Goffredo Pistelli, Italia Oggi 3/10/2012, 3 ottobre 2012
RENZI LASCIA LO SPADONE A REGGI
Il fioretto e la sciabola. Matteo Renzi, sindaco piddino di Firenze in corsa per le primarie contro il suo segretario Pier Luigi Bersani, ha deciso da tempo di impugnare l’arma leggerissima lasciando lo spadone a Roberto Reggi, l’uomo che coordina la sua campagna. Quest’ultimo, per due mandati sindaco di Piacenza, in compenso mena fendenti senza complimenti.
L’ultimo, l’altro ieri, contro Andrea Manciulli, segretario regionale del Pd, bersaniano doc, che ha riunito i segretari provinciali per organizzare la campagna di Bersani, al via ufficialmente sabato prossimo, dopo l’assemblea nazionale del partito che, a Roma, fisserà le primarie.
L’iniziativa di Manciulli, che è la copia carbone di quella del suo omologo emiliano Stefano Bonaccini, poche settimane fa e che, anche in quell’occasione suscitò la protesta vibrata di Reggi. che parlò di stalinismo senza farsi soverchi problemi. «Noi ci paghiamo ogni spazio in cui andiamo a riunirci», ha detto Reggi alla cronaca fiorentina di Repubblica, «e qui si fanno riunioni di corrente nelle sedi del partito». Ricordando, come aveva già fatto per l’Emilia, che i segretari sono segretari di tutto il partito e di tutti gli iscritti, non di una sola parte.
Un attacco che ha suscitato la reazione stizzita di Manciulli: «I segretari non sono dei passacarte», ha protestato, «hanno le loro idee», ribadendo che i dirigenti continueranno a governare il partito loro affidato territorialmente in modo leale. Solo che pronunciava questa affermazione alla fine di una riunione in cui si era pianificata la nascita di almeno un comitato pro Bersani in ogni provincia coinvolta. Un incontro, guarda caso, a cui non era stato invitato non solo il segretario lucchese Patrizio Andreuccetti, renziano manifesto, ma anche l’empolese Brenda Bernini, considerata forse renziana in pectore perché a oggi non ha scelto di stare col sindaco. Forse la si sospetta di renzismo per la giovane età e per qualche uscita smodata su Enrico Rossi, governatore democrat, che una volta, accostandolo a un personaggio di giochi di ruolo, aveva chiamato «coniglio mannaro».
Il candidato Renzi, come detto, impugna il fioretto e lo usa raramente, proprio se lo obbligano, limitandosi a sfiorare l’avversario come faceva Zorro, bandito gentiluomo che lottava contro gli occupanti-oppresori che tracciava la zeta iniziale del suo nome sulle pance dei soldati spagnoli in California.
Il Rottamatore ha scelto da tempo il profilo non aggressivo, evitando di polemizzare direttamente con Bersani. «Mi fido di Pierluigi» risponde sempre a chi lo mette in guardia da possibili colpi di mano regolamentari all’assemblea nazionale di sabato prossimo.
Renzi, per esempio, ha smentito categoricamente che dal Nazzareno qualcuno abbia interferito sul suo tentativo di incontrare Bill Clinton, così come ha evitato di rispondere allo stesso segretario che, sulla vicenda, non s’era risparmiato una battuta ironica.
Allo stesso modo è stato alla larga dalla storia di Filippo Penati, rinviato a giudizio per corruzione, evitando di ricordare come l’ex sindaco di Sesto San Giovanni fosse stato il capo della segreteria politica di Bersani. In una campagna di primarie americane, come lo accusa spesso di voler condurre, un fatto simile sarebbe stato usato come una clava contro lo sfidante. Gesto di fair play che fa il paio con la sua difesa appassionata di Vasco Errani, governatore emiliano e bersaniano antemarcia anzi antelenzuolata, quando era stato messo sotto accusa gratuitamente sul terremoto durante una puntata di Piazza Pulita nei giorni scorsi. Per quanto molti dei suoi avversari nel Pd e fuori, rinfaccino a Renzi di voler disfare il partito, il sindaco dimostra il contrario. Piddino leale finché il Pd è leale con lui. Se sabato, all’assemblea nazionale, l’establishmement dovesse tendergli una trappola, le cose probabilmente cambierebbero.