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 2012  ottobre 05 Venerdì calendario

PINOCCHIO FOR PRESIDENT

La classifica delle bugie piccole, grandi ed enormi è lì, nero su bianco. Quelle dette dal presidente Barack Obama, come quelle dello sfidante repubblicano Mitt Romney. L’ex governatore del Massachusetts che aspira a installarsi alla Casa Bianca il prossimo 6 novembre ha detto cose in gran parte false, totalmente false o così enormemente false da meritare un Pinocchio d’oro nel 42 per cento dei suoi interventi. Il presidente si è fermato al 27 per cento. Chi lo dice? PolitiFact, un sito che passa ogni dichiarazione politica, ogni spot elettorale, ogni comizio ai raggi X del controllo della verità dei fatti e che per il lavoro della sua squadra ha vinto un Pulitzer nel 2012.
«L’onestà è un’arte perduta, i fatti appartengono ai perdenti e la verità è morta», ha esordito Charles Blow nella pagina degli editoriali del "New York Times" per ragionare sul modo in cui i candidati si stanno rivolgendo agli elettori, soprattutto lo sfidante del Partito Repubblicano. La campagna presidenziale del 2012 viaggia con molta frequenza sui binari del falso. Certo, la bugia in politica non è una novità, e soprattutto non è una esclusiva di Obama e di Romney, né degli Stati Uniti. Ma questa volta, la corsa alla conquista dell’Oval Office sembra essere accompagnata da un tasso di falsità piuttosto alto. Una delle cause è sicuramente l’esistenza dei SuperPac, comitati di sostegno politico a un candidato le cui attività però non sono ufficialmente e formalmente sotto il controllo diretto di chi partecipa alla competizione elettorale. Chi maneggia i SuperPac, foraggiati da una montagna di denaro (vedere riquadro nella pagina accanto), non si preoccupa di avvicinarsi a quel limite dove la verità si scioglie nel falso, né di superarlo.
Mitt Romney ha cominciato sin dal primo spot televisivo della campagna elettorale contro Barack Obama a dare lavoro ai cacciatori di bugie. Il messaggio sottolineava con forza l’andamento negativo dell’economia, la lentezza della ripresa, la disoccupazione troppo alta, il Pil anemico. Quindi inseriva uno spezzone televisivo nel quale Obama diceva: «Se continuiamo a parlare di economia, perderemo». Un messaggio per dire agli elettori che il presidente sapeva di aver sbagliato e voleva cambiare discorso. I curiosi cacciatori di verità andarono a vedere quando, dove e perché Obama aveva pronunciato quella frase e scoprirono che era datata 2008, al tempo della campagna presidenziale contro il senatore repubblicano John McCain. E che era stata tagliata ad arte perché nell’originale il presidente in realtà diceva: «La campagna del senatore McCain sostiene, ed io cito tra virgolette, "se continuiamo a parlare di economia perderemo"». Dunque, una frase di McCain citata testualmente da Obama era diventata di Obama per sostenere il suo disinteresse nei fatti dell’economia.
La Bibbia politica dei consiglieri di Romney è la strategia con la quale il consulente politico Karl Rove fece diventare presidente e poi rieleggere George W. Bush. C’è bisogno del controllo totale del messaggio da inviare agli elettori, di pianificare un’agenda politica chiara e precisa, di alzare un muro di fronte a qualsiasi critica ed errore senza mai ammettere di avere sbagliato. Una strategia che si ritrova in parte nella campagna elettorale di Obama, uomo politico distante dalle idee di Karl Rove, ma su cui ha fatto presa una strategia che è stata vincente.
È accaduto nello spot andato in onda all’inizio di settembre con il quale si inviava agli elettori il messaggio che Romney e la sua Bain Capital non erano poi state così attente alle ragioni dei lavoratori ed era stato preceduto da interventi diretti di Obama sul fatto che spesso la società di Romney invece di creare nuovi posti di lavoro li aveva cancellati perché le attività erano state trasferite in Cina, India o Sud America. L’attacco è arrivato dal SuperPac Priorities Usa: Joe Soptic, un ex dipendente di un’acciaieria del Missouri controllata dalla Bain, sosteneva che alla perdita del lavoro si era accompagnata la cessazione dell’assicurazione medica, senza la quale la moglie malata di cancro non aveva potuto ricevere adeguate cure. Coperto di critiche Obama ha fatto replicare di non essere stato al corrente dello spot.
I candidati, come anche gli strateghi politici delle campagne, non sembrano minimamente preoccupati delle critiche sulla verità delle loro affermazioni. Basta guardare la reazione che ha avuto Neil Newhouse, il sondaggista di fiducia di Romney, quando l’intervento del candidato vice presidente Paul Ryan alla Convention repubblicana è stato indicato come un manuale della bugia politica, la più evidente delle quali era l’accusa a Obama di aver chiuso un fabbrica in Wisconsin dopo aver promesso che mai sarebbe accaduto (in realtà i fatti avvennero con Bush junior presidente). «Non saranno i controllori della verità a decidere l’agenda della nostra campagna», ha tagliato corto Newhouse.
I cacciatori di verità sono i nuovi protagonisti delle campagne elettorali americane. E non c’è solo PolitiFact. Intorno al 2005 hanno cominciato a fare la loro apparizione sulla scena politica una serie di siti web o rubriche giornalistiche tutte dedicate al controllo della verità delle affermazioni dei politici. Il primo è stato FactCheck.org, un sito legato all’Anneberg Public Policy Center, seguito da PolitiFact, che giudica le affermazioni dei candidati con la scala del "parzialmente falso", "completamente falso" e "pants on fire", espressione usata quando una bugia è così grossolana da mandare a fuoco i pantaloni di chi la pronuncia. A queste due organizzazioni si sono affiancate The Fact Checker, rubrica del "Washington Post" che indica l’intensità delle bugie con uno, due o tre immagini di Pinocchio, l’Associated Press Fact Check, la Cnn Fact Check, oltre a decine di piccoli blog che operano a livello periferico occupandosi solo di una contea o di una città.
Naturalmente l’attenzione maggiore è verso i candidati alla Casa Bianca. Con Romney preso con le mani nel sacco quando ha sostenuto che il debito pubblico Usa di 16 trilioni di dollari era da addebitare interamente alla politica di Obama, quando invece il 20 gennaio 2009, giorno in cui George W. Bush lasciò la Casa Bianca a Obama il debito era già di 10,6 trilioni di dollari. Un comitato di sostegno del repubblicano dal nome Government is Not God (il governo non è Dio) è stato inchiodato a due clamorose menzogne. La prima legata a uno spot nel quale si diceva che «Obama costringerà i tribunali americani ad accettare la legge islamica e la sharia nelle dispute familiari». La seconda contenuta in un annuncio secondo il quale Obama «costringerà le autorità locali ad accettare che i militanti di Occupy Wall Street possano occupare i parchi pubblici».
Sul fronte di Barack Obama, l’unica affermazione da pants on fire è stata quella che attribuisce a Romney «il sostegno a una legge che vieta l’aborto anche nel caso di incesto e di stupro», un fatto totalmente privo di qualsiasi prova, anzi smentito dalle dichiarazioni di Romney sulla possibilità di abortire proprio nei due casi citati. Per il resto le bugie di Obama e del suo SuperPac sono più lievi anche se pericolose: per esempio, quella che sostiene come Romney non abbia lasciato la conduzione giornaliera della Bain Capital nel 1999, ma molto dopo. Un fatto a prima vista di poca importanza, ma che secondo le leggi societarie americane potrebbe far scattare reati federali.
La domanda alla quale non c’è ancora una risposta sicura è quella che riguarda il comportamento degli elettori di fronte alle bugie. L’unico segno chiaro sul fatto che la disinformazione può far perdere voti viene dai sondaggi politici effettuati su coloro che hanno più di 55 anni. Gli attacchi di Romney e del suo vice Ryan al sistema del Medicare, l’assistenza sanitaria per gli anziani, presentata come vicina alla bancarotta per la politica di Obama, hanno sortito l’effetto di spostare la preferenza per l’attuale presidente. Soprattutto negli Stati in perenne bilico tra democratici e repubblicani dove la vittoria significa la Casa Bianca più vicina.