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 2012  ottobre 04 Giovedì calendario

GIÙ LE VENDITE, LA CRISI TRA GLI SCAFFALI IKEA

I loro nomi, talvolta impronunciabili, sono diventati spesso familiari. Ma per la prima volta in una presenza ormai ultraventennale, le varie Billy, Poäng, Malm, Hemnes - per citare una minima parte dei suoi bestseller - segnano il passo. Ikea Italia ha chiuso l’anno commerciale 2011-2012 col segno meno: le vendite si sono fermate a 1,598 miliardi di euro, in calo del 2,6% rispetto al 2010-2011. La crisi arriva anche tra gli scaffali del campione svedese che dal 1989 ha convinto gli italiani a familiarizzare con viti e brugole pur di arredare casa a prezzi più bassi.

I 46 milioni di visitatori dei venti negozi Ikea - l’ultimo è stato aperto a fine agosto a San Giovanni Teatino, Abruzzo - si sono spesso limitati a guardare, talvolta a mangiare: mica per niente Ikea Food è cresciuta dell’1,9%, con 15 milioni e rotti di clienti e 6,7 milioni di pasti «low cost», a colpi di polpette e salmoni.

Nel vasto catalogo si salvano le cucine (le cui vendite crescono dell’1%), gli arredi per il bagno (+8%), i mobili per esterno (+13%). Anche le imprese - in costante «spending review» - puntano a risparmiare su arredi e scrivanie, il comparto ufficio sale così del 4%. La crisi però non fa rivedere il posizionamento di Ikea in Italia, dove sono impiegate 6.243 persone, l’89% a tempo indeterminato, il 67% part time. Non solo il nostro Paese è al quarto posto nelle vendite, ma è pure al terzo posto tra i mercati fornitori del gruppo svedese, che è il più grande acquirente mondiale di mobili «made in Italy». Dai fornitori italiani proviene l’8,24% degli approvvigionamenti. L’indotto occupa 1.800 lavoratori.

Anzi, nonostante la crisi, Ikea rilancia sul nostro Paese, con un piano da 400 milioni nei prossimi tre anni per quattro nuove aperture. Si parte con Pisa l’anno venturo, poi Roma Pescaccio, Verona e Cerro Maggiore nel Varesotto. «Investiamo in Italia - spiega l’amministratore delegato per l’Italia Lars Petersson - perché qui c’è una forte tradizione industriale e una grande qualità nella lavorazione». E questo in un momento in cui «abbiamo spostato i fornitori dall’Oriente all’Italia anche per abbattere i costi della logistica». Gli svedesi ritengono ancora elevato il potenziale dell’Italia: «Con una quota di mercato del 7-8% siamo solo all’inizio». Ma che fatica.

Il manager lamenta infatti l’estenuante burocrazia italica. «Da sette anni - spiega - abbiamo un bellissimo progetto, ma non sappiamo quando potremo aprire il terzo negozio a Roma». Quello di Pescaccio, sull’Aurelia. «Non è possibile lavorare con tempi così lunghi, sono il doppio di quelli medi in Europa». Cosa ancora più grave «è l’incertezza: non sappiamo quando potremo aprire, se fra tre anni, fra cinque o mai». A consolare Petersson c’è il caso di Pisa, dove «la Regione s’è fatta sportello unico» e «in quindici mesi dalla licenza a costruire verrà posata la prima pietra».

In attesa di veder crescere i punti vendita, ecco due mosse per recuperare. La prima: «Continueremo ad abbassare i prezzi», è la promessa. La seconda passa da Internet: il primo ottobre è partito in Val d’Aosta, Piemonte e Liguria il nuovo servizio di ecommerce che per fine novembre raggiungerà molte regioni. Entro il 2015 si punta a sviluppare online il 5% delle vendite totali. E rilanciare dunque i prodotti del catalogo che, nella versione per l’Arabia Saudita, ha suscitato polemiche per la cancellazione delle donne dalle foto. Ma quello, secondo Petersson, rappresenta solo «un incidente di percorso».