Roberto Giardina, Italia Oggi 3/10/2012, 3 ottobre 2012
GERMANIA, LE PRIMARIE NON SERVONO
Dopo mesi di dubbi, infine i socialdemocratici dell’Spd hanno scelto chi sfiderà Angela Merkel alle prossime elezioni, nel settembre 2013. Peer Steinbrueck, l’ex ministro delle finanze ai tempi della Grosse Koalition, ha prevalso sul segretario del partito Sigmar Gabriel e sul capogruppo al Bundestag, Frank Steinmeier, ex ministro degli esteri, sempre dal 2005 al 2009.
La lotta all’interno del partito è stata lunga e aspra, ma non si è ricorso alle primarie. Il prescelto ha il consenso della base del partito, gli vengono accreditate le maggiori chance contro la signora, grazie all’esperienza di governo e alla capacità di comunicare con gli elettori. E la troika socialdemocratica non si è logorata con insulti reciproci come avviene da noi.
Le primarie in Germania non si tengono, perché non servono. La Costituzione tedesca non si è dimenticata dell’ordinamento dei partiti (art. 21), come hanno fatto i nostri padri costituenti. Per la verità, finsero di dimenticarsene per evitare di dover giudicare il Movimento sociale o il Pci, appena finita la guerra. A che serve un ordinamento democratico se poi si possono gestire i partiti senza rispettare le regole? Scimmiottare le primarie all’americana non serve, se non si stabilisce chi possa votare, e chi possa candidarsi, ma non tocca a me dirlo.
In Germania è anche grazie al Bund, la federazione, che è più difficile per i leader controllare a piacimento i loro partiti. La direzione nazionale deve tener conto delle realtà locali, e i Länder più piccoli, come lo Schleswig-Holstein o la Saar, non possono essere schiacciati dalle regioni più ricche, una Baviera o una Nord-Renania Westfalia. I loro rappresentanti al Bundesrat, la camera delle regioni, che ha diritto di veto su ogni legge di interesse locale, quindi su quasi tutte, potrebbero avere un peso determinante sul voto. Per un leader, la scalata al vertice comincia sempre a livello regionale, non grazie ai giochi dietro le quinte nella capitale, che esistono ma non sono determinanti. Si deve aver dato buona prova nel proprio Land prima di poter ambire alla Cancelleria o a un ministero federale. Prima si vince in serie B, poi si gioca nella Bundesliga, la serie A. Per la verità, anche qui gruppi di potere riescono a volte a bloccare i giovani emergenti, ma non per sempre. Helmut Kohl, il cancelliere della riunificazione, riuscì a restare al potere per 16 anni, solo perché barava al gioco, grazie ai fondi neri che gli giungevano da ricchi sponsor. Li gestiva personalmente riuscendo a bloccare i rivali. Non era così indiscusso nella sua Cdu, e forse non sarebbe stato ricandidato, ma eliminò uno dopo l’altro chi lo sfidava. Non si mise in tasca un euro, eppure in Germania non l’hanno perdonato. Dopo di lui, per battere Gerhard Schroeder fu scelto dapprima Edmund Stoiber, perché era il primo ministro della regione più ricca, la Baviera. Si sperava che avrebbe guidato bene anche l’intero paese. Infine, toccò alla Merkel, che si impose lentamente sugli avversari uomini.
Sull’altro fronte, quello socialista, è più difficile emergere, perché nell’Spd hanno un forte peso i sindacalisti, legati o divisi tra loro secondo altre logiche. Helmut Schmidt, tuttavia, si impose a livello nazionale grazie al prestigio conquistato come senatore nella città stato di Amburgo, gestendo le operazioni di soccorso durante la tragica inondazione del 1962. Nessuno si chiede, o ci informa, come Matteo Renzi ha gestito l’emergenza durante l’ultima nevicata a Firenze. Sinceramente, non lo so.
Per battere Kohl, i socialdemocratici scelsero sempre i candidati sbagliati, ma sempre tra i premier locali. Prima Johannes Rau, primo ministro della Nord Renania Westfalia, di alto livello morale (divenne presidente della repubblica), ma senza presa sugli elettori, poi lo scialbo Rudolf Scharping, perché era riuscito a imporsi in un Land come la Renania Palatinato, feudo da sempre della Cdu. Ai vecchi del partito non piaceva Schroeder, brillante ma considerato troppo amico dei manager. Alla fine riuscì a imporsi grazie all’alleanza con Oskar Lafontaine e lo stesso Scharping. Prima o poi, chi vale riesce a emergere. Non sempre, come nei verdi o nella Linke, ma i piccoli partiti vivono grazie al carisma dei loro leader, come Joschka Fischer o Lafontaine. E si deve aspettare più a lungo, finché invecchiano e decidono di ritirarsi prima che li caccino.