Tonia Mastrobuoni, la Stampa 3/10/2012, 3 ottobre 2012
QUANDO ARRIVERÀ LA RIPRESA?
A proposito delle prospettive economiche dell’Italia, il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, ha detto ieri che «metterebbe una firma» su uno scenario di crescita per il 2015. Cosa vuol dire?
Dall’autunno del 2011 l’Italia è piombata di nuovo in recessione. Tecnicamente, vuol dire che per almeno due trimestri di seguito l’economia si è contratta invece di crescere. Per quest’anno il parere unanime di tutti, dal governo all’Ocse, dalla Commissione europea al Fmi, è che l’economia italiana subirà una flessione pesante, attorno al 2-2,5%. Un destino condiviso dalla maggior parte dei Paesi europei. Ma la questione sollevata ieri dal presidente di Confindustria è: quando torneremo a crescere? Secondo l’associazione degli imprenditori «salvo un miglioramento per l’anno prossimo», il 2013 sarà un altro anno di contrazione del prodotto interno lordo. Una stima, del resto, condivisa dal governo che per il 2013 prevede una lieve recessione (-0,2%).
Il governo condivide il pessimismo di Confindustria?
Non del tutto. Anche se l’esecutivo ha prudentemente stimato che nel complesso del 2013 il prodotto interno lordo potrebbe subire ancora una lieve contrazione, ieri il ministro per le Politiche comunitarie, Enzo Moavero Milanesi, ha replicato a Squinzi. «Dai nostri dati - ha puntualizzato risulta che nel 2013 già si vedranno importanti segnali di ripresa e che il 2014 e 2015 saranno anni di ripresa economica».
Qual è la differenza tra crescita e ripresa?
Può darsi, come ha osservato Moavero, che l’economia si risollevi durante l’anno e torni su valori positivi. In quel caso si parlerebbe di ripresa, ma per parlare di un anno di crescita il prodotto interno lordo deve aumentare nella media nei dodici mesi rispetto all’anno precedente.
Perché l’economia si contrae?
In realtà siamo ripiombati alla fine dell’anno scorso per la seconda volta in recessione dall’inizio della attuale «Grande crisi» esplosa negli Stati Uniti nel 2007, sull’onda dello scoppio della bolla immobiliare e finanziaria. Gli americani chiamano questa dinamica una «Double dip recession», una recessione a «W». Attualmente si è creato un circolo vizioso tra debiti delle banche e debiti dei Paesi sovrani che paralizza l’economia in tutta l’Europa. E il rallentamento europeo sta danneggiando anche la strabiliante dinamica dei paesi asiatici, Cina in primis.
Perché le stime economiche divergono le une dalle altre?
Si potrebbero scrivere tomi su questo argomento. Anzitutto, perché la scienza economica non può prevedere il futuro ma ha la presunzione di farlo lo stesso. A sua discolpa va detto che le pressioni sono grandi perché le aziende o le banche o gli Stati devono avere una prospettiva per poter impostare investimenti e politiche economiche e industriali. Ma anche incrociando i dati più affidabili e proiettandosi in avanti sui modelli più sofisticati, restano molte incognite. Per l’area euro le ha riassunte in queste settimane Pier Carlo Padoan, vicesegretario generale e capoeconomista dell’Ocse. La paura di insolvenza delle banche e il timore di default dei Paesi sovrani si alimentano a vicenda paralizzando il credito e mantenendo alta la tensione sui titoli di Stato, soprattutto dei Paesi periferici. Finché l’economia è chiusa in questa morsa, fatica a risollevarsi. Ma negli ultimi tempi la divergenza tra previsioni economiche si sono accentuate anche perché il Fmi utilizza «moltiplicatori fiscali» diversi, rispetto a Ocse, Commissione Ue e governi.
Cosa vuol dire «moltiplicatore fiscale»?
Banalmente, è quello che calcola gli effetti che le misure di correzione dei conti pubblici hanno sull’economia. Il Fmi ha recepito da qualche anno la tesi che ne esista più di uno e che in questo periodo di recessione in tutta l’aera euro, le correzioni possano avere conseguenze molto più negative sull’economia di quelle formulate basandosi su un solo moltiplicatore, e di quelle calcolate in tempi di crescita. Il risultato è che le stime del Fmi sono diventate molto più pessimistiche di quelle delle altre istituzioni. Un fatto che potrebbe ripetersi anche la prossima settimana, quando verranno pubblicate le previsioni di autunno degli economisti di Washington.
Che prospettive ci sono, dunque, per i prossimi anni?
Anzitutto va detto che l’Italia ha un problema di crescita bassa che non è emerso con la crisi: ha riguardato l’intero scorso decennio. Secondo il Fmi (scenario di quest’estate, quando la situazione era un po’ più rosea), dovrebbe crescere in media dell’1% tra il 2014 e il 2017. La crescita potenziale, però, è ridotta al lumicino, allo 0,5%, «molto dietro gli altri Paesi europei». Per gli economisti di Washington urgono «riforme strutturali per aumentare la produttività e la competitività e spingere il potenziale di crescita». Il motivo principale della debolezza della nostra economia è infatti da un decennio la «bassa produttività».