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 2012  ottobre 05 Venerdì calendario

QI BAISHI SUPERSTAR BYE BYE PICASSO FONTE: ARTPRICE

Wang Wei è la moglie di uno tra i primi 400 milionari cinesi con la passione per l’arte contemporanea. Nell’ultimo biennio ha accumulato un numero impressionante di capolavori e dettato la linea a gallerie e case d’asta. A maggio ha rivenduto, decuplicando l’investimento iniziale, il quadro dell’artista cinese Qi Baishi, "Aquila posata su un pino" per oltre 42 milioni di euro, rendendo Baishi l’artista più redditizio del 2011, sopra Pablo Picasso e Andy Warhol. Con il marito, a novembre inaugurerà il suo "Long Dragon Art Museum" a Shangai, uno spazio espositivo di oltre 10 mila metri quadri costato 24 milioni di euro e che mira a essere il Beaubourg di Pechino. Con l’idea pedagogica che «le donne della borghesia cinese devono imparare a capire l’arte classica e contemporanea». Uli Sigg, invece, è uno dei più importanti collezionisti di arte cinese del mondo: è un cittadino acquisito e da ambasciatore per oltre vent’anni ha accumulato opere a Pechino e in giro per il Paese. Regalerà la sua intera collezione, con un rimborso spese per una parte delle opere, al costituendo Museo d’arte di Hong Kong "M +": migliaia di opere di oltre 350 artisti per un valore di 125 milioni di euro; una delle più grandi donazioni private fatte a un singolo museo nella storia. Uli Sigg ha motivato la sua scelta con la volontà di contribuire all’affermazione di Hong Kong e della Cina come attori globali non solo nell’economia ma anche nell’arte.
Quelle di Wei e Sigg sono solo due tra le centinaia di istantanee che potrebbero rappresentare il mercato dell’arte cinese, passato in breve da una fase amatoriale e periferica all’affermazione di un modello che unisce sensibilità culturale, orgoglio e filantropia a un mix di speculazione, propaganda e assenza di regole.Un mondo che si è emancipato dal mercato occidentale, cui oggi detta il passo.
Nel 2011 la Cina è diventata leader del mercato mondiale dell’arte. Con una quota che è passata dal 23 per cento del 2010 al 30 (sono circolati 13,83 miliardi di euro), ha relegato gli Usa (29 per cento), al secondo posto. Le esportazioni cinesi nel campo delle produzioni artistiche hanno mosso più di 269 milioni di euro, avvicinandosi al raddoppio, mentre le importazioni hanno superato i 31 milioni.
Secondo Artprice, i primi due artisti del mondo per fatturato, nel 2011, sono Zhang Daqian (1899-1983) e Qi Baishi (1864-1957), che hanno generato vendite rispettivamente per 423 e 392 milioni di euro. Per capire le dimensioni di quello che sta accadendo, si vendono opere di Warhol per 250 milioni l’anno e di Picasso per 242. E a parte loro due, Gerhard Richter e Francis Bacon, la top ten è popolata esclusivamente da artisti cinesi. La stessa cosa succede con i contemporanei, con Zhang Xiaogang e Zeng Fanzhi che sono tra i dieci artisti viventi più costosi.
Nella "top 20" delle case d’asta mondiali stilata a maggio dal Conseil des Ventes francese, la terza e la quarta dopo Christie’s e Sotheby’s sono cinesi e nell’elenco ne figurano altre otto: la metà delle principali case d’asta d’arte del mondo è di Pechino o di Hong Kong.
Clare McAndrew, fondatrice di Arts Economics, società indipendente di analisi e ricerca, in occasione del Tefaf, la fiera di arte che si tiene ogni anno a Maastricht, ha definito questo fatto «uno dei cambiamenti più importanti degli ultimi cinquant’anni nel panorama non solo dell’arte, ma dell’economia mondiale».
Non sono solo gli artisti cinesi a dominare il mercato, ma anche i compratori: il 40 per cento degli acquirenti alle aste di Sotheby’s Asia, per citare un dato, è locale, contro il 4 per cento di qualche anno fa. C’è una nuova generazione di ricchi cinesi che ai tradizionali portafogli ama aggiungere investimenti in vini pregiati, orologi, francobolli, gioielli. È una generazione di compratori aggressiva e motivata, che miscela interesse culturale, convenienza finanziaria e status symbol.
Rispetto a Europa e Usa, dove chi acquista opere d’arte si affida anche alla valutazione delle gallerie, in Asia il ruolo centrale lo svolgono le case d’aste, che fino a qualche tempo fa sono state le uniche a dare garanzie con standard internazionali e che in questi anni hanno potuto agire in un contesto privo di grande concorrenza. Nel 2011 il fatturato di Christie’s in Asia è cresciuto del 25 per cento (700 milioni di euro di venduto), mentre Sotheby’s è cresciuta del 47 per cento (960 milioni). Significativi sono anche i risultati delle case cinesi: Poly International (1,3 miliardi nel 2011; più 49 per cento) e China Guardian (1,4 miliardi).
Lo strapotere di aste e fondi genera perplessità tra i galleristi.«Le case d’asta vedono l’arte cinese come un mero investimento. Bisogna sviluppare gallerie e musei, non limitarsi a spendere in arte», ha dichiarato Pearl Lam, figlia del miliardario Lin Baixin e sofisticata gallerista, che ha inaugurato qualche settimana fa nel Pedder Building a Hong Kong il suo nuovo spazio espositivo e a breve aprirà un Centro per il design a Shangai e nel 2013 un art store a Singapore. Anche per rispondere a chi, come Abigail Esman, ha definito l’arte cinese sopravvalutata. E a chi sostiene che il numero di opere assegnate alle aste e non pagate sia in Cina più elevato che in ogni altra parte del mondo.
Il boom dell’arte orientale ha visto il parallelo affermarsi dei fondi di investimento cinesi e di altri strumenti finanziari che nel 2011 hanno fatto circolare quasi 690 milioni di euro. Il principio dei fondi d’arte è semplice. Non puoi permetterti un Qi Bashi? Ne compri una quota e lasci agli esperti la selezione, valutazione e trattativa sull’opera, e anche la scelta su quando rimetterla in vendita. In questo settore i cinesi hanno il primato mondiale: secondo la società di consulenza Artvest dei 20 fondi di rilievo esistenti al mondo almeno dieci sono asiatici. La ragione per cui i cinesi, e gli investitori globali, li acquistano, più che la passione per l’arte, è finanziaria e sta nel fatto che in Cina questi fondi sono meno regolamentati di quelli tradizionali, promettono alti rendimenti in un periodo in cui la crescita dell’economia sta rallentando e sono in parte svincolati dall’andamento generale del mercato. Ma i motivi che rendono appetibili questi fondi sono gli stessi che destano preoccupazione, specie perché l’assenza di un quadro normativo certo e gli intenti speculativi spesso si associano a un management con un’esperienza troppo breve: accanto a gruppi importanti come la Minsheng Banking Corporation, la China Merchants Bank o la Beijing Poly Art Investment Management, ci sono fondi nati di recente con caratteristiche che li rendono unici nel panorama mondiale, perché per alcuni aspetti operano come banche e per altri come case d’asta o fondi di private equity. Su "The Art Newspaper", Bobby Mohseni, direttore della finanziaria di Hong Kong Mfa Asia, ha spiegato come sia «necessario definire un quadro di regole entro le quali operare», perché altrimenti potrebbero essere proprio i fondi in cerca di liquidità, a partire dal 2013, a causare la crisi del mercato cinese, vanificando gli sforzi di chi si batte perché la sua leadership non venga archiviata come un evento stagionale.