Marco Vallora, la Stampa 5/10/2012, 5 ottobre 2012
ADDIO AL POETA DISSIDENTE NGUYEN CHI THIEN “BASTA CON LE PROVOCAZIONI IO PUNTERÒ SULL’ARTE SOCIALE”
Bartolomeo Pietromarchi, sarà il curatore del Padiglione italiano alla prossima Biennale di Venezia 2013. Nato a Roma nel 1968, in una famiglia di diplomatici (ma il padre ha dedicato anche un bel volume alle fotografie storiche di Gegé Primoli, imparentato con Napoleone), un fratello, Luca, raffinatissimo francesista (che si è occupato di Baudelaire e Flaubert) l’altro, Benedetto, scultore, che vive a Berlino (neanche da domandarglielo, non sarà alla Biennale, e già via un nome…) Pietromarchi è oggi direttore del Macro. La consegna è che non si può parlare troppo prima dell’incontro con il Ministro Ornaghi, che lo ha appena scelto (nel condivisibile silenzio preparatorio d’un attento esame dei vari progetti, presentati da una rosa di prescelti: apprezzabile neometodo non tuttoitaliano). E soprattutto prima della conferenza stampa di mercoledì, ma lo slalom fra domande accettate e comprensibili ritrosie permette di erodere un pochino la gentile resistenza diplomatica dello sperimentatissimo Pietromarchi, tra sorrisi sornioni e concessioni eleganti. Allora, proviamo.
Più forte la gioia della nomina o il panico per il poco tempo rimasto?
«Sinceramente, non direi proprio panico, perché? Tenuto conto del tempo che abbiamo avuto per preparare realisticamente il progetto, presentato al ministro e che richiedeva ragionevolmente anche una pianificazione logistica assai concreta, con i sette mesi che ci restano direi che se è panico è un panico molto gestibile, ma non lo è. Direi che il tempo è proprio quello giusto».
Ma all’estero va come da noi?
«Dipende, la situazione è molto varia, ma vedo che anche per i Padiglioni Stranieri talvolta le nomine sono assai tardive».
E con Massimiliano Gioni, curatore della Biennale, ci sarà sinergia, o ancora una volta il Padiglione Italia sarà come un satellite sperduto, all’interno d’una costellazione più coesa?
«Conosco bene Gioni, nei prossimi Il poeta vietnamita Nguyen Chi Thien (nella foto), acclamato autore della raccolta Fiori dall’inferno , è morto in California all’età di 73 anni dove viveva dal 1995. È stato l’intellettuale più noto della dissidenza anticomunista al tempo del Vietnam del nord trascorrendo complessivamente 27 anni tra campi di rieducazione e carcere. Sue poesie in italiano sono apparse nel volume Scrittori dal carcere . Antologia Pen di testimonianze edite ed inedite a cura di Sibdhan Dowd pubblicata da Feltrinelli. giorni lo chiamerò, perché nel mio me- verso le arti visive». Ancora una volta, todo c’è proprio insito quest’istinto di un taglio sociologico, che pare andare collaborare insieme e di unire le forze. al di là della semplice divinizzazione del Sarei felice che ne nascesse qualcosa di prodotto artistico, magari alla moda originale. Con lui ho anche lavorato, ma con un continuo riferimento, però, al tanto tempo fa, nella mia preistoria». «reale». Dunque alla realtà ci crede davLe prime curatele di Pietromarchi risal- vero… gono alla fine degli Anni 90. Poi la dire- «Certo, ci mancherebbe. Il tema della zione della Fondazione Olivetti, dal realtà è ineliminabile nell’arte, e non 2003 al 2007, e una rapida comparsa al- l’ho mica scoperto io o portato avanti la Bicocca di Mila- soltanto io, vedo che no («Antarctica» se ne discute ancora con i coniugi an- molto». glo-argentini Orta, e «It’s difficult», con Alfredo Jarr). Ecco, rassegne dai nomi spesso cosmopoliti, sofisticati, anche se l’interesse è sempre rivolto all’arte italiana.
«Sì, perché credo molto nella nostra ar- «Io capisco che la filosofia debba anche te, ma non ha senso chiuderla in recinti incaponirsi su questi problemi, che fornazionali, ed è anzi invece molto utile e se per la filosofia avranno pure un senstimolante confrontarla continuamen- so, ma anche molto personalistico, sino te, verificarla, in un ambito più interna- a diventare una discussione fine a se zionale, più aperto». stessa. A me riesce molto difficile pen- Lei è abituato da sempre a viaggiare e a sare ad un fatto, che non sia anche in- vedere, con una nutrita sensibilità per terpretazione e viceversa. Non so se me l’aspetto sociale dell’arte (sarà pure la lo abbia insegnato l’arte, ma per me è sua frequentazione olivettiana). Allora, proprio così». vogliamochiamarla«società»omeglio, «Nowhere», «Transit», «Gravità zero»: «comunità»? le sue mostre hanno spesso titoli anche «Comunità va bene. Io credo davvero, a filosofici, letterari. parte la mia impostazione olivettiana, «Sì direi persino narrativi, tengo molto che certo non rinnego, che questo a questo aspetto, e penso che questo si aspetto comunitario sia davvero impor- vedesse già in altre mie proposte. Colgo l’occasione per ribadire che questo impegno non toglierà nulla, non mi distoglierà dal Macro, anzi, spero gli darà più visibilità».
Gemellaggi, rimandi?
«No, questo no, rimarranno due impegni paralleli».
È stato difficile progettare in silenzio, magari senza poter contattare gli artisti, lavorando sul virtuale?
«No, ci sono allenato, ormai in questi frangenti difficili, si progetta molto senza alcuna certezza, molte cose che non sono andare in porto potrei realizzarle domattitante, spero si sia rivelato anche nella na. No! nessuno di questi progetti manmia attività al “Premio Italia per l’arte cati confluiranno nella Biennale, è un contemporanea”, al Maxxi. Penso che progetto del tutto nuovo, basato anche sia imprescindibile mettere insieme dei sul luogo, magnifico. Non ho nemmeno mondi diversi, in dialogo reciproco, e previsto un allestimento particolare, non limitarsi soltanto al recinto ristret- con un architetto di nome. Non si sa to dell’arte contemporanea. Bisogna mai però, anche se non è nelle mie corpermettere davvero all’arte di respira- de. Dello spazio sono molto felice, mi re, di rinnovarsi, di ampliarsi ed aprirsi pare ideale e penso sia giusto che nella ad altre esperienze». globalizzazione ci sia uno spazio tutto Quello che era richiesto anche dal ban- italiano». do ministeriale. Dunque sarà più una Tra il minimalismo della Gianelli, due soBiennale di tendenza, o di artisti prota- li artisti, o il tutti-in-pista di Sgarbi cosa gonisti, o di provocazione? sceglierà?
«Provocazione no, certo una Biennale «Io mi trovo perfettamente a metà. Sì, che cerca di verificare alcune linee, di penso che la selettività sia necessaria, cui mi sono già occupato in altre espe- però se si guarda all’esperimento di rienze espositive. Diciamo, un appro- Sgarbi, da un punto di vista antropolofondimento di alcune ricerche, che ho gico, pensando anche al suo museo della già sperimentato» mafia o della follia, si capisce che l’arte Anche con un volume Bollati Boringhie- non può bastare a se stessa. Ovvio che ri, che significativamente si intitolava: se invece si guarda solo al risultato este- «Italia in opera. La nostra identità attra- tico, allora il discorso cambia…»