Antonio Debenedetti, Corriere della Sera 04/10/2012, 4 ottobre 2012
I VICERE’ NELL’ETA’ DELLO SCONTENTO
Il libro, in sintesi? La crisi del positivismo e più estensivamente di un’età della cultura letteraria raccontata in articoli di giornale, densi come saggi, per la prima volta raccolti in volume a oltre centovent’anni dal loro apparire. Come leggere queste pagine d’un intellettuale che palpita, dubita e ricerca se stesso? Con un trucco che ne facilita la comprensione. Immaginate di entrare in un salotto borghese d’altri tempi. Ad attendervi c’è, fra mobili dorati e specchiere preziose, un padrone di casa ansioso di parlarvi di quanto si è scritto e si scrive.
Tutto bene, dunque? Mica tanto. Basta poco, infatti, per essere raggiunti dall’impressione lievemente ansiogena che quel padron di casa sarò presto costretto a partire. A lasciare quei luoghi signorili e accoglienti. La poltrona, sulla quale vi siete accomodati in attesa d’un rosolio, comincia a non sembrarvi più così riposante. Qualcosa vi dice che presto verrà sollevata da robuste braccia, caricata e portata chissà dove. Quelle che abbiamo sotto gli occhi sono, dunque, note in margine a un trasloco, a un trasferimento in altra epoca del gusto e della storia? La risposta è sì.
Non c’è dubbio che Federico De Roberto vive il suo come un tempo di transizione. Scrive romanzi epocali, a cominciare da I vicerè, in un’irripetibile condizione di emergenza culturale e psicologica. L’Ottocento, ormai sempre più vicino ai suoi limiti temporali, si prepara a traghettare nel Novecento e De Roberto dovrà seguirlo. Anche per lui, come per tutti gli uomini di esasperata sensibilità, i distacchi sono però problematici. Comportano abitudini da interrompere, debiti da saldare, affetti cui dare dolorosamente un taglio. C’è, poi, da trovarsi una nuova casa culturale e nuovi amici. Di tutto questo troviamo appunto appassionata e coinvolgente testimonianza in questi scritti minori, nati inseguendo le suggestioni dell’attualità, che Annamaria Loria ha fatto benissimo a salvare dall’oblio anteponendovi un suo ampio studio dominato da una coinvolgente passione interpretativa. Firma la breve prefazione, da leggere per saperne di più, Antonio Di Grado.
Che cosa aspettarsi da un libro cosi? Fra l’altro l’autoritratto involontario d’un grande scrittore, mai abbastanza considerato dalla critica, che si racconta affrontando autori che sono nel cuore di tutti (per esempio Stendhal, Flaubert, Bourget, Maupassant, Baudelaire) e altri che oggi si definirebbero di nicchia (Amiel, Leconte de Lisle, eccetera). Genio anfibio, consapevolmente antico e moderno insieme, De Roberto (da notare) si fa più caldo e partigiano accennando a Zola. Un romanziere che, come lui, ha fatto i conti col proprio tempo fino a esserne ferito.
Antonio Debenedetti