccezioni legali, rare e in calo, per cui una 16enne può contrarre matrimonio, in genere per una gravidanza e comunque per sua libera scelta. In molti Stati persistono invece milioni di casi ben più gravi, di bimbe costrette a nozze forzate in età prepuberale e già cosi piccole consegnate al marito: bambine di 15 anni, anche di 10, perfino di sei o sette anni.
Alcune di queste storie arrivano sui nostri media: tre anni fa diventò famosa la piccola (10 anni) Nojoud Ali. Figlia di un disoccupato yemenita, musulmano e povero come il suo Paese, era stata costretta dal padre a sposarsi con un trentenne di Sana’a. «Mi avevano detto che sarei andata a vivere con lui da grande, che era solo un fidanzamento», raccontò più tardi Nojoud. Invece le minacce dello sposo avevano costretto la famiglia a consegnargli subito la bambina. Stuprata e picchiata da quell’uomo che odiava ma che non era riuscito a distruggere in lei la forza di reagire. Nojoud era scappata, era arrivata da sola in tribunale, aveva chiesto aiuto al giudice. E il verdetto alla fine era stato di matrimonio annullato: se la legge in Yemen non fissa limiti d’età per il matrimonio (è in discussione una norma che pone a 17 anni la soglia minima), ne prevede invece per il rapporto sessuale, consentito solo alla “maturità” della sposa, termine vago ma certo non a 10 anni. Ora Nojoud, diventata simbolo della lotta per i diritti delle donne e dei bambini, vive con uno zio. E ha coronato il suo sogno: frequentare le elementari, e a casa giocare con i peluche che in tanti le hanno regalato.
Un’altra sposa bambina diventata celebre, combattiva e alla fine vittoriosa, è l’indiana Rekha Kalindi. Sposata a 12 anni nella regione rurale del Bengala occidentale, due anni fa si era assolutamente opposta a lasciare la famiglia e la scuola che amava. Ha convinto i genitori, il contratto è stato annullato. E altre piccole indiane hanno trovato la forza di seguire il suo esempio. Ancora poche però: nel grande Paese a maggioranza induista si calcola che il 44% dei matrimoni riguardino ragazze sotto ai 18 anni, il 22% delle spose abbiano meno di 16 anni e il 2,6% dei contratti vincolino bimbe di nemmeno 13. E in India, ancora oggi, si registrano il 40% dei matrimoni precoci del mondo intero.
Meno fortunata l’etiope Tihun Nebihu, la sua storia ha fatto scalpore soprattutto in America dopo che i media ne hanno parlato. E perché cristiana. Un giornalista del Chicago Tribune l’aveva trovata in un villaggio sperduto degli Amhara, un’etnia contadina e poverissima. Tihun era stata promessa a un “amico di papà”, presto sarebbe andata a vivere con lui. A 7 anni sapeva di non volere quelle nozze ma non aveva la forza di reagire, sperava in qualche miracolo senza crederci molto mentre era convinta che nessuno l’avrebbe aiutata. Nemmeno la Chiesa si oppone a un’usanza seguita da millenni. Nella regione Amhara, stima l’Onu, il 90% delle ragazze si sposano prima dei 15 anni. È in assoluto la regione del mondo con il più alto tasso di spose bambine.
«Questi matrimoni straziano il cuore, fa male sapere quanta miseria e quanto dolore si soffrano in silenzio. Sono solo bambini, non hanno voce e noi facciamo il possibile ma non basta», dice Micol Zarb, portavoce dell’Unf-pa, il Fondo dell’Onu per la Popolazione che monitora la salute degli abitanti del mondo. E che denuncia come, oltre ai devastanti effetti psicologici, intellettuali, sociali, tra le bimbe spose si registrino tassi altissimi di morti precoci per gravidanze a rischio e per parto. Molte piccole spose contraggono l’Aids, soprattutto in Africa, dai mariti adulti ai quali non sono certo in grado di imporre precauzioni. Ma nemmeno questo basta, al momento, per sradicare una delle piaghe più dolorose del pianeta.
Vero è che le denunce internazionali, e locali, iniziano a suscitare indignazione nelle élite di queste nazioni: le classi sociali più agiate e colte, dove i matrimoni combinati restano la norma come in India, risparmiano almeno, sempre più, i bambini. Le statistiche indicano che ovunque tra i ricchi sono ben pochi i matrimoni anzi tempo, ma con il calare del reddito la loro percentuale si innalza. Ed è anche vero che le autorità locali iniziano a muoversi, quasi ovunque esistono leggi con i limiti d’età per sposarsi e lentamente si tenta di farle osservare. Anche molti capi religiosi hanno cominciato a denunciare e a proibire questa usanza. Ma il problema è che non sono le religioni ufficiali a imporla, pur avendola finora quasi sempre accettata. Musulmani, induisti, cristiani, animisti, tutti i padri (e le madri) che consegnano la loro bambina a un uomo per qualche soldo lo fanno perché “si è sempre fatto così”, per avere un po’ di denaro e sopravvivere, e mettere “al sicuro” l’onore della figlia e della famiglia. Per gli stessi motivi, in fondo, che già ai tempi di Isabella di Valois costringevano i poveri del mondo a condannare le loro bambine a un futuro di dolore e di infelicità.