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 2012  ottobre 04 Giovedì calendario

UN ALLARME INASCOLTATO

Il segretario socialista Riccardo Nencini oggi rivendica: «Noi l’avevamo detto». Ricordando che il sindaco di Aprilia Domenico D’Alessio, del suo partito, denunciò «il malaffare intorno a Tributi Italia» ma «nessuno si preoccupò di ascoltarlo». Avessero dato retta qualche anno fa a lui e al suo collega di Nettuno, Alessio Chiavetta, non saremmo arrivati a questo punto: con centinaia di milioni delle tasse pagate dai cittadini inghiottiti da un gorgo di auto di lusso, yacht, aerei privati, vacanze da sogno, feste. Come racconta oggi il Corriere, giornale che per primo nel 2009 accese un faro su questo scandalo, c’è chi sospetta un buco di 500 milioni, se è vero che soltanto ad Aprilia ne mancherebbero all’appello ben 90.
Sembra un altro capitolo di quella storia orribile che tiene banco da settimane, e ha come protagonisti Franco Fiorito, «Er Batman» di Anagni, e altri suoi colleghi consiglieri regionali del Lazio così premurosi nell’uso privato di denari pubblici.
Due vicende così simili da chiamare pesantemente in causa, anche se per aspetti diversi, le responsabilità della politica locale. Se i partiti hanno chiuso volentieri gli occhi di fronte alla degenerazione della loro classe dirigente periferica, con le conseguenze cui stiamo assistendo nel Lazio e in altre Regioni, per dieci lunghi anni gli amministratori dei 400 Comuni che si servivano di Tributi Italia, rigorosamente bipartisan, non hanno visto evidentemente quello che stava succedendo in casa propria. Almeno se è vero che tutto è cominciato nel 1999 mentre le prime clamorose proteste sono del 2009.
E non è cosa da niente. Perché a questo punto bisogna seriamente interrogarsi sulle possibili conseguenze di una norma, della quale si è parlato troppo poco, che restituisce ai sindaci il potere di riscuotere le imposte. Una legge approvata nel 2011 quando ancora Silvio Berlusconi era a Palazzo Chigi e in tutto il Paese montavano le proteste anche violente contro Equitalia, cavalcate politicamente soprattutto dalla Lega Nord. Le motivazioni potevano apparire anche nobili, come l’idea di avvicinare chi riscuote le tasse alle realtà dei territori. Ma certo la legge è nata dalla pancia, anziché dal cervello.
Dal primo gennaio Equitalia esce di scena: i Comuni che non sono serviti dai vecchi concessionari con contratti spesso datati e rinnovati automaticamente ma si servono della società pubblica, dovranno provvedere direttamente alla riscossione coattiva delle imposte a ruolo. Sono circa la metà del totale. Chi non sarà in grado di farlo si dovrà affidare nuovamente ai gabellieri privati. Per restare nel Lazio, a Sora l’aggio previsto per chi si aggiudicherà il servizio è del 15%. A Sperlonga, del 18%. Il doppio rispetto al 9% di Equitalia. Niente però in confronto al 30 per cento che intascava Tributi Italia. Ma non disperiamo: qualcuno capace di esigerlo arriverà di sicuro.
Di fatto si torna dunque integralmente al vecchio meccanismo abolito perché considerato costoso, inefficiente e rischioso. Chi garantisce che amministratori incapaci di guardare in casa propria stavolta terranno gli occhi aperti? Chi impedisce a sindaci sprovveduti di mettersi in mano a concessionari spregiudicati? Chi assicura i cittadini che nessuno scapperà più con la cassa mentre l’assessore si volta dall’altra parte? In un mondo perfetto questo sistema potrebbe anche funzionare. Nell’Italia di certa classe politica locale, invece, rischia di essere solo una pericolosa sciocchezza.
Sergio Rizzo