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 2012  ottobre 04 Giovedì calendario

Zuckerberg e gli altri potenti paladini del «look monotono» - Mark Zuckerberg dice che co­sì è più semplice: tutte le mattine, quando si alza, sa già che cosa in­dosserà

Zuckerberg e gli altri potenti paladini del «look monotono» - Mark Zuckerberg dice che co­sì è più semplice: tutte le mattine, quando si alza, sa già che cosa in­dosserà. Gli basta aprire il suo cas­setto - l’unico - e trovare, impila­te, le stesse, identiche t-shirt con cui è fotografato da anni, in qua­lunque occasione: cambia solo, ogni tanto, la sfumatura più o me­no scura di grigio (che E.L. James si sia ispirata a lui per il suo be­stseller quasi porno, visto poi che anche il suo Mr. Grey è un giova­ne miliardario?). Una monotonia calcolata a ta­volino, perché è «troppo impe­gnato » e in que­sto modo fa più in fretta. Il fon­datore di Face­book veste sì «the same old grey t-shirt», cioè «la solita vecchia ma­glietta grigia» come l’ha defi­nita il Wall Stre­et Journal , ma non per man­canza di fanta­sia, soltanto per comodità. E perché la sua Priscilla occu­pa tutto il resto dell’armadio, come lo stesso Zuckerberg ha confessato in tv a Matt Lauer di Today . Il qua­le ( come ha an­ticipato il Dai­ly Mail ) gli ha chiesto: «E quante ne ha, dodici di queste magliette?». Ma no, ha detto Zuckerberg: «Alme­no una ventina ». Per lui, la massi­ma svolta in fatto di abbigliamen­to è la felpa con cappuccio, quella che ostentò anche a Wall Street (se non era un messaggio quello, che cosa se no). Del resto Zuckerberg appartie­ne alla categoria di «quelli che possono», e nello specifico che possono fregarsene dei codici di abbigliamento, vestirsi in modo ossessivamente sempre uguale, e pure inspiegabilmente di basso profilo, visto il patrimonio. Quin­di sembra difficile credere che sia solo per comodità, e non per dire in faccia al mondo: «Io posso, e voi dovete prendermi così». E so­prattutto: «È così, proprio vestito così, con le magliette sempre uguali, che ho successo». Giorgio Armani, il «re» della moda, indossa magliette e panta­loni blu come una divisa, e nessu­no potrà mai sospettare che non abbia il genio per cambiare abito. Ma la sua ormai è quasi una uni­forme, un prolungamento este­riore dell’identità, come spiega­va anche Steve Jobs, l’uomo del dolcevita nero (insieme ai Levi’s e alle scarpe da ginnastica): ne pos­sedeva un centinaio, tutti fatti ap­posta per lui dal designer giappo­nese Issey Miyake, a cui Jobs avrebbe voluto commissionare una divisa aziendale, se alla Ap­ple tutti non si fossero opposti cla­morosamente all’idea. E così Jobs ripiegò sulla divisa persona­le. La serialità colpisce, perché non è da tutti. Non è da tutti rifor­nirsi da mezzo secolo sempre dal­lo stesso produttore di borse, co­me la Regina Elisabetta, fedele ai londinesi di Launer. Non è da tut­ti presentarsi alla televisione rus­sa con la solita maglietta grigia co­me Zuckerberg (che però l’altro giorno all’incontro col primo mi­nistro Medvedev si è messo com­pleto scuro e cravatta). Solo chi è molto, molto forte può permetter­si l’irriverenza di non cambiare abito. Di sopportare le critiche, le accuse di sciatteria. Di spiccare, senza potere essere buttato fuori, anche in una serata di gala, quan­do tutti intorno sono in smoking: come Sergio Marchionne, che ovunque arriva col suo maglioncino nero (tranne che da Papa Ratzinger). Perfino - come ha raccontato Mauri­zio Molinari sulla Stampa­quando ha ricevuto il premio Ei­senhower alla Pu­blic Library di New York, e ha spiegato che lui è un «lavora­tore del metallo er­rante », insomma viaggia in continua­zione, spesso di not­te per non perdere tempo, e quindi ha dovuto abbando­na­re il suo vec­chio stile per uno «mona­stic­o mono­cromati­co, nero su nero». Ma per lui è un mar­chio, «un esempio di nuovo mo­do di vestire internazionale», che non c’è ragione di modificare, neppure di fronte alle condizioni climatiche: pare che a una festa nel giugno scorso l’ad Fiat abbia tenuto il maglioncino tutta la se­ra, nonostante il caldo. Del resto l’identità si guadagna a un prezzo così caro, che non si può svende­re per qualche grado in più, o in meno.