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 2012  ottobre 03 Mercoledì calendario

LA CAPRIA, UNA VITA SI GIOCA IN DUE

Oggi Raffaele La Capria compie novant’anni, e li festeggia con un nuovo libro, Doppio misto, uscito ieri in libreria per le Libellule Mondadori (pp. 144, € 10), in cui inanella cinque racconti editi e inediti, che appaiono, semplicemente, dotati di rara grazia. Sono pagine particolari, anche per uno scrittore che ha mostrato di saper «battere il crawl» della prosa a proprio piacimento, nel corso di una lunghissima carriera, conducendo il lettore ora alla superficie ora in profondità: ma questi racconti contengono confessioni, e visioni, e ricordi, che sincronizzano una fermezza commossa dello sguardo — sulla morte, sugli errori propri e altrui, sull’amore — alla levigata perfezione della frase. Tanto che, pur essendo composto da racconti, il libro si legge come un romanzo.
A leggerlo come un romanzo, dunque, lo si direbbe appunto una partita, un doppio misto, ovvero un dialogo — di quelli che talvolta la letteratura consente — tra i vivi, con i quali ancora tutto è in gioco, la moglie Ilaria e la figlia, ma anche i lettori, e invece i morti, gli amici scomparsi, le epoche vissute fino in fondo e ora passate. Una partita in cui è in gioco soprattutto la verità sull’esistenza. Ma una partita, va detto, di grande vividezza e di intensità — o si potrebbe pensare a un libro di ricordi tristi, malinconici, cosa che invece non è. Anzi, tutto è riattraversato con energia, con vigore: il primo viaggio americano, nel racconto «America ’57», l’amore insufficiente ma elegante di una coppia di amici in «Kiki e Giovanni», i peccati del racconto «La Fräulein, la puttana e la signora», l’equilibrio della maturità di «La vita sommersa e quella salvata», e il figurato epilogo di «La Bella e la Bestia». La Capria comincia a raccontarsi, fin dalla prima pagina, senza tentare di riportare dal passato a oggi ciò che è passato: ma anzi accentuando la distanza, conducendo il lettore indietro a vivere il presente di allora, l’America dei grandi spazi ancora stupefacenti dei tardi anni Cinquanta. Ed è con uno studentello di trent’anni o poco più, divertito e intimorito, e insieme all’amico Giovanni complice e acerbo quanto lui, che passiamo dal college prestigioso alla New York torrida del boom, così come è quasi per gioco, durante la gita frizzante e spensierata tra centri commerciali e «restaurant», che entriamo in una funeral house dispersa nelle pianure degli Stati Uniti, e ci lasciamo condurre, spiazzati ed esitanti come il giovane autore, tra le bare «aerodinamiche» della ditta. Il senso della fine, della perdita, giunge sorridendo, ma non è per questo meno abissale: e proprio l’averlo incontrato in piena vita, mentre i due giovani fremono passando dall’uno all’altro amore nel loro primo grande viaggio insieme, lo rende ancor più doloroso, e come sordo, inamovibile, fatale. Apprenderemo poi che l’amico Giovanni, in tarda età, è morto, ma in «Kiki e Giovanni» i due amici ormai di mezza età sono ancora nel pieno della loro avventura; La Capria traccia in questo racconto una storia d’amore — o meglio di non amore — appena pennellata eppure efficacissima nel dire, attraverso le movenze di una dama dell’alta società e di un aitante intellettuale, appunto la Kiki e il Giovanni del titolo, tutte le caratteristiche di un ambiente, l’eleganza di un’epoca. Ma mentre l’amico trova una qualche pace, o «disordine prestabilito», con Kiki, ora tocca a La Capria, anzi «Dudù», come si chiama spesso nel libro (altro segno questo, di una grande intimità di scrittura, poiché si tratta del suo vero diminutivo) raccontarci dell’amore. Del suo. O meglio dei suoi amori, poiché in «La Fräulein, la puttana e la signora», gli amori e le passioni narrate sono parecchie: e in più qui l’autore narra, ed è la prima volta, delle sue piccole «fisime», come chiama la passione per i piedi femminili, la «perversione» che lo scrittore insegue nella pagina a ritroso fin nella propria infanzia, tra tate tedesche e donne di vita, ancora una volta sorridendo e, con delicatezza, arrossendo.
Per arrivare al racconto forse più bello della raccolta, «La vita sommersa e quella salvata», in cui le vicende si fanno più vicine, intime: il matrimonio con Ilaria Occhini, le vicissitudini della coppia, la casa caprese, l’amore ritrovato. «E poco importa — scrive La Capria — se non proprio tutto quello che scrivo corrisponde alla realtà, se la felicità non fu proprio così completa e c’era qualcosa in lei che talvolta l’improvviso l’offuscava: l’importante è che io possa raccontarmi quel tempo, di Capri, come sto facendo, senza sentire dentro di me nessuna vera contraddizione». Come una verità cercata a lungo, che l’autore scopre e accetta essere, infine, soltanto una versione dei fatti. Ma la migliore possibile.
Ida Bozzi