Lauretta Colonnelli, Corriere della Sera 03/10/2012, 3 ottobre 2012
«I MIEI PRIMI SETTANT’ANNI, LA VANITA’ MI HA SALVATA»
Non ha mai smesso di stupire, Marina Ripa di Meana. E riesce a farlo ancora una volta con il volume che racconta i suoi primi settant’anni: Invecchierò ma con calma (Mondadori). Il primo colpo arriva a pagina 30, quando rivela la sua lotta decennale contro il cancro. Il secondo a pagina 170, quando confessa che «dopo l’ubriacatura di felicità e di passione dei primi due anni di matrimonio, Carlo mi respingeva o quasi. Carezze poche, abbracci zero». Carlo è l’amatissimo marito, Carlo Ripa di Meana.
Marina racconta che nel 2002, all’ospedale Fatebenefratelli di Roma, durante una normale visita di controllo, i medici le scoprirono un tumore al rene sinistro e le dissero che avrebbe dovuto operarsi subito. «Ero andata a fare questi esami perché mia sorella Paola era morta pochi giorni prima di cancro». Uscita dall’ospedale sull’isola Tiberina, pensò di buttarsi dal ponte. Che cosa l’ha salvata dall’impulso di farla finita? «La mia illimitata vanità. Mi ricordai all’improvviso di un episodio dell’infanzia che mi aveva molto impressionato: il ritrovamento nel lago di Albano del cadavere di una ragazza uccisa. Quella mattina su Ponte Fabricio immaginai il mio corpo livido e gonfio galleggiare come una vecchia damigiana sull’acqua sporca del Tevere e questa visione mi parve insopportabile. La vanità mi restituì la voglia di vivere e la forza di tornare a casa».
A quella prima operazione ne seguirono altre: «Quattro, di cui due ai polmoni, nel 2009. Due interventi a pochissima distanza di tempo, prima da un lato, poi dall’altro. Poi una degenza lunga e molto dolorosa, una ripresa lenta e difficile». Dice che dopo questa «bonifica del polmone», come la definirono i medici, non sarebbe stato più possibile intervenire chirurgicamente. Da quel momento in poi avrebbe dovuto far ricorso solo alla chemioterapia. «È la cura che ho dovuto affrontare l’inverno scorso, più dolorosa e sfiancante di tutte le operazioni». Sapeva fin dall’inizio che il percorso sarebbe stato «lungo, faticoso, insidioso e oltretutto costoso». Quanto costoso, per potersi curare al meglio? «In realtà ho scelto la strada accessibile a chiunque, quella del servizio sanitario pubblico. Mi sono rivolta allo Ieo, l’Istituto europeo di oncologia. L’unico disagio è stato viaggiare in treno su e giù tra Milano, dove si trova l’ospedale, e Roma dove abito. Anche due viaggi a settimana».
Eppure, quella che Gianni Agnelli definì «la donna più bella del mondo» è ancora bellissima e continua ad apparire sulle pagine dei rotocalchi con tacchi a spillo e cappellini pazzi. Come fa a mantenere questa irresistibile vitalità? «Con la passione per la vita, la curiosità, la vanità. Non sopporterei di sentirmi dire "Quanto eri bella!". Detesto la nostalgia. E non la voglio dar vinta». Che cosa consiglia a chi non ha il bene della vanità? «Di non lasciarsi andare alla malinconia. Se mi assale all’improvviso, io esco e cammino, a grandi falcate veloci. Persino nei giorni più duri della chemioterapia mi sono sforzata di fare almeno una piccola passeggiata, e mi sentivo subito meglio. E poi mi sono sempre data da fare, lottando anche per la diffusione a carico del servizio sanitario nazionale della "Pet total body" che permette la diagnosi precoce del cancro. E al fianco di Carlo nelle battaglie ambientaliste».
Quando si accorse che Carlo, suo secondo marito, non la desiderava più, pensò di lasciarlo. Invece sono ancora insieme, più uniti che mai, nonostante «l’eros finito in soffitta». Come ci sono riusciti? «Può sembrare un paradosso, ma il vero matrimonio nasce quando finisce la passione. All’inizio ero delusa e risentita, ma quando l’eros non c’è più, non è che fra i due amanti si apra una tavola rotonda sull’argomento. Io, dopo lo sconforto, ho capito che Carlo cercava in me qualcosa d’altro. Era la prima volta che un uomo mi faceva partecipe delle sue idee e dei suoi progetti, che mi dimostrava stima e fiducia, che era sempre pronto a tendermi una mano se dovevo scalare le montagne della paura e del dolore. È così che è nato il grande amore tra noi. Oggi si fa tanto parlare della sessualità nelle persone anziane. A me l’idea che due corpi non più giovani debbano continuare ad accoppiarsi mi fa orrore».
Lauretta Colonnelli