Michele Brambilla, Libero 4/10/2012, 4 ottobre 2012
LA PIÙ DIFFICILE INCHIESTA DI FELTRI: TROVARE DIO
La prima volta che avevo parlato di Dio con Vittorio Feltri era stata a metà degli anni Novanta, quando lui, da poco, era diventato direttore del Giornale. Il vecchio amico con cui avevo lavorato al Corriere, e giocato a calcio nel torneo dei giornalisti (diceva: «Come giornalista non varrò molto, ma sono un grande calciatore»), sedeva sulla poltrona che era stata - nientemeno - di Indro Montanelli. (...).
Quel giorno al Giornale mi disse: «Penso spesso alla morte. E non solo adesso che ho 53 anni. Ma, dopo tanti anni di riflessione, sono arrivato a una conclusione. Mi sono convinto che il Padreterno esiste. Padreterno, Dio, chiamalo come vuoi. Ma, insomma, un Creatore esiste. Però... però non riesco a capire Chi è, questo Creatore. E che progetto ha su di noi. Per quanto mi sforzi di comprenderlo, non ci riesco. E allora penso che l’unica cosa da fare è rinunciare alla pretesa di capire, e affidarsi a Lui».
Cinque anni dopo tornai a trovarlo nella sede del giornale che aveva appena fondato: Libero. Invece di godersi il successo, oppure continuare a guidare grandi e inaffondabili giornali, aveva preferito, quando gli anni erano diventati 58, mettersi in una nuova avventura. Gli mostrai subito il ritaglio di quell’intervista di cinque anni prima.
«Pensi ancora», chiesi, «che Dio c’è, ma che non si riesce a capire chi è?».
«Sì, lo penso ancora. Anzi, il mistero mi sembra ancora più fitto. Si dice che Dio ha creato il mondo - la terra il cielo e tutto l’universo - per infinito amore. Ma io osservo la natura, quella natura che anche per la grande letteratura è magnificenza, perfezione, ordine. La osservo e vedo, ad esempio, che il ragno tesse una tela nella quale gli insetti finiscono imprigionati, e muoiono tra atroci tormenti nel tentativo di liberarsi. Uno spettacolo osceno, al termine del quale il ragno pranza.
«Oppure, prendi il gatto: non c’è forse un animale più dolce. Ma è programmato per conquistare un migliaio di prede all’anno. Non hai mai visto un gatto che cattura un topo? Anche quello è uno spettacolo atroce.
«Io conosco bene i cavalli. Non sono aggressivi. Sono prede. E hanno un’arma sola: la fuga. Il cavallo è sempre allarmato, sa sempre che può finire male. Per non parlare di quello che fa l’uomo, che non uccide solo per sopravvivenza, ma anche per bramosia, per sadismo.
«Insomma: la natura, il mondo è un’enorme macelleria dove ci si sbrana a vicenda tra sofferenze indicibili. Io non giudico, perché se volessi giudicare pretenderei di mettermi sullo stesso piano di Dio, e sarebbe assurdo, sarebbe come ripetere il peccato originale. Non giudico, ma osservo la natura e dico: se tutto questo è il risultato di uno sconfinato amore, non capisco.
«Non dico che da questa osservazione faccio derivare la conclusione che Dio non esiste. No: Dio c’è, per me questo è un fatto evidente. Che tutto ciò che esiste sia frutto del caso, per me è impossibile, incredibile. Dio c’è, non ho dubbi. Ma perché permette tutto questo dolore? È questo che ti voglio dire: io credo, ma la mia fatica è credere in un Dio buono. Ho provato a cercare una risposta nelle Scritture. Forse, mi sono detto, dopo il diluvio universale la terra era un’immensa massa fangosa, non c’era più erba, e gli animali sono dovuti diventare carnivori. E hanno cominciato a sbranarsi tra di loro».
«Ma se stiamo alle Scritture», provo ad obiettare, «il diluvio fu un castigo di Dio per i peccati degli uomini. Quindi il male c’era già prima. E dunque bisogna risalire al peccato originale: all’uso sbagliato che abbiamo fatto della nostra libertà, di quella libertà che Dio ci ha dato proprio perché ci ha creati per amore».
«Sarà. Ma vedi, io faccio tutti questi ragionamenti, e mi rendo conto di essere ridicolo: l’uomo, per quanto si sforzi, non può capire il mistero di Dio. Inutile fare troppe ipotesi, porsi troppe questioni teologiche. Tentare di capire la logica di Dio è un atto di presunzione. Bisogna affidarsi, e basta.
«Eppure in questa tentazione di capire razionalmente cado molto spesso. Qualche volta penso: se potessi intervistare Dio gli chiederei, per prima cosa, che cosa aspetta a chiudere la bottega Terra, che è diventata, appunto, una macelleria. E poi gli chiederei una cosa che non ho mai capito: se il giudizio universale e la risurrezione dei corpi sono alla fine dei tempi, perché si parla di un giudizio immediato dell’anima dei defunti? Come dire: prima si giudica l’anima, che va all’inferno o in paradiso o in purgatorio, e poi ci sarà il giudizio universale. Anche qui, non capisco». (...).
Per Feltri il problema è soprattutto l’esistenza del male. Molti pongono, a chi ha fede, la stessa obiezione. Ma - provai a controbattere - l’esistenza del male può essere un’obiezione per tutte le religioni tranne che per quella che predica un Dio che, fattosi uomo, non si sottrae al dolore. Anzi, lo condivide fino a morire in croce.
Certo: anche nel cristianesimo il dolore resta un mistero: ma un mistero sul quale una persona ha gettato una luce. Chiesi a Feltri: «Tu vieni da una famiglia cattolica?».
«Certo che vengo da una famiglia cattolica», rispose. «Non dimenticare che sono di Bergamo. I miei nonni andavano a messa tutti i giorni, e anche i miei genitori erano credenti. Ho frequentato l’oratorio fino a 18 anni, e queste radici non le ho mai scordate. Non sono mai stato anticlericale. Non dimenticare che sono forse il direttore che, in questi ultimi dieci anni, ha assunto più giornalisti cattolici».
«Perché lo hai fatto?».
«Sarebbe stato idiota non farlo. Se sparisce la Chiesa, si ferma il mondo. Pensa solo all’assistenza materiale che dà ai poveri, ai malati, agli handicappati; pensa alle scuole, agli ospedali... E pensa anche all’assistenza spirituale: quanta gente trova pace nella Chiesa. Come si fa a non riconoscere una forza, una presenza preponderante della Chiesa, soprattutto nel bene?».
«La Chiesa è un segno, una prova che Cristo è presente tra noi, oggi?».
«Non lo so. So che la figura di Gesù è la più affascinante e dirompente della storia. Se leggo i Vangeli, a ogni riga trovo la dimostrazione dell’eccezionalità di quell’uomo. I cattolici dicono che era Dio. A me pare che lui dicesse di essere il Figlio di Dio, il suo inviato. Non so». (...).
«Pensi mai ai tuoi morti? Come te li immagini?».
«Penso che di loro adesso non ci sia più niente. Ma che risorgeranno alla fine dei tempi. Se devo credere alle Scritture, devo credere anche a questo.
«Sarei falso se ti dicessi che ci credo ciecamente. Ma sarei falso anche se ti dicessi che non ci credo. Mi sembra impossibile che noi siamo soltanto degli ingranaggi, delle macchine che, una volta finito il loro lavoro, vengono buttate via. Mi sembra impossibile che siamo destinati a finire nel nulla».