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 2012  ottobre 03 Mercoledì calendario

«SI STAVA MEGLIO QUANDO SI STAVA PEGGIO»

Fascista sarà lei e me ne congratulo. Letta così l’affermazione potrebbe far sobbalzare sulla sedia. Ma come, «fascista » non è un epiteto? Nell’accezione bersaniana del termine (ricordate il livello mediocre del confronto Bersani-Grillo?) certamente sì. Ma solo come riflesso pavloviano di chi è profondamente ignorante, nel senso puro di ignorare. (...). Neppure Wikipedia banalizza così. E allora? Per farla breve: non sai come attaccare l’avversario? Dagli del fascista.
Ma se poi chiedi cosa è stato davvero il Fascismo... Beh, allora il discorso cambia. Nessuna apologia, per carità. Perché il finale fu una catastrofe di errori e orrori. Resta la condanna storica, che curiosamente non trovò eguali nell’altra sciagura del secolo breve, la dittatura del comunismo (...).
Un’idea di Stato
Cosa è stato il Fascismo? «È stato tante cose. Una dittatura. Un’idea di Stato. Oggi è diventata una parola senza senso. Si dà del fascista senza neppure riflettere su cosa fu questo movimento che ha comunque caratterizzato 20 anni della storia italiana. Di sicuro costruì una Nazione e le dette una prospettiva». Scrittore, giornalista impegnato ma non militante, Massimo Fini è una delle poche teste pensanti in grado di sviscerare il tema con onestà intellettuale. «Potremmo sintetizzarlo in un certo simbolismo, nell’architettura, nelle bonifiche, ma fu qualcosa di molto più ampio» incalza.
E allora ecco la fotografia di quell’idea. «Partiamo dagli interventi che sono sotto gli occhi di tutti. C’è un bel libro di Antonio Pennacchi, Canale Mussolini che trasuda vita vissuta. L’Agro Pontino fu plasmato dall’uomo attraverso gli interventi di bonifica. Certo, tutto avvenne con uno spostamento forzoso di lavoratori dal Veneto e dal Ferrarese, ma ne beneficiarono tutti. Per primi proprio i lavoratori. Come avvenne anche in Maremma». (...). Interventi che oggi sarebbero ingestibili, tra incarichi dirigenziali, burocrazia, valutazioni, appalti... «Non a caso nel dopoguerra non si è assistito più a niente del genere. Nonostante i miliardi di lire ieri e di euro oggi che finiscono sperperati. Invece nel Ventennio fu possibile. E non fu un caso isolato. Prenda ad esempio l’Iri» spiega Massimo Fini. Già, l’Iri, l’Istituto per la ricostruzione industriale. «È il più famoso tra gli istituti costituiti nel periodo fascista, quando furono rafforzate anche le banche, creati gli ordini professionali. Fu il frutto di una straordinaria intelligenza strategica a supporto dell’industria, della finanza e dell’occupazione. Fu grazie all’Iri di Alberto Beneduce, l’unico che secondo la leggenda poteva dire di “no” al Duce, che l’Italia risentì in maniera ridotta rispetto agli altri Paesi degli effetti della grande crisi americana post 1929. (...). E cosa ha rovinato l’Iri? La partitocrazia, nella quale la maggioranza, ma anche l’opposizione, della Prima Repubblica si spartiva i posti non in funzione delle competenze, ma sotto il profilo clientelare».
Politica del rigore
Per non parlare del debito pubblico. Dopo il picco più alto legato alla Grande guerra (160% sul Pil), la politica del rigore riuscì a coniugare interventi infrastrutturali e produttività portando il livello al70%. «Perché c’era un’idea di Stato. L’autarchia stessa. Dall’agricoltura fino addirittura al Whisky, per far capire quanto si poteva incidere nelle scelte. Oggi anche sul cibo c’è una riscoperta delle produzioni locali, ma pensi a quanto erano avanti certe visioni e quanto quel tipo di politica farebbe comodo oggi all’Italia».
Ma non furono solo aspetti positivi... «L’errore più grande di Mussolini fu entrare in guerra non essendo preparati. (...). Non fu l’unico errore, ma certo il peggiore. Cui dobbiamo sommare gli omicidi di Matteotti, dei fratelli Rosselli, l’incarcerazione di Gramsci. Non sono questioni di poco conto, ma rispetto ad altre dittature coeve non fu così aspra, almeno non fino agli ultimi tempi. La censura della stampa fu stupida. Ma la vivacità culturale degli anni Trenta rimane una realtà più prolifica del pur ricco movimento internazionale. Anche il design industriale...». A cosa si deve allora tutta questa avversione, oltre all’imperdonabile errore di farsi schiacciare da Hitler? «L’avversione al Fascismo non è stata uguale nelle democrazie occidentali. Il presidente americano Roosevelt fu in qualche modo influenzato da un certo stile decisionista, che pure imitò. Di cosa pensasse Churchill sappiamo... No, la demonizzazione è il risultato di altri tipi di calcolo politico. Se uno legge i giornali dell’immediato dopoguerra, ad esempio, non trova toni così antifascisti come invece accade negli anni 70. È in questo contesto che si demonizza il Ventennio. All’epoca conveniva a molti, ma soprattutto alla Dc, per nascondere le proprie mascalzonate. Ed è una progressione che viene adottata ed esasperata dai comunisti». E oggi? I giovani neppure sanno distinguere tra Evola ed Ebola... «Oggi sono polemiche catacombali. Sono passati solo 70 anni... È cambiato il mondo, non è mutata una certa mentalità. Eppure di cose da salvare ce ne sono un’infinità. Prenda l’architettura. Quando ero ragazzo mi sembrava brutta... Riguardandola, nel corso degli anni, ho capito che era più identificabile e bella. Nello stesso periodo Stalin abbrutiva Mosca... Noi avevamo la Casa della cultura di Roma. La stazione di Santa Maria Novella a Firenze, quella nuova di Milano. E poi gli ospedali. Se dovessi scegliere una sintesi iconografica non saprei da dove iniziare... Forse l’Eur. Un quartiere nuovo nella Città eterna. Ma non voglio limitarmi a un elenco di opere. Penso alle case per la gente che si potrebbe dire comune, abitazioni e strutture di primo livello. Come le case per i maestri, ambitissime ancora oggi». A proposito di maestri. L’Italia si basava sulla scuola, sulla formazione, sulla disciplina. «Era importante proprio quella parola: educazione. Quella missione: educare. Il liceo classico di Giovanni Gentile rimane la miglior scuola di sempre. Era un progetto che si proiettava nel futuro. Oggi a ogni cambio di governo qualsiasi ministro vuol varare una riforma, pensi un po’ come si è depauperata la società». (...).
E la destra oggi? «Non esiste più. Gianfranco Fini ha fallito su tutta la linea. Prima si è schierato sotto Berlusconi, poi lo ha tradito. E Berlusconi come politico è nulla…». Ha governato il Paese per circa un ventennio anche lui. «Ha avuto ragione nel dire che gli ex comunisti, nonostante i vari cambi di sigle, erano rimasti in fondo in fondo dei comunisti». (...).
Mori e la mafia
«Mentre lei parlava» riprende il ragionamento Massimo Fini, «mi sono tornate in mente altre esperienze. I treni arrivavano in orario. Ai giovani veniva imposta l’attività fisica. C’era rigore, ordine. Anche in zone più complesse come la Sicilia. Per tutta l’estate abbiamo letto della trattativa Stato mafia. Mussolini aveva pronto anche un piano per ridistribuire i latifondi. Non piaceva ai nobili, né tantomeno alla mafia. Mandò il prefetto Mori che, finché rimase nell’esercizio delle proprie funzioni, fu l’unico a combattere seriamente e pesantemente la mafia di quei tempi». Poi però finì anche lui su un seggio al Senato... «Sì, ma quando lo scontro politico internazionale si fece cruento, quando si preparava lo sbarco degli angloamericani, furono proprio i baroni e la mafia a spalancare le porte della Sicilia. Un peccato d’origine, come ripeto spesso, di cui scontiamo ancora oggi le conseguenze» (...).
Eppure oggi, soprattutto i giovani, non sanno. Non conoscono. Non ricercano. «Fa tutto parte di quell’omologazione di cui parlavamo prima. Lo Stato poteva decidere il proprio destino. Non solo l’Italia. Pensi agli stessi russi, pur con i loro errori e orrori, che oggi non sono più in grado di decidere per se stessi».